Verderio, disagio giovanile: la violenza contro la paura
Ha riscosso grande successo e partecipazione la seconda delle due serate - dal titolo “Disagio giovanile: parliamone insieme” - dedicate al tema del disagio giovanile, proposte dai Comuni di Verderio, Robbiate e Paderno d'Adda: martedì sera nella sala dell'Oratorio di Verderio (ex Superiore) si è ritrovato un pubblico numeroso e attento, composto da genitori, educatori, nonni, sensibili all'argomento per confrontarsi su rabbia adolescenziale, comportamenti trasgressivi dei giovani d'oggi e le dinamiche di gruppo nell'adolescenza, che troppo spesso sfociano in condotte devianti.

L'iniziativa è nata dalle amministrazioni comunali in collaborazione con Retesalute e l'Ambito distrettuale di Merate.
Ad introdurre la tematica del malessere giovanile è stato il sindaco di Verderio Danilo Villa: “sono più di trenta i ragazzi affidati a noi e che assistiamo attraverso Retesalute. Buona parte di queste situazioni sono già potenzialmente problematiche, situazioni che potrebbero degenerare: che cosa possiamo fare noi concretamente da amministratori, cittadini e genitori prima che sia troppo tardi?”

Come nel primo incontro, svoltosi la sera del 26 maggio sempre a Verderio, anche in questa occasione è intervenuta come relatrice la dott.ssa Virginia Suigo, psicologa-psicoterapeuta e referente per l’equipe del centro Minotauro, che collabora con i Servizi della Giustizia Minorile della Lombardia. L'istituto, ha spiegato la psicologa, da 40 anni vede un gruppo di esperti (50 ad oggi) con diverse pubblicazioni alle spalle, costantemente impegnato sul campo: dalle scuole, agli sportelli, alle comunità, si occupano e offrono supporto psicologico a ragazzi sottoposti a procedimenti penali e misure cautelari.
Riprendendo le fila rispetto a quanto detto nella precedente serata, dedicata al fenomeno delle baby gang e delle violenze di gruppo, la dottoressa ha ricordato che ci troviamo davanti a una delle generazioni di giovanissimi meno violente, con una stabile diminuzione dei reati, ma che nel periodo dopo la pandemia ha presentato agli addetti ai lavori importanti indicatori di un forte disagio. Disagio che sfocia inevitabilmente in alcuni tipi di reati violenti come le rapine su pubblica via e le risse (tutte condotte che vengono poi messe nel “calderone” delle cosiddette e ormai famigerate “baby gang”).

“L'impressione di noi operatori è che sono ragazzi più spaventati che violenti, più immaturi e meno capaci di risolvere un conflitto, meno capaci di vedere un futuro” ha spiegato la psicologa “questo alimenta un cortocircuito della paura di cui noi adulti dobbiamo farci carico e capire meglio, perchè altrimenti abbiamo risposte che vanno solo verso il versante repressivo, che possono solo peggiorare le cose e aumentare il rischio di recidiva”.
“Dobbiamo provare ad andare a fondo sulle ragioni della rabbia, prima di interromperli quando ci stanno comunicando qualcosa con questi comportamenti” senza giustificarli, ha specificato la specialista e punendo quando è giusto, ma “cui dobbiamo provare noi a dare un senso, perchè spesso nemmeno loro lo sanno spiegare”.

Con esempi anche del proprio vissuto personale e professionale, la dottoressa Suigo a delineato quali sono i fattori di rischio che rendono un soggetto “predestinato” alla carriera antisociale (dal contesto famigliare disagiato all'emarginazione negli istituiti scolastici fin dall'asilo, alle difficoltà di integrazione). Soprattutto in questi casi, l'ideale sarebbe poterli intercettare fin da subito e intervenire sui bambini cresciuti in contesti familiari difficili già nei primi mesi di vita. “Nessuno però è al sicuro” ha ammonito “ci dobbiamo interrogare su che cosa succede in tutte quelle situazioni in cui i ragazzi non presentano invece nessuno di questi fattori di rischio, eppure trovano nel “maranza” un ideale, un modello che è molto “mainstream”, di moda”.

La risposta è stata data in diversi colloqui tenuti dalla dott.ssa Suigo con i giovanissimi: per molti è essenziale l'essere rispettati. Non solo, ma altra emozione scatenante per la microcriminalità di gruppo è più che la rabbia, la noia.
Ecco che quindi si è arrivati al tema centrale della serata: che cosa c'è dietro ai comportamenti violenti dei giovani? Per rispondere a questa domanda la dott.ssa Suigo è partita da un dato: “I ragazzi di oggi non corrono rischi”. Molto accuditi e protetti nell'ambito famigliare e sociale rispetto alle generazioni precedenti, si trovano nella fase dell'adolescenza a essere spinti verso il contatto con il mondo esterno, ma ci arrivano totalmente impreparati, senza aver prima sperimentato il rischio ed aver imparato come gestirlo: “Sono annichiliti dalla vergogna, bloccati dalle aspettative, paralizzati dalla paura che come società stiamo trasmettendo loro: gli stiamo insegnando che il mondo fuori fa paura che è meglio evitare i rischi”.

