Ponte: Salvini ha perso tutto per un sogno che non era il suo
Il Ponte sullo Stretto: il suicidio politico di Salvini e la fine della Lega territoriale Matteo Salvini ha scelto il Ponte sullo Stretto come il suo grande lascito. Ma forse sarà la sua epigrafe politica. Perché in quel cemento armato non c’è solo un’opera ingegneristica: c’è la rottura definitiva tra la Lega e la sua identità originaria. La Lega nasce come partito territoriale, radicato nel Nord, con lo slogan “Roma ladrona” e la difesa delle autonomie locali. Oggi, spinge per un’opera che centralizza, accentra, e ignora le vere esigenze dei territori. Non c’è nulla di “federalista” nel Ponte: è un progetto calato dall’alto, imposto con arroganza, e venduto come panacea per il Sud. Ma il Sud non ha chiesto il ponte. Ha chiesto treni, strade, lavoro, servizi. E il Nord, storicamente cuore della Lega, non lo riconosce più in questa deriva meridionalista di facciata. Salvini ha sacrificato l’identità del suo partito per un’opera che non vedrà mai finita, e che potrebbe diventare il suo boomerang elettorale. Il Ponte non unisce: divide. Divide il Paese tra chi crede ancora nella politica dei territori e chi si affida ai colpi di teatro. Divide la Lega tra chi vuole tornare alle origini e chi rincorre il consenso a Sud. Divide Salvini dalla sua base storica, che lo vede sempre più lontano, sempre più solo. E quando il cemento sarà versato, forse sarà troppo tardi. Il Ponte sarà lì, incompiuto o contestato, e Salvini sarà altrove — a spiegare perché ha perso tutto per inseguire un sogno che non era il suo.
Renato Pastorini