San Zeno: la storia di don Giancarlo Cereda nel 60° di ordinazione sacra

Un incontro dedicato al cammino di vocazione di don Giancarlo Cereda prima che approdasse a Olgiate e diventasse parroco di San Zeno nel 1994.
Nella serata di giovedì 1°maggio la chiesetta di San Giuseppe si è gremita di fedeli per ascoltare la storia del sacerdote, di come sia nato in lui il desiderio di diventare prete a distanza di 60 anni dall'ordinazione.
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Una storia accompagnata da una mostra documentale “Don Giancarlo 1940-1994: come una vocazione si fa strada…” che divide la sua vita in quattro fasi: l'infanzia a Cernusco e l'adolescenza al collegio dei Guanelliani a Cassago, il percorso di formazione in seminario fino ad arrivare alla celebrazione della prima messa a Verderio, il collegio San Carlo e l'esperienza come coadiutore e poi parroco a San Galdino e infine lo sviluppo dell'associazione “La Strada”.
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Gilberto Sbaraini “Gimbo”

La narrazione del don, guidata dal moderatore Massimo Cogliati, è stata arricchita dalla lettura di testimonianze scritte negli anni dal parroco e da brani liturgici eseguiti dal Maestro Antonello Brivio. La storia del sacerdote ha inizio a Cernusco Lombardone, con il ricordo della cucina dei nonni, la domenica gioiosa in oratorio e la santa messa partecipata con il padre e il fratello, il gioco della “lipa”, la fuga nel “cassotto” dell'orto durante i tempi di guerra, ma anche le note della maestra, le scorribande nei campi, le fughe dalla bambinaia e i campanelli suonati per dispetto. “Mi piaceva fare quello che volevo io” ha confessato don Giancarlo, un atteggiamento che non è cambiato negli anni, hanno scherzato con affetto i presenti.

Il padre, stufo della sua vita "fin troppo allegra" lo mandò in terza elementare al collegio dei Guanelliani, dove rimase fino a 12 anni, tornando a casa solo per Natale, Pasqua e le feste comandate. Fu proprio all'età di 12 anni che manifestò per la prima volta la volontà di entrare in seminario per farsi prete. “All'inizio avevo un po' di timore a confessare il mio desiderio, non dissi nulla né ai miei genitori né agli insegnanti”. Il primo a sostenerlo nel suo cammino di vocazione fu il parroco don Antonio, che lo preparò per l'ammissione alle medie e che lo incoraggiò a parlare con i genitori. Fu così che l'allora ragazzo entrò nel seminario arcivescovile di Seveso, per rimanerci per i successivi 13 anni, fino a diventare prete il 19 settembre 1965. Il fratello Franco ha spiegato come la notizia sia arrivata inattesa, ma subito condivisa da tutta la famiglia. “Mi ha lasciato a lavorare nei campi mentre lui era tranquillo in seminario” ha canzonato con amore.

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Una scelta che lo ha portato a rinunciare alla vita “normale” di un giovane: alla famiglia, agli amici, al lavoro e al divertimento, ma che egli non ha mai rimpianto. In lui, così come in tanti altri ragazzi del tempo, forte era la vocazione, che veniva alimentata da tante figure che lo hanno guidato nel suo percorso. Mentre era in seminario, la famiglia si era trasferita a Verderio e fu proprio nell'asilo, dove aiutava durante le vacanze, che nacque la passione di stare con i bambini. Fu proprio in questo paese, che all'epoca era senza parroco, che celebrò la prima Messa in una chiesa addobbata a festa dal padre e nonno, che erano fioristi. “La chiesa era piena, i verderiesi mi avevano confortato con la loro presenza e mi hanno fatto sentire accolto” ha commentato il don, ricordando una giornata indimenticabile.
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Massimo Cogliati, le curatrici della mostra Giusy e Beatrice, don Giancarlo Cereda, Franco Cereda e il maestro Antonello Brivio

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I successivi cinque anni, trascorsi al collegio San Carlo, hanno alimentato il suo amore verso i ragazzi. Il sacerdote ne seguiva 200 delle scuole medie, dei quali 40 pernottavano per tutta la settimana. Un impegno giornaliero e costante, che gli ha lasciato come più grande insegnamento l'attenzione particolare verso i giovani, che ancora oggi considera come figli. Il sabato e la domenica si spostava in periferia, alle case minime di Milano, in aiuto dell'unico prete, don Giuseppe, diventando coadiutore di San Galdino per 25 anni. Una realtà difficile e pesante, caratterizzata da tossicodipendenti, situazioni abitative difficili e analfabetismo. “Io ero professore e insegnavo loro quello che potevo, andavo a prendere i giovani e mi inventavo dei laboratori, dei piccoli lavori per insegnargli a darsi da fare e imparare un mestiere”.
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Per sostenere più giovani e avere sempre più strumenti, il sacerdote decise di dar vita, nel 1981 all'associazione “La Strada”, ora portata avanti da Gilberto Sbaraini detto “Gimbo”, che ne ha raccontato la storia. Gimbo era cresciuto nella parrocchia di San Galdino e nella primavera del 1985, quando aveva 24 anni, arrivò la proposta di don Giancalo di aprire una comunità per tossicodipendenti a Imbersago. “È stata un'avventura che mi ha aperto un mondo. I primi anni sono stati accompagnati, educati e sostenuti da don Giancarlo, che era la nostra guida spirituale e pratica”. Tanti sono stati gli insegnamenti lasciati a Gimbo dal don, uno arrivato proprio al momento del suo trasferimento a Olgiate per diventarne il parroco. “Giancarlo ci disse 'ormai siete grandi, andate avanti voi'. Questa libertà dell'opera mi ha insegnato tantissimo per capire come lo scopo sia l'obiettivo fondamentale, ovvero il sostegno ai giovani”. Oggi “La Strada” è una cooperativa sociale che conta 80 operatori attivi principalmente a Milano, ma anche in Brianza. “Il don di fronte ai problemi non si è mai girato dall'altra parte, noi a volte ci spaventavamo e cercavamo di frenarlo, ma lui trovava sempre il modo di affrontarli”. Don Giancarlo non ha mai voltato le spalle a nessuno, neanche ai casi più disperati, mantenendo sempre come punto cardine la sua fede e grinta. “Qualcuno ha detto che si educa attraverso ciò che si dice, ancor più attraverso ciò che si fa e ciò che si è. Don Giancarlo è stato ed è un'ispirazione su tutti e tre i fronti” ha concluso Sbaraini.
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La serata è terminata con un aperitivo conviviale, accompagnato da altri aneddoti raccontati dal don.
I.Bi.
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