Senza aver avuto prima la possibilità di sentirsi capaci, di sentirsi grandi, una volta entrati nell'adolescenza ricercano nelle attività illecite come lo spaccio o il traffico di vestiti e scarpe, l'unico mezzo alla loro portata per potersi sentire competenti e più adulti.
Se è vero che i ragazzi non sono propensi a cogliere i rischi, allora potrebbe sembrare assurdo che in molti si cimentino nelle famose “challenge” sui social, sfide pericolose che troppo spesso hanno avuto esito fatale: “oggi non possiamo capire cosa passi nella mente dei ragazzi se non teniamo presente che per loro è fondamentale essere popolari, essere visti e considerati”.
È quindi importantissimo – secondo l'opinione della Professionista – capire come predisporre ambienti e situazioni per metterli alla prova prima che arrivi l'impatto con i rischi dell'adolescenza.
La parola è quindi passata ai presenti, da cui sono arrivati diversi spunti di riflessione e domande. Fra le tante il dubbio che l'istituto della messa alla prova possa deresponsabilizzare i ragazzi, illudendoli di poter scampare le conseguenze delle proprie azioni. La difesa del percorso rieducativo è arrivata dal sindaco di Paderno Gianpaolo Torchio, presente fra il pubblico insieme al suo omologo del comune di Robbiate, Marco Magni.

Durante il dibattito, una mamma ha chiesto come poter quindi cogliere il suggerimento della dottoressa e cercare di responsabilizzare il figlio minorenne, esprimendo la preoccupazione che potesse trascorrere l’estate senza fare nulla: “mi sarebbe piaciuto farlo lavorare quest'estate, per fargli capire cosa significhi, ma non è possibile. Cosa possiamo fare noi genitori per i nostri ragazzi?”. A partire da questo interrogativo, l’assessore alle politiche sociali Natalia Burbello ha segnalato l’iniziativa “Util’Estate”, promossa dall’Ambito di Merate: per due settimane, ragazzi tra i 12 e i 18 anni, seguiti da un educatore, svolgeranno in gruppo attività utili all’interno dei Comuni del territorio, ricevendo al termine delle settimane un bonus di 150 euro come riconoscimento del proprio impegno. La serata si è poi conclusa con una chiosa di don Gianni De Micheli: “Dobbiamo essere qualcuno che riversi su questi giovani una possibilità, qualcuno che dica loro “puoi essere diverso da quello che la tua scorza vuole mostrare all'esterno”, qualcuno che inietti speranza e fiducia nel futuro. Cosa possiamo fare come comunità? Forse proprio creare spazi di scontro e di incontro, dove porre dei limiti e chiederci quali siano i “no” che fanno crescere”.
Infine il saluto e la promessa del sindaco di Verderio di approfondire il tema in futuro con nuovi incontri.

L'iniziativa è nata dalle amministrazioni comunali in collaborazione con Retesalute e l'Ambito distrettuale di Merate.
Ad introdurre la tematica del malessere giovanile è stato il sindaco di Verderio Danilo Villa: “sono più di trenta i ragazzi affidati a noi e che assistiamo attraverso Retesalute. Buona parte di queste situazioni sono già potenzialmente problematiche, situazioni che potrebbero degenerare: che cosa possiamo fare noi concretamente da amministratori, cittadini e genitori prima che sia troppo tardi?”

Il sindaco di Verderio Danilo Villa
Come nel primo incontro, svoltosi la sera del 26 maggio sempre a Verderio, anche in questa occasione è intervenuta come relatrice la dott.ssa Virginia Suigo, psicologa-psicoterapeuta e referente per l’equipe del centro Minotauro, che collabora con i Servizi della Giustizia Minorile della Lombardia. L'istituto, ha spiegato la psicologa, da 40 anni vede un gruppo di esperti (50 ad oggi) con diverse pubblicazioni alle spalle, costantemente impegnato sul campo: dalle scuole, agli sportelli, alle comunità, si occupano e offrono supporto psicologico a ragazzi sottoposti a procedimenti penali e misure cautelari.
Riprendendo le fila rispetto a quanto detto nella precedente serata, dedicata al fenomeno delle baby gang e delle violenze di gruppo, la dottoressa ha ricordato che ci troviamo davanti a una delle generazioni di giovanissimi meno violente, con una stabile diminuzione dei reati, ma che nel periodo dopo la pandemia ha presentato agli addetti ai lavori importanti indicatori di un forte disagio. Disagio che sfocia inevitabilmente in alcuni tipi di reati violenti come le rapine su pubblica via e le risse (tutte condotte che vengono poi messe nel “calderone” delle cosiddette e ormai famigerate “baby gang”).

La dott.ssa Virginia Suigo
“L'impressione di noi operatori è che sono ragazzi più spaventati che violenti, più immaturi e meno capaci di risolvere un conflitto, meno capaci di vedere un futuro” ha spiegato la psicologa “questo alimenta un cortocircuito della paura di cui noi adulti dobbiamo farci carico e capire meglio, perchè altrimenti abbiamo risposte che vanno solo verso il versante repressivo, che possono solo peggiorare le cose e aumentare il rischio di recidiva”.
“Dobbiamo provare ad andare a fondo sulle ragioni della rabbia, prima di interromperli quando ci stanno comunicando qualcosa con questi comportamenti” senza giustificarli, ha specificato la specialista e punendo quando è giusto, ma “cui dobbiamo provare noi a dare un senso, perchè spesso nemmeno loro lo sanno spiegare”.

