Retesalute: tantissime famiglie in grave difficoltà. Ma nessuno si scusa per le scelte che hanno prodotto il disastro

La vicenda Retesalute è stata sempre affrontata e raccontata sotto i profili di legittimità, economicità e responsabilità. I sindaci, spinti dall'ex Consiglio di Amministrazione guidato da Alessandra Colombo e da parecchi segretari comunali hanno deciso per la messa in liquidazione dell'azienda ritenendo l'atto inevitabile. Poi con una manovra che ha sbalordito l'attuale CdA e i professionisti contabili hanno ribaltato l'indicatore economico chiedendo ai Comuni-Soci di saldare i debiti al netto dei crediti, tornando così in bonis. La responsabilità, infine, la si voleva addossare a Simona Milani e Anna Ronchi ma ben tre sentenze della magistratura civile e del lavoro le hanno scagionate, riconoscendo loro, addirittura - evento rarissimo - un risarcimento in denaro.

Poche voci, tra cui la nostra, hanno sostenuto la tesi esattamente opposta: l'azienda non andava messa in liquidazione (evitando così una spesa di mezzo milione di euro), l'economicità la si raggiungeva semplicemente applicando il piano di rilancio 2018 e adeguando le tariffe dei servizi al loro costo di produzione e le due dottoresse non avevano alcuna responsabilità.

Ma un aspetto non è mai stato sufficientemente analizzato, il disastro provocato allo scopo sociale stesso di Retesalute: quello di erogare servizi ai fragili, ai minori, agli anziani. Questa è la ragione del perché nel 2003 si iniziò a discutere di un'azienda della salute tra Dario Perego allora sindaco di Merate, Marco Panzeri, allora sindaco di Rovagnate e Giacomo Molteni, direttore amministrativo prima dell'Inrca di Casatenovo e poi del presidio San Leopoldo Mandic. Progetto perfezionato nel 2005 sotto la guida cittadina di Battista Albani. Si sentiva la necessità di uno strumento-veicolo per assicurare la migliore assistenza ai cittadini bisognosi. E l'Azienda Speciale Pubblica, rispondeva (e ha risposto) egregiamente a questo scopo.

Fino alle decisioni del 2021 che hanno causato tra l'altro la fuga di moltissime figure professionali in organico all'azienda. E ora si raccolgono i frutti amari.

Da settimane stiamo con i riflettori accesi sulla questione cooperative, con la rinuncia di Consolida e la corsa a trovare altre cooperative in grado di assistere i ragazzi nell'educativa scolastica e gli anziani e i fragili nel servizio di assistenza domiciliare. I lettori hanno preso coscienza di quello che sta accadendo dalle lettere di genitori disperati di ragazzi, soprattutto autistici, che perso il loro educatore abituale, retrocedono nella crescita; di scolari che non frequentano per mancanza del sostegno.

Una situazione difficilissima per tante famiglie. Ma qualcuno ha letto un mea culpa da parte di Alessandra Colombo o di Massimo Panzeri, presidente dell'Assemblea di Retesalute che avrebbe dovuto forse dare più retta a noi che ai segretari comunali - con la lodevole eccezione di Olgiate Molgora - e evitare la liquidazione? No, tutti tacciono. Sono stati bastonati dalla Magistratura, sono responsabili di gravissimi disagi causati a molte famiglie, hanno azzoppato l'azienda speciale pubblica che nonostante gli eccezionali sforzi del nuovo CdA non è detto che riesca a farcela, ma loro, che prima predicavano di leggi, normative, ineluttabilità, oggi tacciono. Neppure una parola di scuse. Vanno avanti come se nulla fosse. I sindaci al loro posto, i segretari comunali al loro posto (e nonostante la lettera inviata al cdA scavalcando i sindaci stessi cui sono legati da esclusivo rapporto fiduciario).

Nessun si dimette, nessuno se ne va. Non è successo nulla, in fondo chi si preoccupa di qualche decina di famiglie in estrema difficoltà? Ci sono i cantieri da seguire per inaugurarli a ridosso delle elezioni, in continuità con la politica democristiana del taglio del nastro preelettorale. Non ci cascheremo ancora, spero!

Claudio Brambilla
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