Acqua pubblica, referendum tradito
Abbiamo chiesto a Lario Reti di commentare i rilievi del lettore. Lo spazio resta a disposizione dell'azienda pubblica.
Gentile redazione,
scrivo per sottoporre all’attenzione dei lettori di Merateonline una profonda contraddizione che riguarda da vicino anche il nostro territorio e il servizio idrico gestito da Lario Reti Holding.
Nel 2011, oltre 26 milioni di cittadini italiani parteciparono a un referendum storico per l’acqua pubblica. Con oltre il 95% dei voti favorevoli, fu abrogata la norma che consentiva di trarre profitto dalla gestione del servizio idrico. I cittadini dissero con forza che l’acqua doveva restare fuori dal mercato, come bene comune e diritto universale. Eppure, 14 anni dopo, il principio sancito democraticamente è stato svuotato di significato.
Lo dimostra anche il recente bilancio approvato da Lario Reti Holding per il 2024: ricavi per 66,8 milioni di euro, utile netto di 8,1 milioni, in un settore che per legge non dovrebbe generare profitti. Sebbene parte dell’utile venga reinvestito, il fatto stesso che vi sia un "utile netto" stride con quanto aƯermato dalla volontà popolare. Si potrà obiettare che gli investimenti sono necessari, e che Lario Reti ha operato interventi importanti nel territorio (fognature, acquedotti, digitalizzazione, PNRR). Tuttavia, il referendum non vietava gli investimenti, bensì la remunerazione del capitale, che oggi riemerge sotto nuove voci contabili: “oneri finanziari”, “costi della risorsa finanziaria”, “recupero integrale dei costi”.
Un gioco semantico che non inganna chi ricorda cosa abbiamo votato. Il caso non è solo locale. Come ha denunciato recentemente un gruppo di giuristi in un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, lo Stato italiano avrebbe violato il principio democratico alla base del referendum, permettendo che si continuasse a fare business su un bene essenziale come l’acqua. Mi chiedo – e credo se lo chiedano in molti – se non sia ora di ripensare seriamente il modello di gestione del servizio idrico.
Se i gestori pubblici o a partecipazione pubblica agiscono con logiche private e distribuiscono dividendi, allora quel "pubblico" è solo di facciata.
In un momento storico in cui la fiducia nelle istituzioni è fragile, vedere calpestata così platealmente una decisione popolare rischia di minare ulteriormente il patto tra cittadini e Stato. Se nemmeno un referendum vale più, cosa resta della sovranità popolare?
Ora non resta che attendere. A Strasburgo si gioca una partita che va oltre i codici e le carte bollate: lì si giudica se è lecito ignorare la voce di 26 milioni di cittadini.
Cordiali Saluti
Gentile redazione,
scrivo per sottoporre all’attenzione dei lettori di Merateonline una profonda contraddizione che riguarda da vicino anche il nostro territorio e il servizio idrico gestito da Lario Reti Holding.
Nel 2011, oltre 26 milioni di cittadini italiani parteciparono a un referendum storico per l’acqua pubblica. Con oltre il 95% dei voti favorevoli, fu abrogata la norma che consentiva di trarre profitto dalla gestione del servizio idrico. I cittadini dissero con forza che l’acqua doveva restare fuori dal mercato, come bene comune e diritto universale. Eppure, 14 anni dopo, il principio sancito democraticamente è stato svuotato di significato.
Lo dimostra anche il recente bilancio approvato da Lario Reti Holding per il 2024: ricavi per 66,8 milioni di euro, utile netto di 8,1 milioni, in un settore che per legge non dovrebbe generare profitti. Sebbene parte dell’utile venga reinvestito, il fatto stesso che vi sia un "utile netto" stride con quanto aƯermato dalla volontà popolare. Si potrà obiettare che gli investimenti sono necessari, e che Lario Reti ha operato interventi importanti nel territorio (fognature, acquedotti, digitalizzazione, PNRR). Tuttavia, il referendum non vietava gli investimenti, bensì la remunerazione del capitale, che oggi riemerge sotto nuove voci contabili: “oneri finanziari”, “costi della risorsa finanziaria”, “recupero integrale dei costi”.
Un gioco semantico che non inganna chi ricorda cosa abbiamo votato. Il caso non è solo locale. Come ha denunciato recentemente un gruppo di giuristi in un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, lo Stato italiano avrebbe violato il principio democratico alla base del referendum, permettendo che si continuasse a fare business su un bene essenziale come l’acqua. Mi chiedo – e credo se lo chiedano in molti – se non sia ora di ripensare seriamente il modello di gestione del servizio idrico.
Se i gestori pubblici o a partecipazione pubblica agiscono con logiche private e distribuiscono dividendi, allora quel "pubblico" è solo di facciata.
In un momento storico in cui la fiducia nelle istituzioni è fragile, vedere calpestata così platealmente una decisione popolare rischia di minare ulteriormente il patto tra cittadini e Stato. Se nemmeno un referendum vale più, cosa resta della sovranità popolare?
Ora non resta che attendere. A Strasburgo si gioca una partita che va oltre i codici e le carte bollate: lì si giudica se è lecito ignorare la voce di 26 milioni di cittadini.
Cordiali Saluti
Massimiliano