Merate: con il Fondo ‘Giulia Pozzebon’ un focus su tre realtà che aiutano migranti
Si è conclusa nella serata di venerdì 16 maggio a Merate la rassegna “Spingere lo sguardo oltre. Migrazioni e accoglienza” organizzata e promossa dal Fondo “Giulia Pozzebon” con la Fondazione Comunitaria del Lecchese e l’associazione DietroLaLavagna. Durante il primo dei due incontri – tenutosi il 7 maggio – all’Auditorium “Giusy Spezzaferri” era stata proposta la proiezione del docu-film “Ad ogni costo. Vite alla ricerca di un progetto migliore”, seguita dall’intervento del regista Jurij Razza. Venerdì, invece, la sala cittadina ha ospitato volontarie e operatrici di tre realtà distinte che si occupano di offrire assistenza a migranti che approdano in Italia o intendono muoversi verso un altro stato.


Migrazione, genere e classe sociale infatti sono tematiche intersezionali che erano molto care a Giulia Pozzebon, educatrice, pedagogista e ricercatrice appassionata, ma anche moglie e mamma di due bimbi, morta tragicamente nell’agosto del 2023 durante un’escursione sulle Alpi Lepontine. Per questa ragione il Fondo istituito in sua memoria si è posto come scopo quello di sostenere percorsi di formazione e studio sui temi educativi e progetti di accoglienza e integrazione per migranti, destinando risorse economiche ad associazioni o organizzazioni del terzo settore che si occupano di queste tematiche.


Tra le realtà sostenute dal Fondo ci sono la Comunità di “San Martino al Campo” e il Consorzio Italiano Solidarietà - Ufficio Rifugiati Onlus di Trieste, e la rete “Sentieri Solidali” che opera presso il Rifugio Fraternità “Massi” di Oulx, in Alta Val di Susa. Dialogando con Stefano Pozzebon, giornalista corrispondente per la CNN e fratello di Giulia, le ospiti della serata hanno raccontato il lavoro quotidiano che viene svolto in questi centri, tra le difficoltà, la burocrazia, i pericoli e molte volte il poco sostegno dalle istituzioni.

“Alla Comunità di San Martino vengono accolte persone che arrivano dalla rotta Balcanica” ha raccontato Miriam, operatrice all’associazione che ha aperto un centro diurno dove i migranti possono avere un pasto caldo e risposte a eventuali dubbi su questioni burocratiche. Inizialmente le persone che arrivavano provenivano da Bulgaria, Albania e Turchia, negli ultimi anni invece la rotta Balcanica viene intrapresa anche da persone in fuga da India, Bangladesh, Iran, Iraq, Kazakistan e altri stati più a Est. “A Trieste ci sono tante associazioni che cooperano insieme a noi. Ci sono legali, avvocati e medici di strada, oltre a operatori che insegnano l’italiano, che insieme cercano di dare una risposta concreta”. Miriam non ha nascosto il fatto che la loro missione sia a volte bersaglio di critiche. “Si dice che aiutiamo ‘loro’ e non ‘noi’. Ma per me non c’è alcun ‘loro’, ma solo un ‘noi’. Offrire uno sguardo progressivo è il nostro obbiettivo”.

A Trieste opera anche il Consorzio Italiano Solidarietà - Ufficio Rifugiati Onlus (abbreviato ICS), di cui ha parlato Chiara. Si tratta di una realtà attiva dagli anni Novanta. “L’obbiettivo è sempre stato quello di fare accoglienza in un certo modo – ha spiegato l’operatrice sociale. – Nonostante col tempo siano arrivate normative, ICS ha sempre voluto rispettare la centralità della persona, partendo dai bisogni del singolo”. Questa realtà si occupa solo di migranti che hanno formalizzato la richiesta di asilo politico. Si tratta molto spesso di famiglie con bambini, donne sole o con figli, ragazzi adulti e minorenni. Tutti vengono accolti in appartamenti condivisi, o singoli, di famiglie integrate nel tessuto sociale cittadino, offrendo così la possibilità di essere parte della comunità. “Adesso la tendenza è proprio l’opposto. Si tende a ospitare in grandi centri spesso periferici. Noi invece preferiamo fare in questo modo per favorire l’integrazione”. A sostenere questo delicato passaggio anche in questo caso ci sono mediatori, legali e psicologi che lavorano in sinergia ascoltando i bisogni delle persone, e oltre a loro operatori come Chiara, il cui obbiettivo è quello di farsi “ponte”.

