Merate: tutto esaurito per l’incontro con Alberto Pellai

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Nella serata di lunedì 15 aprile, l’aula magna Borsellino si è riempita soprattutto di genitori per il secondo appuntamento di "S.O.S adolescenti - Identità di genere, affettività e sessualità", un nuovo progetto promosso dall’associazione DietroLaLavagna. Ospite di questo incontro il medico specialista in psicoterapia cognitivo-comportamentale e scrittore Alberto Pellai, che portando esempi di criticità concreti derivati dalla sua esperienza di genitore di quattro figli tra i 15 e i 23 anni, ha analizzato la differenza tra uomo vero o vero uomo
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“Siamo la generazione che vive una situazione paradossale, siamo quelli che più si sono dati da fare per crescere figli felici, ma tutti gli indicatori di salute mentale indicano come i ragazzi siano i più infelici degli ultimi 120 anni. È come se qualcosa non si stesse innescando bene” ha fatto riflettere l’esperto, sottolineando come il ritiro sociale e isolamento che interessano una grande percentuale di adolescenti, soprattutto maschile, non sia una problematica nata nel periodo di pandemia, bensì una fragilità già radicata che ha avuto opportunità di acuirsi. “La reclusione non fa bene per l'adolescenza, non fornisce protezione, in un tempo della vita in cui per natura bisogna esplorare e stare fuori, la tendenza verso l’esterno deve sempre prevalere”. Pellai ha invitato i genitori a lasciare che i ragazzi si allontanino dalla protezione famigliare, fuori dalla zona di supervisione, controllo e dipendenza, per trovare riconoscimento e sostegno nei coetanei. 
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I maschi in particolare, presentano una forte agency, ovvero la necessità di sentirsi attivi e agenti nel loro territorio di vita, di sentirsi come esploratori per trovare luoghi dove potersi allenare alla vita. Bisogno che viene frenato dalle ansie costanti dei genitori che provocano un’iperprotettività dannosa per i giovani.
“Non è possibile puntare su una vita a rischio zero se si vuole vedere crescere i propri figli. Noi adulti abbiamo creato un paradosso: per i primi dieci anni di vita diamo l’illusione ai bambini di essere dei supereroi, facendogli fare mille attività e corsi, ma al contempo li teniamo rinchiusi, li accompagniamo e assistiamo ovunque”. Facendo l’esempio del figlio Pietro, Pellai ha consigliato di lasciare i figli liberi di fare esperienze senza avere costantemente il fiato sul collo. “Pietro ha definito le vacanze della quinta elementare le più belle della sua vita, perché non aveva compiti da fare. Io e mia moglie allora gli abbiamo chiesto di trovare un impegno equivalente ai compiti, da fare ogni giorno durante l’estate e lui ha chiesto di poter andare a fare la spesa in bicicletta al supermercato del paese situato a un chilometro e mezzo di distanza da casa”. I genitori hanno acconsentito, in quando l’attività era consona alle capacità che possedeva, e così per un’intera estate il giovane ha svolto la sua mansione con impegno e dedizione. La risposta di altri adulti però a questa piccola sfida, non è stata altrettanto positiva come per Pellai e sua moglie. Troppi, secondo molti, i pericoli in cui il bambino poteva andare incontro: un incidente in bicicletta o la vicinanza di malintenzionati. Pellai ha commentato sull’infondatezza di queste preoccupazioni, scherzando come, facendo delle ricerche, non sia risultata alcuna presenza di personaggi loschi nel supermercato dove mandava il figlio e come, in qualsiasi situazione, non si può essere sicuri che un figlio o qualsiasi membro della famiglia faccia ritorno a casa. 
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Il medico ha condotto il suo discorso sulla domanda posta dal libro appena uscito negli Stati Uniti “La generazione ansiosa”, che si chiede perché gli adolescenti si trovino perennemente in questo stato di insicurezza. La risposta si trova proprio in questa paura manifestata dai genitori verso il mondo esterno, che spinge ad imporre limitatezze che offrono, con il sopravvento delle nuove tecnologie, una maggiore offerta di una territorialità virtuale in cui è possibile replicare la realtà, senza avere però gli stessi stimoli e apprendimenti. “Le vere richieste di aiuto, che mi vengono presentate in ambito professionale, fanno sempre riferimento al mondo virtuale, alla perdita dei maschi alla pornografia e ai videogiochi”. Questi mondi iper stimolanti e additivi portano ad un distacco con la realtà e spesso a risposte verbalmente o fisicamente violente nel momento in cui si cercano, ormai troppo tardi, di porre dei limiti. “Questo è i loro modo di chiedere aiuto, perché noi gli abbiamo messo in mano degli strumenti aperti a qualsiasi possibilità senza insegnare ad usarli, senza avere un progetto educativo a guidarli. È come se gli dessimo in mano una Ferrari pensando che siano in grado di condurla da soli”. I maschi, risucchiati in questa finzione, si ritrovano a non avere competenza riguardo ad emozioni e stati emotivi, a sentire disagio nell’area psichica e mentale senza il coraggio di chiedere aiuto, perché questo comporterebbe alla perdita della virilità, concetto già intrinseco nei loro padri. 
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Questa inadeguatezza porta a cercare una carica eccitatoria nella tecnologia, che negli ultimi anni nei ragazzi si è tradotta a livello sessuale attraverso l’esplorazione abitudinaria di pornografia, a partire dalla scuola secondaria di primo grado. In un mondo dominato dalla violenza di genere, è importante discutere dell’attrazione e curiosità che nella fase adolescenziale si inizia a manifestare, per prevenire di considerare i rapporti come eccitatori e predatori invece che intimi e relazionali. “C’è sempre stata una narrazione di genere sulla sessualità, il 95% delle figlie raggiunge il menarca solo dopo averne parlato con la madre, mentre per il 95% dei figli lo spermarca viene raggiunto nel silenzio totale del mondo adulto, generando solitudine e perdita di significato.
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Dopo aver risposto a quesiti e ascoltato riflessioni dal pubblico, Pellai ha rivelato di non avere una soluzione magica per risolvere queste problematiche. Lo specialista ha dunque suggerito di seguire quello che le ricerche stanno registrando, e che viene ripreso nelle quattro conclusioni del libro “La generazione ansiosa” per restituire all’adolescenza i suoi funzionamenti: non dare uno smartphone prima dei 14 anni, non iscrivere i ragazzi ai social media fino a 16 anni, rendere nuovamente le scuole smartphone free e infine, rimettere la crescita nel territorio, facendo giocare tanto nella vita reale. 
I.Bi.
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