Church pocket/71: dopo la triste vicenda di don Matteo, un test. La solitudine dei preti in numeri e il ruolo del Vescovo

La vicenda di don Matteo Balzano ha scosso tanti di noi. Un prete giovane, amato che ha deciso di togliersi la vita proprio in quell’oratorio che ha visto crescere la vita di tanti ragazzi e ragazze. Dopo aver riflettuto su questa storia, ho provato a capire di più. Ho chiesto a un campione di cento sacerdoti, sia diocesani sia religiosi, sparsi in tutta Italia, di raccontarmi la loro esperienza, rispondendo ad un test di dieci domande. Non tutti hanno scelto di sottoporsi al test: alcuni sfiduciati, altri per riservatezza. Ho rispettato, con delicatezza, le reazioni di tutti, comprendendo che una morte del genere interroga tanti, soprattutto preti che vivono una condizione di fragilità interiore. Ringrazio tutti i presbiteri per avermi dedicato il loro tempo e condiviso con me un pezzo della loro interiorità.

I dati raccolti non sono certamente una statistica ISTAT ma ci raccontano un pezzo di Chiesa – anche i laici – che, troppo spesso, lascia soli i propri sacerdoti.
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Ben il 67% dei sacerdoti dichiara chiaramente di sentirsi isolato o di vivere la fraternità sacerdotale in modo solo formale. Questo indica una realtà in cui la vicinanza autentica e costante è ancora troppo rara. La stragrande maggioranza (95%) ha almeno un confratello con cui parlare apertamente, ma esiste comunque una minoranza significativa che affronta tutto da sola o si confida molto raramente.
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Quando arrivano momenti difficili, il 43% dei preti si rivolge principalmente a laici di fiducia o a familiari, mostrando come la fiducia verso confratelli o superiori non sia sempre immediata. Il 42% parla prima con un confratello sacerdote, dimostrando un buon livello di solidarietà interna, ma resta preoccupante quel 14% che non parla con nessuno e affronta ogni difficoltà completamente da solo.
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Particolarmente sensibile è il tema della salute mentale: ben l'81% dei sacerdoti ritiene che nella Chiesa esista ancora un tabù nel parlarne apertamente. Tuttavia, molti sottolineano che qualcosa sta lentamente cambiando, indicando una crescente consapevolezza e apertura verso questo argomento delicato. Il 66% dei preti intervistati ha chiesto almeno una volta aiuto a uno psicologo o a un esperto in relazioni di aiuto, ottenendo spesso risultati positivi. Nonostante ciò, la richiesta di sostegno psicologico rimane difficile per molti sacerdoti, probabilmente per timore di pregiudizi o stigmi interni alla comunità ecclesiale.
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La fede e la preghiera restano elementi centrali, ma non sempre facili da vivere: circa il 30% dei sacerdoti confessa apertamente di faticare a pregare durante i momenti più critici. Inoltre, ben il 70% ha vissuto almeno una volta una crisi vocazionale significativa, spesso cercando aiuto e conforto nelle persone vicine. 
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Un altro aspetto critico è il rapporto con i vescovi: quasi l’80 % dei sacerdoti percepisce il proprio vescovo come distante o presente solo formalmente. Questo dato indica chiaramente una necessità urgente di maggiore vicinanza pastorale e umana da parte delle figure di riferimento. Questo dato potrebbe smontare il “mito” del vescovo come “padre” della diocesi, rivelando una realtà spesso diversa: quella di una crescente burocratizzazione delle strutture diocesane e di accorpamenti territoriali che rendono difficile una relazione capillare e autentica con i sacerdoti. È evidente una necessità urgente di recuperare una vicinanza pastorale e umana autentica, oltre che organizzativa, da parte delle figure di riferimento. Da questo dato emerge come discutibile la politica delle unioni di diocesi in persona episcopi – ossia nominando un vescovo contemporaneamente per due o più diocesi pur lasciandole giuridicamente distinte – aumentando la grandezza dei territori e la popolosità delle diocesi.

Anche il rapporto con le comunità parrocchiali mostra fragilità: solo il 20% dei sacerdoti si sente realmente accompagnato dalla propria comunità, mentre la maggioranza avverte un supporto solo parziale - il 48% - e, in alcuni casi, una reale e dolorosa assenza – il 31 %.
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Infine, emerge il tema delicato del celibato. L’87,5 % dei sacerdoti non lo considera la causa principale della propria solitudine, indicando che le radici del loro isolamento sono più ampie e profonde. Tuttavia, una quota significativa (12,5%) lo indica come un fattore determinante. Questo non significa mettere in discussione il valore spirituale e pastorale del celibato – scelta che personalmente continuo a sostenere con convinzione – ma ci spinge a interrogarci sul modo concreto in cui la Chiesa può sostenere i sacerdoti nel vivere pienamente e serenamente questa dimensione fondamentale della loro vocazione. Ogni tanto, anche tra vescovi e alti prelati, c'è chi rimette in discussione il celibato dei sacerdoti creando solo confusione tra i fedeli. Non è l’obiettivo di questo testo né il sentimento della maggioranza dei preti intervistati. 
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Dietro ogni sacerdote c'è un uomo, dietro ogni talare c'è una storia che merita di essere ascoltata, accompagnata, amata. Diceva don Primo Mazzolari: «Il prete è come una candela che si consuma per far luce agli altri». Ma se la candela brucia da sola, senza nessuno che vegli su di essa, rischia di spegnersi troppo presto, nel silenzio e nell'indifferenza. Gesù nel Vangelo raccomanda ai suoi discepoli: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12). Questo amore è prima di tutto cura reciproca, presenza concreta, ascolto profondo. È tempo che la Chiesa – tutti, laici e consacrati – torni a fare questo amore semplice e vero. Perché nessuno, neanche chi guida e consola gli altri, resti mai più solo. Forse don Matteo ci ha lasciato proprio questo messaggio, duro ma necessario: è giunta l'ora di prenderci cura dei nostri sacerdoti, tanto maltrattati negli ultimi anni. Non con parole vuote, ma con la concretezza di chi guarda negli occhi, apre il cuore e tende la mano. Nessuno si salva da solo. Nemmeno i preti.
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Rubrica a cura di Pietro Santoro
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