Mandic: il dito e la luna

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Condivido le preoccupazioni che si stanno manifestando per l’Ospedale di Merate da parte di cittadini, amministratori locali e di tutti quelli che, come me, hanno dedicato parte della vita professionale a questa struttura.

Personalmente percepisco un’apprensione ancor più grave: quella riguardante il destino dell’intero Sistema Sanitario Nazionale. Rappresenterei questa situazione con due metafore fin troppo utilizzate: l’iceberg e il dito che indica la luna.

Merate per noi come la punta emersa dell’enorme parte sommersa dell’SSN e, per altri versi, come il dito che indica la luna SSN.

Stiamo infatti correndo il rischio di non contestualizzare la situazione critica del Mandic all’interno di quella più generale del nostro Sistema Sanitario Nazionale, sottovalutando così il problema serio che sta minando la Salute pubblica globalmente intesa (prevenzione, cura e riabilitazione).
Piuttosto palese appare infatti l’involuzione che stiamo osservando, di pari passo, sia a livello della Sanità Pubblica lombarda che di quella nazionale.
Per quanto io conosca e mi competa da cittadino/utente e medico, ritengo che combinazioni di vicende locali e globali, piccole e grandi, che si sono susseguite negli anni, abbiano determinato profondi cambiamenti sia della gestione che dell’operatività dell’Ospedale cittadino.
Nei lustri passati il Mandic ha vissuto certamente periodi nei quali poteva considerarsi punto di riferimento del territorio e non solo meratese, ma anche della provincia, di quelle limitrofe ed oltre.
Ora non è più così, proprio perché i vari livelli, in cui si stratificano nazionale, regionale e locale, si influenzano reciprocamente sebbene con pesi diversi.
In breve attribuirei le responsabilità di questo degrado in primo luogo ad una visione miope che la politica regionale ha dimostrato negli ultimi decenni, sia per quanto riguarda l’analisi dei bisogni,
sia per l’assai scarsa capacità di programmazione nel medio e lungo termine (gestione ed allocazione delle risorse soprattutto).
Troppe risorse sono state inoltre dirottate verso la sanità privata, senza che questa strategia abbia dato maggior efficienza al sistema, ma solo introiti crescenti agli imprenditori del settore.
Di tutto ciò se ne accorgono i cittadini ogniqualvolta debbano richiedere prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche e/o riabilitative al Sistema Sanitario, mentre pare non ne abbiano coscienza i decisori, i quali sempre più spesso non riescono a garantirle nei tempi adeguati, mentre tendono a menar vanto per un’eccellenza che ormai solo loro sembrerebbero vedere.
Abbastanza superfluo citare i numeri delle liste e dei tempi d’attesa per ottenere le suddette prestazioni, influendo le prime sull’organizzazione aziendale, mentre i tempi che impietosamente si allungano determinano disagio e danno per gli utenti.
Esperienza comune rappresentano poi le interminabili code ai presidi di Pronto Soccorso che scoppiano, costretti questi a sobbarcarsi non solo urgenze ed emergenze, ma anche ed inappropriatamente parte della medicina del territorio, forse anche a causa di un certo malcostume di parte dell’utenza, ma soprattutto per una mai armonizzata interconnessione ed integrazione tra ospedali e medicina del territorio.
Da anni ormai si sente parlare di Case e di Ospedali della Comunità, che stentano a partire con le funzionalità promesse e che, probabilmente, non ci riusciranno, stanti le difficoltà di reperimento del personale adeguato. Si sta forse pensando di appaltare il tutto al privato o a cooperative che sbucheranno dal nulla, come già sta succedendo in diversi settori del servizio sanitario pubblico?
Non è improbabile.
E non si creda di risolvere la questione della fuga del personale sanitario dal pubblico verso il privato (o verso l’estero) ricorrendo ad appalti assegnati e gestiti senza opportuni controlli (vedi cooperative varie e relativi gettonisti, strutture private convenzionate ecc.), quando sarebbe molto più appropriato, e alla lunga forse anche più economico, trattenere tali essenziali risorse con retribuzioni più in linea con la media europea e favorendo condizioni di lavoro dignitose e gratificanti.
