Un neoborbonico in Brianza
Alle dichiarazioni di Roberto Castelli (storico esponente della Lega Nord, che ha lasciato nel 2023, in dissenso con il segretario federale Salvini, per fondare il Partito Popolare del Nord), secondo cui «Questo governo a trazione leghista “Roma Padrona” spende solo per il Sud» risponde Pietro Santoro con una lunga dissertazione, in cui rivelerebbe ai lettori di Merateonline la verità sul Risorgimento, nientemeno:
«la verità, quella che dà fastidio dire, è che il Sud è stato spolpato per più di un secolo, e adesso, appena si prova a restituirgli qualcosa, al Nord gridano allo scandalo. Ma questa visione, oltre a essere miope e distorta, dimentica una verità storica che raramente si ha il coraggio di raccontare: è stato il Sud a essere saccheggiato, svuotato, umiliato, per permettere al Nord di diventare quello che è oggi».
La verità svelata nell’articolo mette radicalmente in discussione il processo risorgimentale e coincide con la versione dei cosiddetti neoborbonici, i quali sostengono che il Risorgimento fu un errore, un disastro che danneggiò soprattutto il Mezzogiorno. Il prospero e pacifico Regno delle Due Sicilie, la «Borbonia felix», fu vittima innocente di un’invasione straniera, della successiva occupazione e del saccheggio perpetrato dal nuovo Stato italiano, che prima assorbì le risorse del Sud per finanziare lo sviluppo industriale del Nord, poi abbandonò il Meridione alla sua sconsolata arretratezza, depauperandolo a poco a poco di risorse umane e finanziarie.
Ci tengo a ribadire chiaramente il punto: l’interpretazione storica del Risorgimento costruita nell’articolo coincide sostanzialmente con quella dei neoborbonici, e allora vale la pena di leggere uno stralcio del manifesto del Movimento neoborbonico, intitolato «Perché neoborbonici?”:
«Il Movimento Neoborbonico è un movimento culturale che nasce per ricostruire la storia del Sud e con essa l’orgoglio di essere meridionali. […] Potevamo definirci neogreci, neoaragonesi, ma ci siamo definiti neoborbonici perché con i Borbone, per l’ultima volta, i Meridionali sono stati un popolo amato, rispettato e temuto in tutto il mondo. Attraverso ricerche in archivi e biblioteche, convegni, celebrazioni, pubblicazioni e seminari nelle scuole superiori e tra gli iscritti il Movimento Neoborbonico intende ristabilire la verità storica in particolare per il periodo relativo al risorgimento italiano».
Il fatto è che le pubblicazioni e le idee legate al neoborbonismo sono considerate dalla comunità scientifica pseudostoria, e cioè pubblicistica non sempre attendibile dal punto di vista storiografico, semplicemente perché in molti casi ha carattere giornalistico ed è intesa a dare un’interpretazione dei fatti con un preciso obiettivo polemico, e cioè riscrivere la storia del Risorgimento. La scarsa considerazione del mondo accademico per il Movimento neoborbonico non ne ha impedito lo sviluppo né la diffusione delle idee, avvenuta soprattutto in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia. Grazie a una vivace attività pubblicistica, polemica e convegnistica, il Movimento è riuscito a ottenere visibilità. Sulla rete si è anzi generata una vera e propria mitologia sui torti subiti dal Sud, allora, oggi e in tutto il cammino della storia nazionale. Una mitologia nostalgica, spesso vittimista, e soprattutto divisiva, perché per funzionare ha bisogno di buoni e di cattivi: nella controstoria neoborbonica del Risorgimento il popolo e il Regno delle Due Sicilie sono vittime calpestate e mortificate, i piemontesi e il Nord sono una potenza colonizzatrice, determinata a reperire risorse e manodopera da sfruttare. Il copione punta tutto su una distribuzione manichea, in bianco e nero, di torti e ragioni. Ma è una mitologia, appunto, e di quelle funeste.
Intendiamoci: diversi storici appartenenti alla comunità scientifica hanno proposto nuovi bilanci dell’esperienza borbonica e di quella risorgimentale. Si lavora negli archivi, si pubblicano nuovi libri e il dibattito è aperto. C’è però un discrimine tra una ricerca di taglio accademico e un pamphlet come per esempio il bestseller Terroni di Pino Aprile. Il problema non è certo mettere in evidenza i chiaroscuri del Risorgimento, avere invece come unico obiettivo polemico la completa delegittimazione del processo unitario è un problema, sì. La storiografia scientifica ha un obiettivo diverso e dibattuto in altre sedi: si propone di spiegare con maggior equilibrio, con diversi strumenti analitici e con un’attitudine più problematica le cause profonde della questione meridionale, che nella sua complessità si lega anche al passato risorgimentale e borbonico.