Una realtà per certi aspetti diversa è invece quella del Rifugio “Massi” in Val di Susa, raccontata da Elena, Alessandra e Bianca.
“Si tratta di una realtà nata nel 2018” ha spiegato Elena, raccontando i fatti che hanno portato alla nascita di questo centro. Dal 2017 circa, alla stazione di Bardonecchia si è iniziato a notare l’arrivo massiccio ogni sera di migranti principalmente provenienti dall’Africa. Il loro obbiettivo è quello di raggiungere la Francia attraverso il traforo del Frejus o il valico Colle della Scala, percorribile tranquillamente d’estate, pericoloso a causa delle slavine d’inverno.
Subito molte persone del posto – tra cui scout e attivisti del movimento “no tav” – si sono mosse per portare un pasto caldo e vestiti a queste persone e soprattutto per spiegare loro le pericolosità del passaggio. Tra i consigli, anche quello di muoversi da Oulx, cittadina di poco più di 3mila anime poco distante da Claviere, ultimo comune italiano prima del confine francese, dove c’è un valico asfaltato e più sicuro.

Il continuo arrivo di persone e l’impegno sempre maggiore da parte di volontari ha dato vita alla necessità di avere una vera e propria organizzazione. “Inizialmente avevamo ottenuto un locale sotto la chiesa dove poter far stare le persone di notte, date le basse temperature” ha proseguito Elena, spiegando che però da lì sono derivate discussioni che hanno infine portato all’apertura Rifugio “Massi”.
Inizialmente le persone che giungevano lì erano solo quelle sbarcate dal Mediterraneo, ultimamente invece arrivano anche migranti che hanno intrapreso la rotta Balcanica. Il rifugio “Massi” conta 3 piani e 70 posti letto dove le persone che intendo raggiungere il confine francese possono passare una notte. I volontari che vi operano offrono cibo e vestiti adeguati ad affrontare il cammino di 4/5 ore, ma nient’altro onde evitare problemi con la giustizia. “Chi parte molto spesso sono richiedenti asilo che in Francia hanno diritto di chiederlo. Ciononostante la polizia di frontiera spesso li ferma e li rimanda da noi” ha spiegato Alessandra, sostenendo che il dispendio di risorse da parte della Francia per mantenere queste frontiere sia utile solo a “rendere più umiliante un passaggio che dovrebbe essere concesso”.

Se per i migranti infatti si tratta di una vera e propria odissea, durante la quale mettono a repentaglio la propria vita affrontando condizioni climatiche a loro ignote e altri pericoli, lo stesso passaggio per i turisti che utilizzano le piste da scii e il campo da golf posto tra i due stati è invece una passeggiata di piacere che sono autorizzati a compiere senza che gli venga chiesto alcun documento. “Spesso arriva gente dal Sudan, dall’Eritrea e dall’Etiopia che non solo non ha mai visto la neve, ma non ha neanche mai messo un paio di scarpe”. Da quando il rifugio è attivo, si sono contate già 13 persone morte durante l’attraversamento.

Stefano Pozzebon ha domandato quale sia la situazione in termini numerici e come la società stia cercando di dare risposte al fenomeno della migrazione. “I numeri sono sempre in aumento. Due anni fa abbiamo raggiunto il numero di 200 presenze in una sola giornata” ha risposto Elena, per il rifugio “Massi”. Anche a Trieste, sebbene i numeri siano leggermente calati, il flusso di arrivi è continuo, ha spiegato invece Miriam.
Quanto alle risposte da parte della società e soprattutto dalle Istituzioni, sia a Trieste che in Val di Susa la sensazione è quella di essere poco supportati. Entrambe le realtà infatti aspettano contributi economici che erano stati promessi e a distanza di un anno non sono ancora arrivati.

“Noi siamo una sorta di ‘cuscinetto sociale’” ha detto Miriam. “Se non ci fossimo noi, la società bene e tutte le persone cosa farebbero? Chi ospiterebbe i migranti? Si creerebbe una sacca di persone non ascoltate in giro per le città. Ma le istituzioni questo non lo sentono. Cosa intende creare questo nostro lavoro? Quel mondo nuovo che abbiamo sempre sognato. Questa è la normalità: andiamo verso una società sempre più multietnica”. L’intervento è stato molto apprezzato e applaudito da tutto il pubblico.



