Merate: a 10 anni dalla diagnosi di anemia aplastica severa, Carlotta Sandrinelli racconta la sua battaglia (vinta) contro la malattia

Erano le festività di Natale 2015 quando la malattia bussò alla porta di Carlotta.
Senza preavviso.
Un pallore, tanta stanchezza e quei valori che una pediatra del Mandic, che aveva svolto il suo tirocinio al Maria Letizia Verga, subito interpretò correttamente, isolando immediatamente la 13enne con la scusa di un prelievo.
Nel giro di una manciata di minuti la vita calma e serena, scandita dai ritmi del lavoro, della scuola e dello sport della famiglia Sandrinelli, si trasfigurò.
La diagnosi arrivò con tre parole sconosciute e per questo ancora più terribili e spaventose: anemia aplastica severa.
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Papà Alberto, Carlotta, Giorgio e mamma Marta

Nessuno sapeva di cosa si trattasse, ma di certo era qualcosa che da quel momento avrebbe popolato le loro giornate, trasformando i loro sogni in incubi.
Fino a marzo 2016 quando la compatibilità del midollo del fratello Giorgio portò Carlotta, sempre più stremata e spossata dalla malattia, in sala operatoria per il trapianto.
Fuori papà Alberto e mamma Marta si interrogavano sul perchè di tutto questo, dentro sotto i ferri i loro gioielli più preziosi lottavano per il domani.
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Oggi a distanza di 10 anni quei giorni sono lontani ma ancora ben presenti nelle menti di tutti, ma hanno assunto un significato differente: da quei momenti sono nate relazioni, amicizie, condivisioni e anche attività di promozione della ricerca, attraverso borse studio per giovani medici.
Un punto fermo è diventato il torneo di tennis, oggi padel, presso il centro di via Matteotti e che quest'anno è riuscito a radunare 120 iscritti.
Sotto i tendoni gli appassionati sportivi si sono divertiti a mostrare il servizio migliore, a piazzare il colpo più studiato ma soprattutto a divertirsi. E lo hanno fatto in nome della ricerca.
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I vincitori del torneo

“Facciamo miracoli” è il nome del torneo che è stato dato da Carlotta e dalla sua “sorella di reparto”, Angelica: un modo, attraverso lo sport, per sensibilizzare su questa malattia e sulle tante altre che irrompono nella vita delle famiglie e le sconvolgono.
“Ricordo bene quei giorni” ha raccontato Carlotta “erano le feste di Natale. Io tutto sommato stavo benino ma tutti mi dicevano che ero pallida, che non avevo un bell'aspetto. E così la mamma mi ha quasi costretto alla visita. Per qualche notte sono rimasta al Mandic e la sera, affacciandomi alla finestra, vedevo tutto buio, c'era qualche addobbo luminoso. Mi sembrava tutto strano. Poi mi hanno fatto l'aspirato midollare, una volta arrivata al Maria Letizia Verga, e lì è iniziato tutto. E' stato panico puro. Poi mi sono detta: “Lo devo fare e basta”.
Ed è iniziato il percorso di diagnosi e cura. Non in discesa, tutt'altro. Durante i mesi ci sono stati momenti davvero difficili, dove il timore che non si sarebbe arrivati alla fine nel migliore dei modi, ha sfiorato il pensiero di tutta la famiglia che, pur senza dirlo, viveva col fiato sospeso.
“Sono stata una settimana in rianimazione per le complicanze successive al trapianto. È stata dura, ma quando, dopo cinque anni, hanno chiuso la mia cartella ematologica ho pianto come una disperata, era gioia, era paura che si è tramutata in liberazione. Non lo so. Ricordo solo di avere pianto come una pazza tanto che i miei compagni di reparto che mi hanno visto in quelle condizioni si sono spaventati tantissimo perchè pensavano che mi fosse successo qualcosa. Invece io piangevo perchè ero guarita”.
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Carlotta con il sindaco di Merate Mattia Salvioni

Oggi Carlotta è diventata maggiorenne, studia ma non ha smesso di impegnarsi perchè grazie alla ricerca scientifica le cure per queste malattie diventino sempre più efficaci.
“La malattia mi ha fatto diventare adulta prima di essere adolescente. Ho saltato gli anni dove se ne combinano di tutti i colori. Io sono dovuta crescere prima e assumermi le mie responsabilità in anticipo”.
In questo percorso un ruolo imprescindibile lo hanno avuto coloro che le sono stati vicino.
“Un grazie immenso lo dico alla mia famiglia e po all'altra famiglia, quella di Angelica e quella del Maria Letizia Verga. Perchè mi sono state vicine e anche grazie a loro ce l'ho fatta”.
Non per tutti, però, è stato così.
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Angela, una ragazza arrivata dalla Puglia mentre Carlotta lasciava l'istituto sta continuando le terapie perchè per lei non è stato trovato un midollo compatibile, ad oggi l'unica forma di guarigione.
Ele, invece, non ce l'ha fatta. La malattia è stata più forte della grinta dei suoi 12 anni e in poco tempo l'ha spenta. Oggi la mamma organizza eventi in sua memoria e a favore della ricerca.
Per Carlotta, che si è persa un pezzo di adolescenza tra cannule e letti di ospedale, la vita ha un sapore diverso: quello di chi sa cosa significa essere appesi a un filo e ne comprendere ancora di più il valore e l'importanza di ogni istante.
S.V.
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