Osnago: ambiente montano e cambiamento climatico

Gli amanti della montagna sono numerosi e lo conferma l’alta adesione ad associazioni come il Cai e il volontariato per la tutela di aree come il Parco di Montevecchia e del Curone o il Monte di Brianza.
Ma la montagna, intesa come ambiente naturale, sta mostrando una sofferenza crescente. Basti pensare, è cronaca di questi giorni, alla violenta caduta del ghiacciaio sul versante del monte Kleines Nesthorn, nei pressi del villaggio di Blatten nel canton Vallese nel sud della Svizzera.
Utile quindi, anche per sensibilizzare un’opinione pubblica sempre più distratta, la serata organizzata giovedì 29 da Progetto Osnago in sala civica sulle montagne come bene comune da difendere e incentrata soprattutto su due casi che ci riguardano da vicino come il monte San Primo e i Piani d’Erna.
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Roberto Fumagalli, Guido Raos, Maria Corti, Paolo Strina, Lorenzo Baio

“In un’epoca di cambiamento climatico e della conseguente criticità per gli ambienti montani, vogliamo promuovere una visione consapevole”, ha esordito Guido Raos dell’associazione Progetto Osnago. “E’ molto diffuso purtroppo il negazionismo, nonostante fatti eclatanti come quello accaduto di recente in Svizzera”.
Dopo la visione del filmato “The Last Skiers” della regista Veronica Ciceri in cui, grazie a una sovrapposizione di immagini veniva mostrato il cambiamento avvenuto in località come i Piani Resinelli e il San Primo, è intervenuto Roberto Fumagalli che del comitato “Salviamo il monte San Primo” è esponente di spicco.
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Con una ricca e dettagliata ricostruzione degli eventi Fumagalli ha rivendicato all’azione del Comitato il merito di aver rallentato il progetto di Regione Lombardia, Comunità Montana del Triangolo lariano e Comune di Bellagio che vuole ripristinare gli impianti sciistici a un’altitudine compresa tra i 1.100 e i 1.400 metri.
“Un tempo di neve ce n’era tanta, al punto che nel 1946 una valanga uccise 11 persone”, ha rievocato Fumagalli. “I primi impianti sono stati costruiti negli anni Settanta, ma nel 2013 sono stati chiusi”.
Nel 2022 però ecco il primo progetto di rilancio, seguito da quello più recente  del 2025 che vede anche la presenza del Comune di Bellagio prima non contemplata. Un progetto che ha avuto un finanziamento di 5 milioni e 310.000 euro dal Ministero dell’Interno (una stranezza questa spiegata da Fumagalli con la pressione di qualche lobbysta), oltre a un finanziamento aggiuntivo da parte di istituzioni locali.
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Il problema, però, è che, ha affermato l’esponente ambientalista “è stato dato un finanziamento prima che venisse redatto un progetto”. E quindi, dove da anni ormai non si vede più la neve, verranno costruiti nuovi impianti sciistici con tanto di tapis roulant, piste di “tubing” (per sciare su piste in plastica) e parcheggi per i turisti. Previsto anche un impianto per l’innevamento artificiale con conseguente aumento di consumo di acqua e di energia, che andrebbe ad aggiungersi ad altri danni ambientali quali l’alterazione dell’assetto idrogeologico, il consumo di suolo con la relativa eliminazione di aree boschive, l’aumento del traffico e dell’inquinamento di aria e acqua.
Secondo Fumagalli è facile prevedere che gli impianti dopo qualche anno verranno abbandonati come del resto era già successo con le strutture precedenti, il che porterà a un generale degrado ambientale e alla diffusione di microplastiche nel terreno.
Il Comitato, a cui aderiscono 37 associazioni, ha avviato una raccolta di firme (attualmente sono 3.500) che è possibile sottoscrivere contattando Progetto Osnago o Legambiente Meratese.
Punta a un cambiamento nelle modalità di fruizione della montagna anche il progetto presentato da Lorenzo Baio di Legambiente Lombardia per i Piani d’Erna, una delle 10 aree pilota all’interno di un progetto europeo che coinvolge oltre all’Italia anche la Svizzera, l’Austria e la Slovenia. L’obiettivo è quello di capire come sostituire attività che prevedono l’innevamento con attività alternative in assenza dello stesso.
“Tempo fa ai Piani d’Erna c’era una delle piste nere più belle della zona”, ha rievocato Lorenzo Baio. “Gli impianti sono stati chiusi nel 2005 e nel 2020, anche dietro pressione delle associazioni ambientaliste, sono stati rimossi. I dati mostrano che è in atto un sensibile aumento delle temperature e che di conseguenza non ci sono le condizioni nemmeno per un innevamento artificiale. Serve un progetto alternativo forte, di comunità, basato sull’accessibilità, l’accoglienza, la conservazione del paesaggio e l’attrattività. Noi lo stiamo preparando attraverso un percorso partecipativo con una ventina di associazioni”. 
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Una vera boccata d’aria fresca è stata la presentazione, che ha intervallato i due interventi degli ambientalisti, di una serie di immagini realizzate da Maria Corti insieme al padre grazie alle riprese con la tecnica del fototrappolaggio.
Le immagini hanno permesso di vedere animali che vivono nel Triangolo lariano, sia autoctoni come il capriolo, la lepre, il tasso, la volpe, il topo collogiallo e la faina, sia animali alloctoni come il cinghiale e il muflone.
Importato dall’est Europa, il cinghiale ha visto nelle nostre zone un aumento eccessivo di esemplari anche a causa dell’estinzione del suo predatore naturale che è il lupo.
“Due anni fa però è arrivata nel nostro territorio una coppia di lupi che ha contribuito alla regolazione della distribuzione degli ungulati sul nostro territorio”, ha riferito Maria Corti. “Questo ha avvantaggiato anche la riproduzione della flora. Il lupo è animale autoctono e rimarrà se eviteremo il problema dell’overtourism”. 
A.Vi.
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