Alice Oggioni
Migrazione, genere e classe sociale infatti sono tematiche intersezionali che erano molto care a Giulia Pozzebon, educatrice, pedagogista e ricercatrice appassionata, ma anche moglie e mamma di due bimbi, morta tragicamente nell’agosto del 2023 durante un’escursione sulle Alpi Lepontine. Per questa ragione il Fondo istituito in sua memoria si è posto come scopo quello di sostenere percorsi di formazione e studio sui temi educativi e progetti di accoglienza e integrazione per migranti, destinando risorse economiche ad associazioni o organizzazioni del terzo settore che si occupano di queste tematiche.


Stefano Pozzebon
Tra le realtà sostenute dal Fondo ci sono la Comunità di “San Martino al Campo” e il Consorzio Italiano Solidarietà - Ufficio Rifugiati Onlus di Trieste, e la rete “Sentieri Solidali” che opera presso il Rifugio Fraternità “Massi” di Oulx, in Alta Val di Susa. Dialogando con Stefano Pozzebon, giornalista corrispondente per la CNN e fratello di Giulia, le ospiti della serata hanno raccontato il lavoro quotidiano che viene svolto in questi centri, tra le difficoltà, la burocrazia, i pericoli e molte volte il poco sostegno dalle istituzioni.

Miriam della Comunità di “San Martino al Campo”
“Alla Comunità di San Martino vengono accolte persone che arrivano dalla rotta Balcanica” ha raccontato Miriam, operatrice all’associazione che ha aperto un centro diurno dove i migranti possono avere un pasto caldo e risposte a eventuali dubbi su questioni burocratiche. Inizialmente le persone che arrivavano provenivano da Bulgaria, Albania e Turchia, negli ultimi anni invece la rotta Balcanica viene intrapresa anche da persone in fuga da India, Bangladesh, Iran, Iraq, Kazakistan e altri stati più a Est. “A Trieste ci sono tante associazioni che cooperano insieme a noi. Ci sono legali, avvocati e medici di strada, oltre a operatori che insegnano l’italiano, che insieme cercano di dare una risposta concreta”. Miriam non ha nascosto il fatto che la loro missione sia a volte bersaglio di critiche. “Si dice che aiutiamo ‘loro’ e non ‘noi’. Ma per me non c’è alcun ‘loro’, ma solo un ‘noi’. Offrire uno sguardo progressivo è il nostro obbiettivo”.

Chiara del Consorzio Italiano Solidarietà - Ufficio Rifugiati Onlus
A Trieste opera anche il Consorzio Italiano Solidarietà - Ufficio Rifugiati Onlus (abbreviato ICS), di cui ha parlato Chiara. Si tratta di una realtà attiva dagli anni Novanta. “L’obbiettivo è sempre stato quello di fare accoglienza in un certo modo – ha spiegato l’operatrice sociale. – Nonostante col tempo siano arrivate normative, ICS ha sempre voluto rispettare la centralità della persona, partendo dai bisogni del singolo”. Questa realtà si occupa solo di migranti che hanno formalizzato la richiesta di asilo politico. Si tratta molto spesso di famiglie con bambini, donne sole o con figli, ragazzi adulti e minorenni. Tutti vengono accolti in appartamenti condivisi, o singoli, di famiglie integrate nel tessuto sociale cittadino, offrendo così la possibilità di essere parte della comunità. “Adesso la tendenza è proprio l’opposto. Si tende a ospitare in grandi centri spesso periferici. Noi invece preferiamo fare in questo modo per favorire l’integrazione”. A sostenere questo delicato passaggio anche in questo caso ci sono mediatori, legali e psicologi che lavorano in sinergia ascoltando i bisogni delle persone, e oltre a loro operatori come Chiara, il cui obbiettivo è quello di farsi “ponte”.

Elena di rete “Sentieri Solidali”
Una realtà per certi aspetti diversa è invece quella del Rifugio “Massi” in Val di Susa, raccontata da Elena, Alessandra e Bianca.
“Si tratta di una realtà nata nel 2018” ha spiegato Elena, raccontando i fatti che hanno portato alla nascita di questo centro. Dal 2017 circa, alla stazione di Bardonecchia si è iniziato a notare l’arrivo massiccio ogni sera di migranti principalmente provenienti dall’Africa. Il loro obbiettivo è quello di raggiungere la Francia attraverso il traforo del Frejus o il valico Colle della Scala, percorribile tranquillamente d’estate, pericoloso a causa delle slavine d’inverno.
Subito molte persone del posto – tra cui scout e attivisti del movimento “no tav” – si sono mosse per portare un pasto caldo e vestiti a queste persone e soprattutto per spiegare loro le pericolosità del passaggio. Tra i consigli, anche quello di muoversi da Oulx, cittadina di poco più di 3mila anime poco distante da Claviere, ultimo comune italiano prima del confine francese, dove c’è un valico asfaltato e più sicuro.

