Fuori c’è un bimbo che non ha pane, il mio ha un dolce

In questo periodo convulso, contraddittorio, abissale si è costretti ad assistere impotenti e constatare come le politiche dominanti assumono decisioni che si fondano su presupposti semplicistici e primitivi.  Prevale il concetto limitativo di territorialità, diritto naturale, appartenenza, etnicità. Si è di fronte ad una concezione darwiniana primordiale della selezione naturale tra dominati e dominanti. I dominanti, che sono nemmeno un decimo della popolazione mondiale, decidono su gli altri.

La politica ha smesso di svolgere una funzione di mediazione, di cucitura delle problematiche sociali, economiche e scientifiche; è disinteressata al bene comune, si pone al servizio della macchina finanziaria e ipertecnologica, e si muove come una multinazionale mondiale della sicurezza. La politica non governa più l’economia, la tecnologia; si è assunta il compito di svolgere una funzione securitaria con i vari apparati multimediatici e cibernetici, in un modo che richiama l’orizzonte orwelliano. 

Tutto questo accade in modo graduale. Le manifestazioni di piazza, i cortei, il dissenso sono bollati, etichettati dal megafono controllante del potere come disturbanti, pericolose, inutili: tutto è messo a tacere.

Il dissidio è smontato, sgretolato. Nel bene o nel male il dissidente, per non cadere in una condizione di miseria e disperazione, deve rendersi consapevole delle parole di Madre Courage (Bertolt Brecht): “Eja popeja, che cosa fruscia tra la paglia? Fuori c'è un bimbo che piange e invece i miei sono contenti. C'è di fuori un bimbo in stracci, per te invece c'è la seta d'una veste d'angelo. Quei bambini non han pane ma per te, vedi, c'è un dolce. Se non vuoi, dillo alla mamma…”

È la condizione irreversibile di chi precipita nella guerra e la subisce.

In questo clima c’è il rischio di precipitare dentro una nuova guerra (Bertolt Brecht): “La guerra che verrà/non è la prima. Prima/ci sono state altre guerre./Alla fine dell’ultima/c’erano vincitori e vinti./Fra i vinti la povera gente/faceva la fame. Fra i vincitori/faceva la fame la povera gente egualmente.”

La politica ha perso la parola, è diventata afona nei confronti di chi detiene la chiave della porta. Le attuali parole ricorrenti in bocca a chi detiene il potere sono: minaccia, ricatto, guerra commerciale, militare. La macchina politico-amministrativa casareccia e mondiale, da dopo la pandemia, ossessivamente ruota attorno a questa fobia mortifera.

Il clima sociale da cinque anni è contaminato da condizioni reali e materiali, parole, immagini che nulla hanno a che fare con l’empowerment del benessere, della cura e della crescita. 

Per i cittadini e le comunità, si respira un clima di timore-tremore che influisce sugli investimenti produttivi. È un clima depressogeno, che produce ritiro sociale, paura e non sollecita un desiderio erotizzante e generativo. Le condizioni attuali non favoriscono questa spinta.

Le comunità, anche quelle ancora in uno stato di benessere, nel percepire quest’aria minacciosa, instabile preferiscono soccombere abbassando il capo, fingendo che ciò che sta accadendo sia un male passeggero.

In questa fase storica, gli assi cartesiani evidenziano uno stato di imbarbarimento del je pense donc je suis. La bocca del potere non desidera alimenti di qualità, si accontenta solo di hamburger e patatine geneticamente modificate.

Silenziare le università, le intellettualità, la ricerca scientifica libera, il pensiero critico, il dissenso e favorire il no vax e il suprematismo bianco vuol dire coartare le potenzialità erotizzanti della società.
Dr. Enrico Magni - Psicologo, giornalista
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