Risurrezione e cremazione. Un lettore chiede a Santoro

Risurrezione ritorno unione corpo ed anima
Buongiorno, vorrei porre una domanda al dott. Santoro in merito alla sua bellissima dissertazione sull'Assunzione della Madonna con anima e corpo in cielo chiedo come la Chiesa possa accettare la cremazione.

Luca
Caro Luca, 

la tua domanda pone una questione che spesso crea perplessità: come conciliare la fede nella risurrezione della carne con la prassi, di cui Maria è anticipazione, con la sua Assunzione, ammessa dalla Chiesa Cattolica, della cremazione. Partiamo dalla Sacra Scrittura, passando per la Tradizione e culminando nel Magistero per capire se possiamo dare una risposta.

Nel mondo ebraico antico, la sepoltura era considerata un atto di pietà fondamentale. Non seppellire un morto era ritenuto una grande offesa (cf. Dt 21,23). Pensiamo ad Abramo che compra la grotta di Macpela per dare sepoltura a Sara (Gen 23): un gesto che esprime la fede nella continuità del popolo e nella promessa di Dio. La cremazione, invece, appare raramente e in contesti negativi. In Amos 2,1 si cita come colpa dei Moabiti l’aver bruciato le ossa del re di Edom, segno di disprezzo. Bruciare un cadavere è visto, in genere, come atto di punizione o maledizione (cf. Giosuè 7,25, a proposito di Acan). Nella mentalità ebraica, la dignità della persona chiedeva che il corpo fosse deposto nella terra. Nella prima Alleanza non c’è ancora una dottrina chiara sulla risurrezione dei corpi. Si afferma gradualmente: in Daniele 12,2 troviamo una delle prime espressioni esplicite: 

«Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna, gli altri alla vergogna e all’infamia eterna».
In 2Mac 7, i fratelli martiri affrontano la morte certi che Dio ridonerà loro i corpi: 

«Il Re del mondo ci risusciterà a vita nuova ed eterna, perché noi moriamo per le sue leggi» (2Mac 7,9).

Questa fede cresce gradualmente a partire dall’esperienza dell’Alleanza: se Dio è fedele, non può lasciare che i suoi giusti vadano in perdizione.
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Il Nuovo Testamento affronta più chiaramente il tema della risurrezione dei morti. Gesù stesso afferma: 

«Verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno» 
(Gv 5,28-29)


Gesù stesso compie tre miracoli, chiamati comunemente rianimazioni, e sono:

  • La figlia di Giairo (Mc 5,21-43; Mt 9,18-26; Lc 8,40-56), miracolo citato da tutti i sinottici in cui Gesù prende la mano della fanciulla e dice: “Talità kum”, cioè “Fanciulla, io ti dico: alzati!”.
  • Il figlio della vedova di Nain (Lc 7,11-17) dove Gesù incontra il corteo funebre composto da una madre sola, che ha perso l’unico figlio. «Non piangere», le dice. Poi tocca la bara e comanda: “Ragazzo, dico a te, alzati!”. 
  • Lazzaro di Betania (Gv 11,1-44), amico di Gesù. È il miracolo più grande, a ridosso dell’ultima Pasqua di Gesù: un uomo morto, già in decomposizione. Gesù piange, poi grida: “Lazzaro, vieni fuori!”. Lazzaro esce, ancora avvolto in bende: segno che è tornato alla vita terrena, ma non definitiva.
Questi tre miracoli sono anticipo e profezia della risurrezione di Cristo. Non si tratta di una risurrezione nel vero senso della parola ma di un ritorno alla vita terrena, di rianimazioni: tutti e tre, prima o poi, moriranno di nuovo. I risorti non muoiono più. 

Il corpo risorto non è una copia identica del corpo terreno, ma la sua trasfigurazione: ciò che era limitato e corruttibile diventa eterno e spirituale. Per questo Maria di Magdala, la mattina di Pasqua, riconosce Gesù dalla sua voce e non dal suo corpo (Gv 20). Anche gli apostoli sul lago di Tiberiade in Gv 21 e i discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-35) non lo riconoscono dal viso o dal corpo ma dai suoi gesti, “si aprirono loro gli occhi nello spezzare il pane” come ha fatto per l’Ultima Cena. Per questo non si tratta di “ricostruire” cellula dopo cellula le spoglie mortali, ma di ricevere da Dio un’esistenza nuova e senza fine. È la logica del seme: ciò che muore nel terreno non è ciò che sboccia, eppure tra seme e pianta c’è un legame reale.

Per secoli la Chiesa ha visto nella sepoltura il gesto più conforme alla fede. Da un lato perché riproduce ciò che accadde a Cristo, deposto nel sepolcro e risorto il terzo giorno; dall’altro perché la terra che custodisce i corpi è segno di attesa, di sonno, di speranza. Non a caso i primi cristiani parlavano della morte come dormire in Cristo (cf. 1Ts 4,13-14). La cremazione, invece, nel mondo antico era spesso legata a visioni pagane che negavano l’aldilà o riducevano l’uomo a polvere senza futuro. Per questo, fino al XX secolo, la Chiesa l’ha proibita, considerando la sepoltura un segno non solo di pietà, ma anche di testimonianza della fede.

Il primo passo di apertura arriva con l’Istruzione Piam et constantem (1963) del Sant’Uffizio, che ammise la cremazione a condizione che non fosse scelta per negare la risurrezione o la vita eterna. Il Codice di Diritto Canonico del 1983 (can. 1176 §3) ribadisce la preferenza per la sepoltura, ma riconosce la possibilità della cremazione. È un punto di equilibrio: la Chiesa non obbliga più a un solo rito, ma ricorda che la scelta non deve mai essere segno di rifiuto della fede. Più recentemente, l’Istruzione Ad resurgendum cum Christo (2016) della Congregazione per la Dottrina della Fede ha ribadito alcuni principi chiari:

  • la cremazione è lecita, purché non esprima negazione della fede;
  • le ceneri devono essere conservate in luogo sacro, non in casa, né disperse in natura;
  • la sepoltura resta la forma più conforme alla tradizione cristiana.
 Il motivo è semplice: il corpo non è un guscio da smaltire, ma parte della persona, tempio dello Spirito Santo (cf. 1Cor 6,19).
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È vero, come qualcuno osservava, che anche la prassi funeraria ha un lato economico. Il mondo dei riti di sepoltura o cremazione è diventato un settore di mercato, e questo influenza inevitabilmente le scelte. Ma la prospettiva cristiana non è mai meramente economica: ciò che conta è il segno di fede che accompagna il gesto. La sepoltura o la cremazione diventano così luoghi teologici, cioè spazi in cui la speranza cristiana si esprime concretamente.

La Chiesa oggi ammette la cremazione, ma continua a raccomandare la sepoltura come segno della fede nella risurrezione. La speranza cristiana non si appoggia sul marmo delle tombe o sulla cenere delle urne, ma sulla promessa di Cristo: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà» (Gv 11,25). Che siano ossa custodite in una tomba o cenere raccolta in un’urna, ciò che salva è la promessa di Cristo e la fedeltà a lui, non la conservazione materiale. E se Maria è stata assunta in cielo con anima e corpo, è dire che anche il corpo è chiamata alla gloria. La risurrezione non è un atto di biologia, ma di amore divino che ricrea tutto.
Pietro Santoro
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