Imbersago: ''lasciate che l’anima vada in cielo ma gli organi restino qua''. Il racconto dei sopravvissuti grazie al trapianto

Nella serata di venerdì 14, presso la mediateca di Imbersago, si è parlato dell'importanza dei trapianti, ma soprattutto, della donazione di organi. Daniele Sorzi e Silvia Gilardi, salvati da un trapianto di fegato, e Sergio Pozzi, sopravvissuto grazie a un trapianto di cuore, hanno offerto una testimonianza diretta della loro esperienza di rinascita grazie al grande gesto finale di generosità di un altro individuo meno fortunato.

Da sinistra:  Giacomo Colombo, Miriam Lombardi, Silvia Gilardi, il dottore Andrea De Gasperi, Sergio Pozzi e Daniele Sorzi


Il presidente del gruppo Aido di Paderno d'Adda Daniele Sorzi, è 30 anni che vive felice grazie al "sì" di un ragazzo di 17 anni. Nel 1991, a seguito di valori problematici emersi dagli esami del sangue, Daniele era stato indirizzato ad effettuare controlli più approfonditi presso l'ospedale San Raffaele, dove hanno scoperto che possedeva gli anticorpi dell'epatite b ma non il virus, era per il tempo un caso di criptogenetica. Nel 1992 inizia a stare male, fino ad avere un collasso causato da una varice all'esofago. Nei primi giorni di maggio del 1993 i suoi livelli di bilirubina erano tali da necessitare un trapianto di fegato. Il 21 luglio l'hanno chiamato all'ospedale Niguarda per l'intervento, è entrato alle 5 di mattina in sala operatoria e ne è uscito alle 17. Nei 6 mesi di convalescenza e ripresa è stato assistito dal dottor Andrea De Gasperi, che ha offerto un supporto fondamentale anche alla sua famiglia. Daniele ricorda con un sorriso che il dottore per calmarlo gli faceva ascoltare la musica classica, una delle sue passioni. Da quel momento è nata un'amicizia tra i due, che come ha confermato De Gasperi è forte ancora oggi. Daniele ringrazia tutti i giorni l'altruismo di quel ragazzo così giovane, eppure così consapevole della differenza che avrebbe potuto fare.

Il consigliere di Imbersago Ambrogio Valtolina, la cui amministrazione ha proposto l'incontro

 

 

Era la giornata della donna quando Silvia Gilardi, allora diciottenne, rientrata in casa da una cena con amici, ha notato un gonfiore anomalo alle caviglie. Effettuando anche lei degli esami del sangue, ha scoperto che alcuni valori legati al fegato erano altissimi ed è quindi stata immediatamente ricoverata per un mese nel reparto infettivologia a Lecco. È stata poi trasferita al centro San Paolo di Milano per un altro mese, periodo durante il quale hanno capito che soffriva di cirrosi epatica, in parole semplici, il suo corpo stava rifiutando il suo fegato. A Silvia è stata dunque prescritta una cura per stabilizzare il decorso della malattia che le ha permesso di condurre una vita normale, seppur intervallata da qualche ricovero e da alcuni lievi problemi di salute. Era l'inizio del 2020, quando Silvia ormai trentunenne, ha iniziato a non sentirsi bene e il professor Massimo Zuin del San Paolo le ha comunicato che l'unica soluzione era quella di fare un trapianto. Silvia non aveva mai preso in considerazione questa opzione e non riusciva ad accettarla. Trattandosi però dell'unica opzione possibile finalmente acconsente e a marzo viene messa in lista al Niguarda, con un prospetto di attesa di circa 6-8 mesi. La chiamata è invece arrivata in una notte di luglio, cogliendola di sorpresa. Il trapianto split, ovvero con la parte di un fegato diviso tra Silvia e un altro piccolo paziente, è iniziato nella tarda serata del 29 luglio, per durare tutta la notte. Sembrava che tutto fosse andato per il meglio, ma dopo cinque ore hanno iniziato a comparire delle trombosi all'arteria epatica. Il tentativo di disostruirle non ha funzionato, quindi i medici hanno cominciato a prepararsi per una seconda operazione, con un organo che però non avevano. È scattata quindi un'allerta nazionale: per dare una speranza di vita a Silvia serviva un fegato entro 36 ore. E il fegato è arrivato, proprio allo scoccare dell'ultima ora e purché fosse di un gruppo sanguigno diverso da quello Silvia, l'équipe ospedaliera guidata dal professor Luciano De Carlis ha deciso di procedere comunque con un intervento d'urgenza, che ha permesso a Silvia di essere qui a raccontare la sua storia. La mamma di Silvia e presidente del gruppo Aido di Pescate Miriam Lombardi, è riuscita a rimanere sempre vicino alla figlia, nonostante fosse tempo di covid, grazie alla comprensione del personale della struttura che stima e ammira: "sono rimasta meravigliata dalla bravura e professionalità dell'équipe che ha creduto fino in fondo alla loro missione che hanno portato a termine senza vacillare un attimo". Il dottor De Gasperi ha confermato che l'entusiasmo è fondamentale in queste situazioni, è la carica che caratterizza tutti coloro che operano in questo reparto e che permette di ottenere risultati incredibili. Miriam ha infine voluto ringraziare i due "angeli custodi" che grazie al loro altruismo hanno permesso alla figlia di godere di una vita serena.

 

 

«Tanto non capiterà mai a me». Questo è quello che pensano tutti gli individui in salute, ignorando che la malattia può colpire chiunque", è così che ha voluto esordire Sergio Pozzi per far riflettere i presenti. Perché questo è quello che credeva anche lui, avendo sempre mantenuto uno stile di vita sportivo, sano e privo di eccessi. Finché, in un giorno del 2009, un arresto cardiaco l'ha portato da un tapis roulant a un letto d'ospedale. Si è risvegliato con un pacemaker nel petto che l'ha aiutato a condurre una vita tranquilla fino al 2016, quando la sua cardiomiopatia dilatativa ha iniziato a peggiorare. Sergio sapeva che qualcosa non andava e sotto consiglio del suo medico si è recato per effettuare una visita all'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, struttura dalla quale in realtà è uscito un anno e mezzo dopo, a seguito di un trapianto. Trapianto per il quale ha dovuto attendere quasi un anno, rischiando di essere sottoposto ad un'operazione ponte per evitare il peggio. Fortunatamente nella notte del 10 luglio 2017 un cuore è arrivato e dopo una settimana di ricovero, Sergio si era già completamente ripreso. Il testimone ricorda che la sua preoccupazione più grande nel periodo di convalescenza non era tanto per l'intervento, ma per la sua famiglia, la paura di non vedere la figlia di 10 anni crescere, così come lo era stata anche per Daniele, che aveva una figlia dodicenne ai tempi della sua operazione.

 

Il presidente della sezione Aido di Lecco Giacomo Colombo, ha spiegato che oggi in Italia ad aspettare l'alba durante il periodo dell'imbrunire della vita, sono circa 8.000 persone, 200 di queste bambini. Molti di loro purtroppo non riusciranno ad ammirare un nuovo sole come invece hanno potuto fare Daniele, Silvia e Sergio. Per questo motivo è importante pronunciare quel fatidico "sì" alla donazione, che non accorcia la nostra vita ma garantisce il prolungamento di quella di un altro.

Ilaria Biffi

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