Guerra e informazione
In risposta alla risposta della redazione sul messaggio di Monica del 02/10/25 - Gentile redazione, nella vostra replica alla lettrice si afferma che “muoiono cento palestinesi al giorno” e che “il blocco navale è del tutto illegittimo secondo le leggi internazionali”. Permettetemi di osservare che una risposta così semplificata rischia di scivolare più nella propaganda che nell’informazione. Anzitutto, i numeri delle vittime meritano sempre prudenza: nelle guerre, e in particolare nei conflitti asimmetrici, le fonti sono spesso di parte e difficilmente verificabili in modo indipendente. Non esistono contabili imparziali sotto le bombe, e basare la discussione solo su statistiche diffuse da una delle parti in causa significa rinunciare a una valutazione critica. In secondo luogo, il riferimento al blocco navale come “del tutto illegittimo” è perlomeno discutibile. Il diritto internazionale ammette blocchi militari a certe condizioni, purché dichiarati, notificati e non discriminatori, e il dibattito giuridico sul caso di Gaza è complesso e tutt’altro che univoco. Liquidare la questione come se fosse già chiusa non è informazione, ma presa di posizione. Infine, ridurre il discorso a Meloni e Tajani o alla copertura di Canale 5 e Rai non risponde al punto sollevato dalla lettrice: perché decine di guerre altrettanto sanguinose non ricevono lo stesso spazio e la stessa indignazione? Il fatto che l’attenzione mediatica si concentri quasi esclusivamente su Gaza non dimostra maggiore coscienza civile, ma semmai una selezione arbitraria delle tragedie degne di visibilità. A questo si aggiunge un punto che sorprende per la sua assenza nella vostra replica: parlare di Gaza senza mai nominare Hamas, la sua strategia di propaganda e la sua capacità di utilizzare l’opinione pubblica internazionale come arma del conflitto, significa raccontare una realtà parziale. Allo stesso modo, sarebbe doveroso chiedersi chi siano i reali finanziatori della Flottiglia, quali interessi rappresentino, e quanto trasparente sia il loro legame con attori diretti del conflitto. Sono domande scomode, ma un’informazione completa non può eluderle. Aggiungo, con franchezza, che un giornalista dovrebbe offrire strumenti di comprensione, non limitarsi a replicare con slogan o numeri presi per buoni senza contestualizzazione. Se la stampa abdica al suo compito critico e diventa megafono di una sola narrativa, non fa più servizio pubblico: fa militanza. Se davvero l’informazione è in un “momento brutto”, come scrivete, la responsabilità maggiore non è delle piazze ma delle redazioni, che dovrebbero aiutare a distinguere fatti da opinioni, complessità da slogan.
Mindra
Due sole risposte non nostre ma assai più autorevoli: 1) È illegale attaccare o sequestrare imbarcazioni che trasportano materiale umanitario in acque internazionali in base alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos)”, spiega Francesca De Vittor, ricercatrice in diritto internazionale ed esperta di diritto del mare alla facoltà di giurisprudenza dell’università cattolica di Milano. 2) Commissione d'Inchiesta dell'ONU (che ha definito quello che accade in Palestina un GENOCIDIO) morti accertati 65.000 tra cui oltre 20.000 bambini (dati al 17 settembre, ora saranno oltre 70mila). E tre ma non vorremmo ripeterci, le parole di Giulio Andreotti sui cinquant'anni di detenzione in campi profughi del palestinesi (rivedere intervento al Senato su youtube).