Siamo giunti a un passaggio delicato: l’uso pubblico della storia. Al di fuori delle sedi accademiche, e specialmente sui giornali e sui social, una questione storiografica esiste solo se esistono almeno due fazioni, due posizioni spesso inconciliabili tra loro: esempi tipicamente italiani sono destra e sinistra, meridionale e settentrionale... Un primo rischio è allora quello di iniziare a cercare nelle fonti non la verità, ma la conferma di un pregiudizio, e di produrre interpretazioni della storia non ben fondate, ma radicali e sensazionalistiche, su cui si aprono dispute marcatamente ideologiche, in cui la realtà storica a poco a poco scivola fuori dal quadro per lasciare il campo alla polarizzazione del dibattito. L’obiettivo dei contendenti a quel punto diventa soprattutto smentire l’avversario.
Un altro rischio, il peggiore, dell’uso pubblico spregiudicato della storia consiste nel proporre riletture estreme o spericolate attualizzazioni di vicende storiche ai fini del dibattito politico odierno: il passato viene schiacciato sul presente e se ne perdono i riferimenti e le specificità. A pensarci bene si tratta del nostro caso, il dibattito è nato infatti dalla dichiarazione di un politico sull’Italia attuale, non su quella risorgimentale.
In conclusione, siamo di fronte al rifiuto di una lettura condivisa della storia d’Italia. Per carità, ce ne faremo una ragione. La mia impressione è che gli italiani siano un popolo in disaccordo su molte questioni, come del resto tutti i popoli. Detto questo, a me pare abbastanza chiaro chi, in Italia, tanto al Nord come al Sud, si rifiuta cocciutamente e faziosamente di condividere una lettura finalmente concorde della storia dell’unificazione nazionale. Oltre ai leghisti e a uomini e donne delle fedi più varie, ora sappiamo che tra di loro possiamo comprendere i neoborbonici.
Una lettura seria della storia d’Italia deve intendere non solo il processo risorgimentale ma anche la questione meridionale come parti integranti della vicenda nazionale contemporanea, che va appunto studiata dagli storici nelle accademie. Ho scritto vicenda nazionale, sì, non padana né borbonica: nazionale.
P.S. Alla bibliografia già condivisa, aggiungo due contributi di Alessandro Barbero: un audio intitolato Le falsità del neoborbonismo, disponibile su youtube: chi avrà la pazienza di ascoltarlo riconoscerà alcuni degli argomenti che ho ripreso da lui e riportato nel testo, e vedrà smentite pressoché tutte le tesi dei neoborbonici. L’altro è un libro: I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle – e forse non c’è da sorprendersi che manchi nella bibliografia, peraltro ponderosa, del pezzo di Santoro.
«la verità, quella che dà fastidio dire, è che il Sud è stato spolpato per più di un secolo, e adesso, appena si prova a restituirgli qualcosa, al Nord gridano allo scandalo. Ma questa visione, oltre a essere miope e distorta, dimentica una verità storica che raramente si ha il coraggio di raccontare: è stato il Sud a essere saccheggiato, svuotato, umiliato, per permettere al Nord di diventare quello che è oggi».
La verità svelata nell’articolo mette radicalmente in discussione il processo risorgimentale e coincide con la versione dei cosiddetti neoborbonici, i quali sostengono che il Risorgimento fu un errore, un disastro che danneggiò soprattutto il Mezzogiorno. Il prospero e pacifico Regno delle Due Sicilie, la «Borbonia felix», fu vittima innocente di un’invasione straniera, della successiva occupazione e del saccheggio perpetrato dal nuovo Stato italiano, che prima assorbì le risorse del Sud per finanziare lo sviluppo industriale del Nord, poi abbandonò il Meridione alla sua sconsolata arretratezza, depauperandolo a poco a poco di risorse umane e finanziarie.
Ci tengo a ribadire chiaramente il punto: l’interpretazione storica del Risorgimento costruita nell’articolo coincide sostanzialmente con quella dei neoborbonici, e allora vale la pena di leggere uno stralcio del manifesto del Movimento neoborbonico, intitolato «Perché neoborbonici?”:
«Il Movimento Neoborbonico è un movimento culturale che nasce per ricostruire la storia del Sud e con essa l’orgoglio di essere meridionali. […] Potevamo definirci neogreci, neoaragonesi, ma ci siamo definiti neoborbonici perché con i Borbone, per l’ultima volta, i Meridionali sono stati un popolo amato, rispettato e temuto in tutto il mondo. Attraverso ricerche in archivi e biblioteche, convegni, celebrazioni, pubblicazioni e seminari nelle scuole superiori e tra gli iscritti il Movimento Neoborbonico intende ristabilire la verità storica in particolare per il periodo relativo al risorgimento italiano».
