Guerre e citazioni
Gentile redazione, vi ringrazio per l’attenzione e per aver voluto rispondere ulteriormente. Tuttavia, le vostre precisazioni confermano esattamente la preoccupazione che avevo espresso nel mio precedente intervento: la tendenza a sostituire l’analisi con l’enunciazione di verità prese per definitive. Citare una ricercatrice o un documento ONU non chiude un dibattito giuridico o politico: lo apre. Sull’illegittimità del blocco navale, per esempio, vi sono opinioni opposte di giuristi di pari autorevolezza, che ricordano come il diritto internazionale ammetta blocchi in contesti di conflitto armato, purché rispettino determinate condizioni. Anche la spesso citata Commissione Palmer delle Nazioni Unite (2011), riferendosi proprio a Gaza, concluse che il blocco “costituiva una misura legittima di sicurezza”. Selezionare solo le interpretazioni che confermano una tesi significa fare opinione, non informazione. Analogamente, l’affermazione sui “65.000 morti” e sul “genocidio” sollevato da una Commissione d’Inchiesta ONU meriterebbe almeno un minimo di contestualizzazione. La parola “genocidio” ha un significato giuridico preciso, non politico o emotivo, e il suo uso improprio rischia di banalizzare tragedie diverse tra loro. Le stesse Nazioni Unite, nelle loro diverse articolazioni, non parlano con voce univoca sul tema: anche questo dovrebbe essere spiegato ai lettori, non eluso. Resta poi senza risposta la domanda più semplice e più scomoda: perché alcune guerre, altrettanto devastanti in termini di vittime e distruzioni, non ricevono la stessa eco mediatica, la stessa partecipazione emotiva, la stessa indignazione pubblica? Non si tratta di negare la sofferenza di Gaza, ma di chiedere coerenza nel modo in cui l’informazione seleziona e amplifica le tragedie del mondo. Se davvero si vuole difendere il valore dell’informazione, occorre abbandonare la tentazione di fornire risposte a effetto e tornare a proporre strumenti critici per comprendere la complessità. La realtà non si esaurisce in due citazioni autorevoli o in un conteggio di vittime: merita uno spazio di ragionamento, non solo di indignazione.
Mindra
Liberissimo di pensarla come crede, personalmente concordo in pieno con Francesca Albanese da anni relatrice Onu sulla Palestina. Che si ritiene conosca bene sia le norme internazionali sia l'esatta situazione in Palestina. E, a quanto pare, dello stesso avviso sono milioni e milioni di cittadini europei.
