Retesalute: per il giudice non vi è  prova del danno effettivo derivato dalle condotte di Milani e Ronchi né della sua consistenza

La dottoressa Federica Trovò
E' toccato non alla politica ma a un giudice fare un minimo di chiarezza in merito alla vicenda Retesalute. Lo ha fatto attraverso le motivazioni alla base della sentenza che ha rigettato tutte le domande proposte da Retesalute nei confronti di Simona Milani e Anna Ronchi oltre a condannare l'Azienda a rifondere alle resistenti le spese di giudizio e corrispondere a ciascuna delle due la somma di € 11.000 a titolo risarcitorio per una condotta "che appare contraria alle regole generali di correttezza e buona fede che devono invece presidiare l'uso dello strumento processuale".
Alla Milani nella qualità di Direttore Generale e alla Ronchi di responsabile dell'area amministrativa venivano imputate "condotte commissive ed omissive" che "hanno contribuito, in modo rilevante determinante, per il loro ruolo interno all'Azienda, ad arrecare ingenti danni a Retesalute ( perdite per € 4.250,509,16), derivanti soprattutto da una cattiva gestione contabile, per cui " l'erronea imputazione" delle entrate " secondo il principio di cassa anziché di competenza", avrebbe determinato l'occultamento della reale situazione finanziaria dell'Azienda stessa, "impedendo di rilevare l'incongruenza delle tariffe".
Le domande di Retesalute non hanno potuto trovare accoglimento da parte del Giudice per la ragione, assorbente ogni altra, "che anche ove si ammettesse l'imputabilità delle resistenti (Milani e Ronchi) non vi sarebbe alcuna prova del danno effettivo derivato da tali condotte, né della sua consistenza".
Alle convenute- sottolinea la Dott.ssa Federica Trovò- Retesalute imputa una cattiva gestione contabile e economico finanziaria. Tra le anomalie trova rilievo la confusione nella gestione contabile dell'attività svolta dall'Azienda in qualità di ente capofila delle gestione dell'Ambito distrettuale di Merate, un aspetto questo mai rimarcato a livello politico perché è difficile sostenere che l'utilizzo di fondi residui destinati alla programmazione dei servizi zonali a favore di quelli strumentali di competenza dei Comuni fossero alla portata della struttura amministrativa senza il coinvolgimento e l'avvallo dei vertici dell'Ambito, dell'Assemblea dei Soci (i Comuni) e del CDA dell'Azienda. Una prassi che ha caratterizzato Retesalute dalla nascita e che non ha sicuramente provocato danni alla rete dei servizi ma ha contribuito al loro potenziamento in particolare nel periodo durante il quale i Comuni erano assoggettati alle regole del patto di stabilità.
Questa "confusione" nella gestione contabile non ha certo penalizzato ma favorito i Comuni soci che attraverso queste operazioni riuscivano a contenere il contributo pro capite per abitante destinato a garantire l'equilibrio economico dell'Azienda.
Non risulta infatti-tiene a precisare ll Giudice- che la decisione in ordine al costo dei servizi fosse rimesso alle Dott.sse Milani e Ronchi.
Un passaggio specifico dimostra come la Dott.ssa Trovò ha fatto riferimento a quanto contenuto dello Statuto in materia.
In base all'art. 14 -sostiene- il potere di determinazione dei contributi per coprire i costi di gestione aziendali derivanti dall'attività corrente dell'Azienda spetta agli stessi enti aderenti, che vi provvedono erogando un contributo determinato in base a criteri definiti dall'Assemblea tenendo conto del peso demografico e/o del livello di fruizione dei Servizi.
Questo significa che Retesalute non ha mai avuto l'obbligo di fornire servizi al costo effettivo, ma alle tariffe non in grado di garantire l'equilibrio economico andava associato un congruo contributo pero-capite da parte dei singoli Comuni, a titolo di contributo in conto esercizio.