L'assessore Natalia Burbello
Con esempi anche del proprio vissuto personale e professionale, la dottoressa Suigo a delineato quali sono i fattori di rischio che rendono un soggetto “predestinato” alla carriera antisociale (dal contesto famigliare disagiato all'emarginazione negli istituiti scolastici fin dall'asilo, alle difficoltà di integrazione). Soprattutto in questi casi, l'ideale sarebbe poterli intercettare fin da subito e intervenire sui bambini cresciuti in contesti familiari difficili già nei primi mesi di vita. “Nessuno però è al sicuro” ha ammonito “ci dobbiamo interrogare su che cosa succede in tutte quelle situazioni in cui i ragazzi non presentano invece nessuno di questi fattori di rischio, eppure trovano nel “maranza” un ideale, un modello che è molto “mainstream”, di moda”.

Il sindaco di Paderno Gianpaolo Torchio
La risposta è stata data in diversi colloqui tenuti dalla dott.ssa Suigo con i giovanissimi: per molti è essenziale l'essere rispettati. Non solo, ma altra emozione scatenante per la microcriminalità di gruppo è più che la rabbia, la noia.
Ecco che quindi si è arrivati al tema centrale della serata: che cosa c'è dietro ai comportamenti violenti dei giovani? Per rispondere a questa domanda la dott.ssa Suigo è partita da un dato: “I ragazzi di oggi non corrono rischi”. Molto accuditi e protetti nell'ambito famigliare e sociale rispetto alle generazioni precedenti, si trovano nella fase dell'adolescenza a essere spinti verso il contatto con il mondo esterno, ma ci arrivano totalmente impreparati, senza aver prima sperimentato il rischio ed aver imparato come gestirlo: “Sono annichiliti dalla vergogna, bloccati dalle aspettative, paralizzati dalla paura che come società stiamo trasmettendo loro: gli stiamo insegnando che il mondo fuori fa paura che è meglio evitare i rischi”.

Don Gianni De Micheli
Senza aver avuto prima la possibilità di sentirsi capaci, di sentirsi grandi, una volta entrati nell'adolescenza ricercano nelle attività illecite come lo spaccio o il traffico di vestiti e scarpe, l'unico mezzo alla loro portata per potersi sentire competenti e più adulti.
Se è vero che i ragazzi non sono propensi a cogliere i rischi, allora potrebbe sembrare assurdo che in molti si cimentino nelle famose “challenge” sui social, sfide pericolose che troppo spesso hanno avuto esito fatale: “oggi non possiamo capire cosa passi nella mente dei ragazzi se non teniamo presente che per loro è fondamentale essere popolari, essere visti e considerati”.
È quindi importantissimo – secondo l'opinione della Professionista – capire come predisporre ambienti e situazioni per metterli alla prova prima che arrivi l'impatto con i rischi dell'adolescenza.
La parola è quindi passata ai presenti, da cui sono arrivati diversi spunti di riflessione e domande. Fra le tante il dubbio che l'istituto della messa alla prova possa deresponsabilizzare i ragazzi, illudendoli di poter scampare le conseguenze delle proprie azioni. La difesa del percorso rieducativo è arrivata dal sindaco di Paderno Gianpaolo Torchio, presente fra il pubblico insieme al suo omologo del comune di Robbiate, Marco Magni.

Durante il dibattito, una mamma ha chiesto come poter quindi cogliere il suggerimento della dottoressa e cercare di responsabilizzare il figlio minorenne, esprimendo la preoccupazione che potesse trascorrere l’estate senza fare nulla: “mi sarebbe piaciuto farlo lavorare quest'estate, per fargli capire cosa significhi, ma non è possibile. Cosa possiamo fare noi genitori per i nostri ragazzi?”. A partire da questo interrogativo, l’assessore alle politiche sociali Natalia Burbello ha segnalato l’iniziativa “Util’Estate”, promossa dall’Ambito di Merate: per due settimane, ragazzi tra i 12 e i 18 anni, seguiti da un educatore, svolgeranno in gruppo attività utili all’interno dei Comuni del territorio, ricevendo al termine delle settimane un bonus di 150 euro come riconoscimento del proprio impegno. La serata si è poi conclusa con una chiosa di don Gianni De Micheli: “Dobbiamo essere qualcuno che riversi su questi giovani una possibilità, qualcuno che dica loro “puoi essere diverso da quello che la tua scorza vuole mostrare all'esterno”, qualcuno che inietti speranza e fiducia nel futuro. Cosa possiamo fare come comunità? Forse proprio creare spazi di scontro e di incontro, dove porre dei limiti e chiederci quali siano i “no” che fanno crescere”.
Infine il saluto e la promessa del sindaco di Verderio di approfondire il tema in futuro con nuovi incontri.
F.F.