Merate: Enrica Ceppi, "mamma antifascista del Leoncavallo" racconta una vita in trincea. Ieri per il pane oggi per le idee
E' un fiume in piena nonostante il respiro la costringa a prolungate pause e se non fosse per la salute, a dispetto dei suoi 88 anni compiuti a febbraio, ora sarebbe al “Leo” a difendere lo stato di diritto che “qualcuno pensa di ripristinare con uno sgombero”.
Enrica Ceppi, nativa di Meda ma cittadina di Merate dagli anni Sessanta, in mano stringe “Il Manifesto” e indosso porta una t-shirt, rigorosamente rossa, con la scritta “sempre sulla cattiva strada”. Da una trentina d'anni almeno fa parte del gruppo “Mamme antifasciste del Leoncavallo” e lo sgombero del centro sociale avvenuto in questi giorni non l'ha lasciata indifferente. Tutt'altro.

Mentre la presidente Giorgia Meloni diceva "No zone franche" e il ministro Matteo Piantedosi ammoniva "Tolleranza zero" contro gli abusivi, dando il via allo sfratto dalla sede che occupava in via Watteau, Enrica Ceppi ha ricordato come è nata l'associazione che di fatto è l'ente giuridico attorno al quale si è costituito e strutturato il Leonka.
Quando nel 1978 furono uccisi due militanti di sinistra, frequentatori del centro sociale, Fausto e Iaio, un gruppo di donne partecipò al funerale portando uno striscione con la scritta "Le mamme di tutti i compagni piangono i loro figli morti".
“Per avere i servizi, a partire dalla luce e dal gas, il centro sociale aveva necessità di costituirsi in un ente giuridico” ha ricordato “e allora Carmen, Luciana, Edda e altre di noi, andarono dal notaio e costituirono l'associazione “Mamme antifasciste del Leoncavallo” di cui faccio tuttora parte”.
Orgogliosa, con occhi un poco lucidi e il fiato che le fa gli scherzi, ma non le impedisce di infervorarsi, ricorda quegli anni e le “cose bruttissime che facevamo al Leo. Come quando, andando alla stazione Centrale la notte, dove si trovava di tutto, ci siamo imbattute in una famiglia sudamericana poverissima e con figli, non parlavano una parola di italiano, erano disperati e disorientati. Li abbiamo portati tutti al Leo. Per dare loro un po' di riservatezza, abbiamo recuperato una roulotte e vivevano lì, al coperto, nella loro intimità. Abbiamo trovato un lavoro agli adulti e accompagnato i ragazzi nella scolarizzazione. Una delle figlie si è diplomata, poi laureata in Medicina e infine è tornata in Sud America per aiutare le persone povere del suo Paese. Lungo la Martesana c'erano le panchine dove la notte dormivano le prime badanti: lavoravano nelle famiglie di giorno, ma la notte non avevano un tetto e allora si ritrovavano tutte assieme, anche per una questione di sicurezza. Erano principalmente dell'est, davamo loro aiuto. Una notte in piazzale Greco abbiamo trovato un centinaio di donne, molte in gravidanza, erano prive di tutto. Le abbiamo portate al Leo. Quando hanno partorito hanno dato i nomi delle mamme antifasciste ai loro figli. Quindi in giro per il mondo c'è un'altra Enrica...”.


Il loro attivismo, però, è andato oltre i confini italiani.
Alle proteste delle "Madri di Plaza de Mayo" del 1992, in Argentina, loro c'erano, affiancandosi al movimento pacifico che voleva porre resistenza contro la dittatura militare e la repressione in Sud America. E nella ex Jugoslavia hanno portato aiuto in un campo profughe, trovando sofferenze e orrori indicibili.
Sorride e qualche volta scuote la testa Enrica Ceppi mentre rivive, lucidissima, i ricordi nitidi che scorrono davanti agli occhi uno dopo l'altro senza inciampi. Come quando, lei bambina nascosta tra le pieghe della gonna della nonna Carolina, il gerarca nazista varcò la soglia del loro cortile di Meda, dove vivevano cento persone, con due bagni all'aperto e due fontanelle per l'acqua, e brandendo in mano una Ruger minacciò la povera gente: “Se scopro che qualcuno nasconde un giudee, vengo qui e sparo un colpo in testa ai vostri figli”.