Situazioni, quelle sopra descritte, che sicuramente stanno gravando sui contribuenti e che molto spesso finiscono a carico dei pazienti i quali, piuttosto che attendere tempi improponibili, quando possono, scelgono di pagare di tasca propria prestazioni non differibili, sovente anche per patologie serie che appunto non consentono tali attese.
Tutto ciò alla faccia della Legge 833, rimasta in parte incompiuta ed ora pure in fase di smantellamento anche nella nostra regione, nonostante la presunta e tanto strombazzata eccellenza lombarda.
Abbiamo forse anche scordato i fenomeni di corruzione e di malcostume a vari livelli del sistema, solo pochi dei quali passati al vaglio delle Magistratura; per non palare del default nella gestione della recente pandemia, da cui sembra che pochi, tra eletti ed elettori, abbiano tratto insegnamento.
Anche nella politica nazionale della Salute Pubblica non mancano esempi di malgoverno: la scelta di un’eccessiva frammentazione regionale che determina difformità quali-quantitativa nell’erogazione dei servizi, cui si aggiunge la limitazione delle risorse economiche, che in rapporto al PIL ci vede ai valori meno favorevoli rispetto ad altre nazioni europee ed occidentali.
E va osservato che non si tratterebbe solo di aggiungere soldi a quelli già stanziati, ma anche di saperli spendere meglio e non sprecarli, visto che esistono indicatori e correttivi per utilizzare le risorse con maggior appropriatezza. Termine, quest’ultimo, che sembrerebbe poco familiare ai vari livelli di gestione, ma che permetterebbe invece un notevole recupero di risorse umane ed economiche.
Molte risorse potrebbero infatti essere recuperate limitando il consumo di farmaci ed accertamenti inutili e riducendo il numero di costose strutture in soprannumero, con benefici su efficienza e qualità delle prestazioni erogate.
Ma, tornando al Mandic, quando mai abbiamo sentito pronunciare o scrivere parole chiare da parte della dirigenza politica regionale in merito al suo destino? Rilancio? Ridimensionamento?
Chiusura? Trasformazione in altro?
Soluzioni diverse che avrebbero potuto anche avere una logica di buon senso e di buona Politica, se inseriti in una pianificazione seria ed obbiettiva.
Invece solo balbettii, promesse non mantenute o ambiziosi progetti già in partenza assai poco credibili, se non velleitari. Ed intanto, col calo delle risorse necessarie e con la parola d’ordine si salvi chi può, procede lento ed inesorabile lo stato di abbandono di ciò che per generazioni di meratesi (e non solo) rappresentò un accogliente punto di riferimento per la gran parte delle esigenze di cura.
Paralizza e rinvia ogni decisione una timorosa miopia che vede all'orizzonte solo il prossimo turno elettorale e gli interessi di pochi, anziché azioni lungimiranti mirate a far fronte ai cambiamenti sociali e demografici che sono sopraggiunti e già da tempo previsti.
Si tratta poi dello stesso atteggiamento autoprotettivo ed autoreferenziale che pesantemente condiziona anche le scelte dei posti dirigenziali ai vari livelli della piramide, che spesso, anziché dettati dal merito, vengono dispensati su base clientelare e di occupazione lobbistico-partitocratica del settore.
La Politica dovrebbe saper essere impopolare talvolta, proprio per non diventare antipopolare.
Ma questo concetto sembrerebbe ignoto alla classe dirigente che, praticando prevalentemente scelte demagogiche finalizzate al consenso elettorale, finisce col determinare conseguenze disgraziate (e sfortunatamente non solo nell’ambito della Salute pubblica).
Occorre con urgenza la mobilitazione di ogni Cittadino che abbia a cuore la sopravvivenza di un Sistema Sanitario efficiente, che possa continuare a garantire universalmente almeno le prestazioni essenziali, indipendentemente dalle condizioni individuali, sociali e di reddito.
In ultimo mi sentirei di rammentare a me stesso per primo, ai colleghi e a tutte le persone impegnate a vario titolo nel mondo della Salute, quanto sia importante non solo svolgere al meglio e con competenza i rispettivi ruoli, ma anche quanto lo sia farlo con senso civico e onestà intellettuale, dai quali le nostre professioni non ci esentano ma, al contrario, ci impegnano a tenerne conto con maggior coraggio.
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Virgilio Meschi
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