Domenica 28 settembre – Church pocket/81. La bugia più grande del demonio
Sembra un linguaggio antico, quasi gotico o medievale: angeli, demoni, lotta spirituale. Eppure, la Chiesa ce lo ricorda ogni anno, nella festa dei tre arcangeli: Michele, Gabriele e Raffaele. Tre nomi che sono tre missioni: Michele, “Chi è come Dio?”, difensore e combattente; Gabriele, annunciatore della buona notizia; Raffaele, guaritore e compagno di viaggio.
Oggi ci concentriamo su Michele, perché il suo grido attraversa i secoli: Chi è come Dio? È un grido che smaschera la superbia del demonio, la sua illusione di bastare a sé stesso. Non è un mito, non è una favola per bambini: il demonio esiste. Il suo obiettivo è farci credere il contrario, convincerci che il male è solo una “categoria psicologica” o una “metafora sociale”. Ma la Sacra Scrittura lo prende sul serio: tentatore, accusatore, divisore. Non ha inventato nulla, non ha creato nulla: sa solo deformare e rovinare ciò che Dio ha fatto buono. Non è un discorso nuovo. Già Paolo VI, in un’omelia rimasta celebre, parlava del «fumo di Satana entrato nel tempio di Dio»: un’immagine drammatica per dire che il male non resta fuori, ma cerca di insinuarsi perfino nella vita della Chiesa, avvolgendo tutto in nebbia e confusione.

Santa Teresa d’Avila, che conosceva bene la lotta interiore, raccontava senza giri di parole degli attacchi del demonio. Ma non si spaventava: sapeva che di fronte al nome di Gesù e di Maria, il male perdeva ogni forza. Scriveva che a volte basta una semplice Ave Maria detta con fede per metterlo in fuga. Non servono riti complicati o gesti spettacolari: il male arretra davanti a ciò che non può imitare, l’umiltà di una donna che ha detto sì e la forza di un Figlio che ha vinto la morte.
La lotta, allora, non è nei film di esorcismi. È nella vita quotidiana, nei compromessi facili, nella tentazione di vivere come se Dio non esistesse. Qui San Michele entra in gioco: non come un supereroe, ma come segno che il bene è più forte del male. Il suo nome stesso è già una vittoria: Chi è come Dio? Nessuno. Non io, non tu, non il potere, non il denaro, non la guerra. Maria e Michele, in fondo, sono alleati della stessa battaglia. Maria con la sua umiltà che ha schiacciato l’orgoglio del serpente; Michele con la sua forza che ricorda che l’ultima parola non spetta al male. Entrambi ci insegnano che il cristiano non vive con la paura del demonio, ma con la certezza che Dio è più grande. Per questo la tradizione popolare, nel mese di ottobre, li ricorda insieme: Non è devozionismo, è sapienza di popolo. Perché il male non si vince con la paura, ma con la preghiera e con la fede.
Il Rosario, ripetuto con la semplicità di un bambino, e l’invocazione a Michele, pronunciata con la forza di chi sa di non essere solo, diventano il respiro quotidiano della Chiesa. È così che il buio si dirada: con un’Ave Maria detta nel cuore della notte, con un “Chi è come Dio?” gridato contro la tentazione, con la certezza che la luce di Cristo non sarà mai vinta dalle tenebre. E allora, con Maria e Michele, non abbiamo paura: il male sarà anche forte, ma Dio è più grande.
Oggi ci concentriamo su Michele, perché il suo grido attraversa i secoli: Chi è come Dio? È un grido che smaschera la superbia del demonio, la sua illusione di bastare a sé stesso. Non è un mito, non è una favola per bambini: il demonio esiste. Il suo obiettivo è farci credere il contrario, convincerci che il male è solo una “categoria psicologica” o una “metafora sociale”. Ma la Sacra Scrittura lo prende sul serio: tentatore, accusatore, divisore. Non ha inventato nulla, non ha creato nulla: sa solo deformare e rovinare ciò che Dio ha fatto buono. Non è un discorso nuovo. Già Paolo VI, in un’omelia rimasta celebre, parlava del «fumo di Satana entrato nel tempio di Dio»: un’immagine drammatica per dire che il male non resta fuori, ma cerca di insinuarsi perfino nella vita della Chiesa, avvolgendo tutto in nebbia e confusione.

Santa Teresa d’Avila, che conosceva bene la lotta interiore, raccontava senza giri di parole degli attacchi del demonio. Ma non si spaventava: sapeva che di fronte al nome di Gesù e di Maria, il male perdeva ogni forza. Scriveva che a volte basta una semplice Ave Maria detta con fede per metterlo in fuga. Non servono riti complicati o gesti spettacolari: il male arretra davanti a ciò che non può imitare, l’umiltà di una donna che ha detto sì e la forza di un Figlio che ha vinto la morte.
La lotta, allora, non è nei film di esorcismi. È nella vita quotidiana, nei compromessi facili, nella tentazione di vivere come se Dio non esistesse. Qui San Michele entra in gioco: non come un supereroe, ma come segno che il bene è più forte del male. Il suo nome stesso è già una vittoria: Chi è come Dio? Nessuno. Non io, non tu, non il potere, non il denaro, non la guerra. Maria e Michele, in fondo, sono alleati della stessa battaglia. Maria con la sua umiltà che ha schiacciato l’orgoglio del serpente; Michele con la sua forza che ricorda che l’ultima parola non spetta al male. Entrambi ci insegnano che il cristiano non vive con la paura del demonio, ma con la certezza che Dio è più grande. Per questo la tradizione popolare, nel mese di ottobre, li ricorda insieme: Non è devozionismo, è sapienza di popolo. Perché il male non si vince con la paura, ma con la preghiera e con la fede.

Rubrica a cura di Pietro Santoro