La nonna Carolina, che aveva un rosario fatto con i fagioli e al centro dei grani una croce, e che aveva sussurrato, rivolto all'uomo vestito di nero in mezzo al cortile, “Dac la crus in mezz ai oec (dagli la croce in mezzo agli occhi)”; nonna che aveva vissuto due guerre cantando “O Gorizia tu sei maledetta” e “Fischia il vento, infuria la bufera”.
E poi, a forgiare il suo spirito combattivo, c'è stata anche mamma Agnese, che lavorava in una fabbrica tessile e quando suonava la sirena dei bombardamenti con le colleghe fuggiva e si rifugiava in una cava. “All'uscita dal lavoro un giorno hanno trovato sui cancelli gli uomini vestiti di nero che le hanno chiamate meretrici e le hanno prese a schiaffi. Ho visto tornare mia mamma con le guance rosse. Poi sono stata espulsa dalla scuola pubblica perchè figlia di meretrice. Io piangevo, allora mia mamma mi ha caricato sulla sella della bicicletta e mi ha portato dalle suore di Maria Bambina. Il nonno faceva la legna nei boschi e poi la portava alla scuola, la mamma dava alle religiose i pezzetti di seta non perfetti dei paracadute che cuciva in fabbrica e che servivano per le tovaglie e gli arredi sacri”.

Ed è proprio dalle suore che Enrica Ceppi ha respirato i primi venti di femminismo. “Mi hanno insegnato il rispetto di me stessa. Perchè devo sposarmi e fare la serva a un uomo? mi diceva la suora. Ho preferito sposare Gesù”. Ho imparato da loro il concetto della maternità come responsabilità verso chi viene dopo e non come possesso”.
Le battaglie di allora per la sopravvivenza dalla fame e dalla guerra, oggi sono per la resistenza delle idee.
“In questi giorni si sfrattano le persone e le cose ma gli ideali di solidarietà umana restano, non vengono sfrattati. Sono come l'acqua” e apre il palmo per richiudere le dita in un pugno “non la puoi stringere e comprimere in una mano, ti scivola via. Ci vogliono afferrare come se afferrassero l'acqua, ma hanno già perso. Questa smargiassata è forse un avvertimento per chi ha idee strane in testa? Provo una grande amarezza sentendo la presidente del consiglio parlare di ripristino dello stato di diritto...ma di quale diritto va cianciando? Sono diritti scritti nella Costituzione, costata fame, freddo, sofferenze, vite umane. Se avessi le forze oggi andrei al “Leo”. Di cosa devo avere paura a 88 anni? Non sono certo arrivata a questa età per farmi intimidire...I miei pensieri sono forti perchè ho avuto con me donne dai pensieri forti”.
Enrica Ceppi, nativa di Meda ma cittadina di Merate dagli anni Sessanta, in mano stringe “Il Manifesto” e indosso porta una t-shirt, rigorosamente rossa, con la scritta “sempre sulla cattiva strada”. Da una trentina d'anni almeno fa parte del gruppo “Mamme antifasciste del Leoncavallo” e lo sgombero del centro sociale avvenuto in questi giorni non l'ha lasciata indifferente. Tutt'altro.

Mentre la presidente Giorgia Meloni diceva "No zone franche" e il ministro Matteo Piantedosi ammoniva "Tolleranza zero" contro gli abusivi, dando il via allo sfratto dalla sede che occupava in via Watteau, Enrica Ceppi ha ricordato come è nata l'associazione che di fatto è l'ente giuridico attorno al quale si è costituito e strutturato il Leonka.
Quando nel 1978 furono uccisi due militanti di sinistra, frequentatori del centro sociale, Fausto e Iaio, un gruppo di donne partecipò al funerale portando uno striscione con la scritta "Le mamme di tutti i compagni piangono i loro figli morti".
“Per avere i servizi, a partire dalla luce e dal gas, il centro sociale aveva necessità di costituirsi in un ente giuridico” ha ricordato “e allora Carmen, Luciana, Edda e altre di noi, andarono dal notaio e costituirono l'associazione “Mamme antifasciste del Leoncavallo” di cui faccio tuttora parte”.
Orgogliosa, con occhi un poco lucidi e il fiato che le fa gli scherzi, ma non le impedisce di infervorarsi, ricorda quegli anni e le “cose bruttissime che facevamo al Leo. Come quando, andando alla stazione Centrale la notte, dove si trovava di tutto, ci siamo imbattute in una famiglia sudamericana poverissima e con figli, non parlavano una parola di italiano, erano disperati e disorientati. Li abbiamo portati tutti al Leo. Per dare loro un po' di riservatezza, abbiamo recuperato una roulotte e vivevano lì, al coperto, nella loro intimità. Abbiamo trovato un lavoro agli adulti e accompagnato i ragazzi nella scolarizzazione. Una delle figlie si è diplomata, poi laureata in Medicina e infine è tornata in Sud America per aiutare le persone povere del suo Paese. Lungo la Martesana c'erano le panchine dove la notte dormivano le prime badanti: lavoravano nelle famiglie di giorno, ma la notte non avevano un tetto e allora si ritrovavano tutte assieme, anche per una questione di sicurezza. Erano principalmente dell'est, davamo loro aiuto. Una notte in piazzale Greco abbiamo trovato un centinaio di donne, molte in gravidanza, erano prive di tutto. Le abbiamo portate al Leo. Quando hanno partorito hanno dato i nomi delle mamme antifasciste ai loro figli. Quindi in giro per il mondo c'è un'altra Enrica...”.


