Sartirana: la memoria dell'8 settembre 1943 e dei soldati traditi e caduti per la Patria. Don Riccardo cita Guareschi

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Erano davvero tante le persone che venerdì sera, complice la concomitanza con il 95esimo di fondazione del gruppo alpini di Merate, hanno voluto prendere parte alla serata celebrativa in concomitanza con l'8 settembre 1943 e “in ricordo del sacrificio degli oltre 700mila militari italiani (IMI) traditi dalla monarchia e dai vertici militari e deportati in Germania dopo l'8 settembre. Pur privati dei benefici della Convenzione di Ginevra, gli IMI rifiutarono di collaborare con i nazifascisti e risposero NO alle richieste d'arruolamento, scegliendo in massa con dignità e coraggio "il lager con dolore alla libertà con disonore".
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Don Riccardo e padre Pierfrancesco

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Padre Massimo e padre Pedro

Come da tradizione, iniziata 14 anni fa grazie all'impegno di Gianluigi Bonalume, la serata si è aperta con la santa Messa. Quest'anno a celebrarla c'erano padre Pierfrancesco del PIME, don Riccardo Sanvito, padre Massimo Tedoldi e padre Pedro del convento di Sabbioncello.

In apertura di funzione, don Riccardo ha voluto leggere un passo di Giovannino Guareschi (noto per avere dato vita a Peppone e don Camillo) che appena arrivato a Czestochowa, dove i nazisti avevano costruito un lager nel quale era stato rinchiuso nel 1943, pur sotto gli occhi delle guardie naziste, un bambino corse via dalla madre per porgergli una mela. “Sulla corteccia rossa e lucida della mela vedo l’impronta dei dentini del bimbo e penso a mio figlio”, aveva scritto nel suo diario l’Internato militare italiano numero 6865 “Lo zaino non mi pesa più, mi sento fortissimo. Lo debbo rivedere, il mio bambino: il primo dovere di un padre è quello di non lasciare orfani i suoi figli. Lo rivedrò. Non muoio neanche se mi ammazzano!”.

Nella chiesa di Sartirana, nelle prime file e vicino all'altare c'erano gli alpini in divisa con i labari delle diverse sezioni della provincia, giunte per festeggiare l'anniversario degli amici meratesi, il sindaco Massimo Panzeri e quello di Robbiate, Marco Magni (già presidente della sezione lecchese, da sempre fervido alpino) nonché tanti semplici cittadini che hanno voluto prendere parte alla cerimonia che si rivela ogni volta molto suggestiva e bella, grazie anche ai canti del coro.
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I sindaci Marco Magni e Massimo Panzeri

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Nel corso dell'omelia padre Pierfrancesco ha ricordato la festa dell'Addolorata che cade in questi giorni e ha spiegato come “per i cristiani il destino dell'uomo non è non avere né dolori né gioie, ma saperli affrontare. Ogni persona va aiutata non a evitare la fatica ma ad affrontarla. Noi alpini abbiamo esperienza della fatica e del dolore, ci impegniamo per affrontarlo e aiutiamo l'altro a portare lo zaino. Il dolore non è la fine di tutto. Al di là del dolore c'è qualcosa di bello, eterno e gioioso”.
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Al termine della Messa la cerimonia si è spostata nei pressi della lapide ai caduti dove la banda ha intonato l'Inno d'Italia e dove sono stati letti, nel silenzio, i nomi dei soldati caduti, rispondendo dopo la declamazione delle generalità di ciascuno “grazie”.

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La “Leggenda del Piave” ha accompagnato la posa della corona di alloro e la resa degli onori ai morti di tutte le guerre, con una invocazione alla Pace.


Un momento conviviale in oratorio ha poi chiuso la serata.
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S.V.

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