Alessandra di rete “Sentieri Solidali”
Il continuo arrivo di persone e l’impegno sempre maggiore da parte di volontari ha dato vita alla necessità di avere una vera e propria organizzazione. “Inizialmente avevamo ottenuto un locale sotto la chiesa dove poter far stare le persone di notte, date le basse temperature” ha proseguito Elena, spiegando che però da lì sono derivate discussioni che hanno infine portato all’apertura Rifugio “Massi”.
Inizialmente le persone che giungevano lì erano solo quelle sbarcate dal Mediterraneo, ultimamente invece arrivano anche migranti che hanno intrapreso la rotta Balcanica. Il rifugio “Massi” conta 3 piani e 70 posti letto dove le persone che intendo raggiungere il confine francese possono passare una notte. I volontari che vi operano offrono cibo e vestiti adeguati ad affrontare il cammino di 4/5 ore, ma nient’altro onde evitare problemi con la giustizia. “Chi parte molto spesso sono richiedenti asilo che in Francia hanno diritto di chiederlo. Ciononostante la polizia di frontiera spesso li ferma e li rimanda da noi” ha spiegato Alessandra, sostenendo che il dispendio di risorse da parte della Francia per mantenere queste frontiere sia utile solo a “rendere più umiliante un passaggio che dovrebbe essere concesso”.

Bianca di rete “Sentieri Solidali”
Se per i migranti infatti si tratta di una vera e propria odissea, durante la quale mettono a repentaglio la propria vita affrontando condizioni climatiche a loro ignote e altri pericoli, lo stesso passaggio per i turisti che utilizzano le piste da scii e il campo da golf posto tra i due stati è invece una passeggiata di piacere che sono autorizzati a compiere senza che gli venga chiesto alcun documento. “Spesso arriva gente dal Sudan, dall’Eritrea e dall’Etiopia che non solo non ha mai visto la neve, ma non ha neanche mai messo un paio di scarpe”. Da quando il rifugio è attivo, si sono contate già 13 persone morte durante l’attraversamento.

Stefano Pozzebon ha domandato quale sia la situazione in termini numerici e come la società stia cercando di dare risposte al fenomeno della migrazione. “I numeri sono sempre in aumento. Due anni fa abbiamo raggiunto il numero di 200 presenze in una sola giornata” ha risposto Elena, per il rifugio “Massi”. Anche a Trieste, sebbene i numeri siano leggermente calati, il flusso di arrivi è continuo, ha spiegato invece Miriam.
Quanto alle risposte da parte della società e soprattutto dalle Istituzioni, sia a Trieste che in Val di Susa la sensazione è quella di essere poco supportati. Entrambe le realtà infatti aspettano contributi economici che erano stati promessi e a distanza di un anno non sono ancora arrivati.

“Noi siamo una sorta di ‘cuscinetto sociale’” ha detto Miriam. “Se non ci fossimo noi, la società bene e tutte le persone cosa farebbero? Chi ospiterebbe i migranti? Si creerebbe una sacca di persone non ascoltate in giro per le città. Ma le istituzioni questo non lo sentono. Cosa intende creare questo nostro lavoro? Quel mondo nuovo che abbiamo sempre sognato. Questa è la normalità: andiamo verso una società sempre più multietnica”. L’intervento è stato molto apprezzato e applaudito da tutto il pubblico.

Corrado del Circolo Arci “Spazio Aperto” di Calolziocorte
La serata si è conclusa con domande e curiosità da parte degli spettatori per capire meglio alcune dinamiche di “aiuto” che vengono offerte. Ad anticipare l’intervento delle ospiti era stata inoltre la breve presentazione di un’altra realtà che opera in questo ambito: “Spazio Condiviso” di Calolziocorte. Presentato da Corrado, uno dei volontari, questo circolo Arci dal 2020 ha preso a cuore la battaglia dei migranti e ha deciso di sostenere le associazioni dell’est Europa che forniscono vestiti e aiuti ai migranti della rotta Balcanica. La realtà calolziese riempie container di scarpe e indumenti che poi personalmente consegna alle organizzazioni.
E.Ma.