Il fatto è che le pubblicazioni e le idee legate al neoborbonismo sono considerate dalla comunità scientifica pseudostoria, e cioè pubblicistica non sempre attendibile dal punto di vista storiografico, semplicemente perché in molti casi ha carattere giornalistico ed è intesa a dare un’interpretazione dei fatti con un preciso obiettivo polemico, e cioè riscrivere la storia del Risorgimento. La scarsa considerazione del mondo accademico per il Movimento neoborbonico non ne ha impedito lo sviluppo né la diffusione delle idee, avvenuta soprattutto in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia. Grazie a una vivace attività pubblicistica, polemica e convegnistica, il Movimento è riuscito a ottenere visibilità. Sulla rete si è anzi generata una vera e propria mitologia sui torti subiti dal Sud, allora, oggi e in tutto il cammino della storia nazionale. Una mitologia nostalgica, spesso vittimista, e soprattutto divisiva, perché per funzionare ha bisogno di buoni e di cattivi: nella controstoria neoborbonica del Risorgimento il popolo e il Regno delle Due Sicilie sono vittime calpestate e mortificate, i piemontesi e il Nord sono una potenza colonizzatrice, determinata a reperire risorse e manodopera da sfruttare. Il copione punta tutto su una distribuzione manichea, in bianco e nero, di torti e ragioni. Ma è una mitologia, appunto, e di quelle funeste.

Manifesto del Movimento borbonico per i 150 anni dell'unità d'Italia
Intendiamoci: diversi storici appartenenti alla comunità scientifica hanno proposto nuovi bilanci dell’esperienza borbonica e di quella risorgimentale. Si lavora negli archivi, si pubblicano nuovi libri e il dibattito è aperto. C’è però un discrimine tra una ricerca di taglio accademico e un pamphlet come per esempio il bestseller Terroni di Pino Aprile. Il problema non è certo mettere in evidenza i chiaroscuri del Risorgimento, avere invece come unico obiettivo polemico la completa delegittimazione del processo unitario è un problema, sì. La storiografia scientifica ha un obiettivo diverso e dibattuto in altre sedi: si propone di spiegare con maggior equilibrio, con diversi strumenti analitici e con un’attitudine più problematica le cause profonde della questione meridionale, che nella sua complessità si lega anche al passato risorgimentale e borbonico.
Siamo giunti a un passaggio delicato: l’uso pubblico della storia. Al di fuori delle sedi accademiche, e specialmente sui giornali e sui social, una questione storiografica esiste solo se esistono almeno due fazioni, due posizioni spesso inconciliabili tra loro: esempi tipicamente italiani sono destra e sinistra, meridionale e settentrionale... Un primo rischio è allora quello di iniziare a cercare nelle fonti non la verità, ma la conferma di un pregiudizio, e di produrre interpretazioni della storia non ben fondate, ma radicali e sensazionalistiche, su cui si aprono dispute marcatamente ideologiche, in cui la realtà storica a poco a poco scivola fuori dal quadro per lasciare il campo alla polarizzazione del dibattito. L’obiettivo dei contendenti a quel punto diventa soprattutto smentire l’avversario.
Un altro rischio, il peggiore, dell’uso pubblico spregiudicato della storia consiste nel proporre riletture estreme o spericolate attualizzazioni di vicende storiche ai fini del dibattito politico odierno: il passato viene schiacciato sul presente e se ne perdono i riferimenti e le specificità. A pensarci bene si tratta del nostro caso, il dibattito è nato infatti dalla dichiarazione di un politico sull’Italia attuale, non su quella risorgimentale.
In conclusione, siamo di fronte al rifiuto di una lettura condivisa della storia d’Italia. Per carità, ce ne faremo una ragione. La mia impressione è che gli italiani siano un popolo in disaccordo su molte questioni, come del resto tutti i popoli. Detto questo, a me pare abbastanza chiaro chi, in Italia, tanto al Nord come al Sud, si rifiuta cocciutamente e faziosamente di condividere una lettura finalmente concorde della storia dell’unificazione nazionale. Oltre ai leghisti e a uomini e donne delle fedi più varie, ora sappiamo che tra di loro possiamo comprendere i neoborbonici.
Una lettura seria della storia d’Italia deve intendere non solo il processo risorgimentale ma anche la questione meridionale come parti integranti della vicenda nazionale contemporanea, che va appunto studiata dagli storici nelle accademie. Ho scritto vicenda nazionale, sì, non padana né borbonica: nazionale.
P.S. Alla bibliografia già condivisa, aggiungo due contributi di Alessandro Barbero: un audio intitolato Le falsità del neoborbonismo, disponibile su youtube: chi avrà la pazienza di ascoltarlo riconoscerà alcuni degli argomenti che ho ripreso da lui e riportato nel testo, e vedrà smentite pressoché tutte le tesi dei neoborbonici. L’altro è un libro: I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle – e forse non c’è da sorprendersi che manchi nella bibliografia, peraltro ponderosa, del pezzo di Santoro.
Francesco Bonfanti