Pagnano: la missione di don Marcello e don Massimo. Perchè "Dio ha le mani sporche"

Un teatro gremito di cittadini ha accolto, nella serata di mercoledì 3 aprile, don Massimo Mapelli e don Marcello Cozzi, ospiti della biblioteca BAMP e dell’oratorio per parlare del libro “Dio ha le mani sporche”
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Per celebrare il 21 marzo, la giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie, l’incontro è stato incentrato su storie di legalità, raccontate da due figure che da anni si impegnano in questo campo. Don Massimo Mapelli si occupa infatti di accoglienza di minori e stranieri, è attivo in numerose associazioni di solidarietà e presidente del “Comitato di sostegno del bene confiscato La Masseria” e della comunità educativa per minori denominata “Casa MiniTA”. Don Marcello è un prete lucano, presidente della Fondazione nazionale antiusura “Interesse uomo” e vicepresidente di “Libera”, associazione per la quale oggi coordina il tavolo nazionale di confronto ecumenico e interreligioso. Da decenni è attivo nel versante del disagio sociale, dell’educazione alla legalità e alla giustizia, del contrasto alle mafie e dell’accompagnamento ai pentiti di mafia e ai testimoni di giustizia, esperienze che racconta nella sua opera “Dio ha le mani sporche”, pubblicata nel 2022 da San Paolo Edizioni.
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Don Massimo Mapelli e don Marcello Cozzi

“Io non sono uno scrittore, ma mi sono reso conto che la ricchezza che ricevo non posso tenerla per me, gli incontri che continuo a fare sono una fortuna, un tesoro che ho sentito il bisogno di condividere” ha spiegato don Marcello. Una frase quasi inaspettata se pronunciata in riferimento ad un dialogo con gli ex mafiosi Gaspare Spatuzza e Giovanni Brusca. Incontri tenutisi nelle sezioni dei collaboratori di giustizia in carceri di massima sicurezza, impossibili da affrontare a cuor leggero o con discorsi preparati, che lasciano una lacerazione interiore al pensiero delle vittime e dei loro famigliari che non hanno ottenuto giustizia. “Sono rimasto però come scioccato nel vedere Spatuzza, perché non mi sono trovato davanti il mostro che avevo visto nella foto della sua cattura, bensì un signore garbato e curato”. Un’immagine che ha spinto il padre a seguire l’esempio di Gesù: “Dio ha le mani sporche, è trasgressore e provocatore, non si è mai fatto condizionare e si è messo contro tanti per sostenere le fragilità e fatiche, risultando incomprensibile anche ai suoi discepoli”. Nei suoi colloqui con boss dell’Ndrangheta, don Marcello non promette perdono, ma garantisce un aiuto in un processo di cambiamento, quasi di redenzione, che prende sempre il via da un atteggiamento di franchezza e umanità verso questi individui. Il sacerdote si è reso conto, così come gli è stato detto da Agnese Moro, figlia di Giovanni Moro, che anche chi ha commesso il peggiore dei crimini non è un “mostro”, ma una persona normale che compie azioni mostruose.
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L’umanità è terrorizzata dal pensiero che un individuo possa cambiare, nel bene e nel male. Don Marcello seguendo il pensiero di Padre David Maria Turoldo: “Ogni persona è un’infinita possibilità”, riesce a mantenere un equilibrio nel rapporto con questi detenuti, che non gli fa dimenticare gli orrori commessi, ma gli permette di collocarli nel contesto di provenienza e comprendere il perché siano arrivati a tanto e, da qui, offrire una seconda possibilità. Ha infatti raccontato come spesso sia impossibile per questi malviventi uscire dalle situazioni di disagio e criminalità organizzata nelle quali sono nati. Di come, anche le donne, le mogli e compagne in clan di criminalità organizzata, se non rispettano le regole vengono uccise o fatte tacere con la forza. Don Marcello ha spiegato come le donne possano sempre fare la differenza nel bene e nel male: non si danno pace, indagano e pretendono la verità quando un figlio cade ingiustamente vittima della criminalità, oppure, al contrario, si mettono in prima linea per perpetrare violenze e crudeltà quando un boss viene incarcerato o ucciso.
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Grande spazio è stato dato durante la serata ai famigliari di vittime, definiti la parrocchia e il seminario dei due preti. Gli incontri con queste persone talvolta suscitano in don Massimo le parole del Cardinale Martini: “Dentro di noi c’è un credente e un non credente”. “Quando sei sommerso dall’ingiustizia sulla carne viva fai fatica a credere, per farlo occorre tornare a quel Dio di Gesù estremamente umano”. Il percorso scomodo con i condannati, quando ci si confronta con queste famiglie distrutte dal dolore, diventa ancora più difficile. Bisogna però ricordare che per camminare sul messaggio del Vangelo occorre stare dalla parte socialmente sbagliata. “Noi storicamente siamo i discepoli di un condannato, di una persona che per la società era colpevole, Gesù era questo” ha fatto riflettere don Marcello, illustrando una delle numerose convinzioni che gli permettono di portare avanti la sua missione, che a tanti risulta paradossale nonostante sia stata indicata ai preti da Papa Francesco: “Siete chiamati a uscire e andare nelle periferie dove c’è cecità che desidera vedere, dove c’è sangue sparso e dove ci sono servi di troppi cattivi padroni”. Queste parole, insieme al Vangelo, legittimano l’operato di don Massimo e don Marcello, che continueranno ad essere impegnati sia nel supporto delle vittime sia dei condannati.
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I.Bi.
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