Il loro attivismo, però, è andato oltre i confini italiani.
Alle proteste delle "Madri di Plaza de Mayo" del 1992, in Argentina, loro c'erano, affiancandosi al movimento pacifico che voleva porre resistenza contro la dittatura militare e la repressione in Sud America. E nella ex Jugoslavia hanno portato aiuto in un campo profughe, trovando sofferenze e orrori indicibili.
Sorride e qualche volta scuote la testa Enrica Ceppi mentre rivive, lucidissima, i ricordi nitidi che scorrono davanti agli occhi uno dopo l'altro senza inciampi. Come quando, lei bambina nascosta tra le pieghe della gonna della nonna Carolina, il gerarca nazista varcò la soglia del loro cortile di Meda, dove vivevano cento persone, con due bagni all'aperto e due fontanelle per l'acqua, e brandendo in mano una Ruger minacciò la povera gente: “Se scopro che qualcuno nasconde un giudee, vengo qui e sparo un colpo in testa ai vostri figli”.


La nonna Carolina, che aveva un rosario fatto con i fagioli e al centro dei grani una croce, e che aveva sussurrato, rivolto all'uomo vestito di nero in mezzo al cortile, “Dac la crus in mezz ai oec (dagli la croce in mezzo agli occhi)”; nonna che aveva vissuto due guerre cantando “O Gorizia tu sei maledetta” e “Fischia il vento, infuria la bufera”.
E poi, a forgiare il suo spirito combattivo, c'è stata anche mamma Agnese, che lavorava in una fabbrica tessile e quando suonava la sirena dei bombardamenti con le colleghe fuggiva e si rifugiava in una cava. “All'uscita dal lavoro un giorno hanno trovato sui cancelli gli uomini vestiti di nero che le hanno chiamate meretrici e le hanno prese a schiaffi. Ho visto tornare mia mamma con le guance rosse. Poi sono stata espulsa dalla scuola pubblica perchè figlia di meretrice. Io piangevo, allora mia mamma mi ha caricato sulla sella della bicicletta e mi ha portato dalle suore di Maria Bambina. Il nonno faceva la legna nei boschi e poi la portava alla scuola, la mamma dava alle religiose i pezzetti di seta non perfetti dei paracadute che cuciva in fabbrica e che servivano per le tovaglie e gli arredi sacri”.

Ed è proprio dalle suore che Enrica Ceppi ha respirato i primi venti di femminismo. “Mi hanno insegnato il rispetto di me stessa. Perchè devo sposarmi e fare la serva a un uomo? mi diceva la suora. Ho preferito sposare Gesù”. Ho imparato da loro il concetto della maternità come responsabilità verso chi viene dopo e non come possesso”.
Le battaglie di allora per la sopravvivenza dalla fame e dalla guerra, oggi sono per la resistenza delle idee.
“In questi giorni si sfrattano le persone e le cose ma gli ideali di solidarietà umana restano, non vengono sfrattati. Sono come l'acqua” e apre il palmo per richiudere le dita in un pugno “non la puoi stringere e comprimere in una mano, ti scivola via. Ci vogliono afferrare come se afferrassero l'acqua, ma hanno già perso. Questa smargiassata è forse un avvertimento per chi ha idee strane in testa? Provo una grande amarezza sentendo la presidente del consiglio parlare di ripristino dello stato di diritto...ma di quale diritto va cianciando? Sono diritti scritti nella Costituzione, costata fame, freddo, sofferenze, vite umane. Se avessi le forze oggi andrei al “Leo”. Di cosa devo avere paura a 88 anni? Non sono certo arrivata a questa età per farmi intimidire...I miei pensieri sono forti perchè ho avuto con me donne dai pensieri forti”.
E.Ma. - S.V.