Potevano la Milani e la Ronchi occultare la situazione di crisi finanziaria dell'Azienda? Impossibile:
Per affermarlo il Giudice fa riferimento ad un altro documento importante, il Piano di Rilancio Aziendale sottoposto dal Consiglio di Amministrazione all'Assemblea il 18 ottobre 2018, nel quale-sostiene-"si fa riferimento alla sottocapitalizzazione dell'Azienda, che si presentava tale da mettere a rischio la stessa capacità di erogare i trattamenti di fine rapporto."
Il Piano come è noto prevedeva, tra l'altro, interventi mirati al potenziamento della struttura amministrativa e l'introduzione di un diverso sistema della contabilità , per addebitare ai Comuni, attraverso la contabilità analitica il costo effettivo dei servizi richiesto in termini di quantità e costi.
Messo ai voti il Piano fu bocciato da i soci per un millesimo.
Oltre ai contenuti del Piano nella sentenza di fa riferimento ad alcuni interventi verbalizzati nel corso della stessa assemblea il cui tenore è eloquente: Laura Pozzi Assessore del Comune di Missaglia fa riferimento ai servizi sottocosto; Maurizio Maggioni Assessore di Olgiate Molgora ricorda che nella precedente assemblea era stato "chiesto un aumento di costi una tantum, ed era chiaro che non era la soluzione"; Stefano Motta Sindaco di Calco richiamava tutti ad "un dovere particolare superiore a tutti gli altri ed è il dovere di essere rigorosi, per evitare che i problemi che questa azienda oggi vive non si verifichino più, o vengano affrontati per tempo e con la dovuta competenza"; Davide Maggioni Sindaco di Sirtori rammentava: "i soldi dovremo metterli tutti, ognuno faccia al meglio altrimenti rischiamo di pasticciare"; Emilio Zammarchi, Consigliere di Retesalute annotava anche che " la verifica in corso riguarda il fatto che una corretta ripartizione per centri di costo,mette in evidenza che alcuni servizi vengono forniti "sotto costo".
Anche una relazione della Guardia di Finanza prodotta nel febbraio del 2022 annota che " è evidente che lo stato di sofferenza finanziari di Retesalute e della conoscibilità dello stesso sia ai vertici aziendali e alle varie figure professionalmente interessate all'argomento".
A supporto di tale affermazione la Guardia di Finanza adduce proprio la delibera assembleare dell'ottobre 2018.
La circostanza che i Comuni fossero consapevoli della sottocapitalizzazione dell'Azienda e dell'inadeguatezza delle tariffe implica che il danno non si sia prodotto a causa delle condotte ascritte alla Milani e alla Ronchi, ma quale "conseguenza delle scelte gestorie, come assunte per volontà dei soci stessi "
Pertanto la concentrazione dell'azione giudiziaria unicamente su queste due persone, chiedendo loro l'integrale risarcimento del danno, peraltro quantificato in termini "esorbitanti" fanno ritenere al Giudice che la modalità dell'azione stessa appaiono "sintomatiche di una sviamento nell'uso dello strumento processuale."
Una affermazione che pone qualche dubbio in merito all'intera vicenda. Ai comportamenti tenuti dal Consiglio di Amministrazione presieduto da Alessandra Colombo, al ruolo del Direttore Enrico Bianchini, alle determinazioni assunte dal Collegio dei liquidatori.
Gli 86 mila euro da corrispondere alla Milani e alla Ronchi si aggiungono alle altre centinaia già spesi (700 mila?) per la mancata operazione di liquidazione dell'Azienda.
Oltre ai danni economici di rilievo sono la perdita di professionisti che da anni garantivano l'eccellenza riconosciuta dei servizi offerti.
La proposta del Budget 2022 che conosceremo a breve ci dirà quanto è cambiato rispetto alla impostazione della Contabilità. Potremo verificare sei i servizi verranno offerti ai Conuni al loro costo effettivo o se l'equilibrio economico dell'Azienda dovrà contare ancora sui contributi in conto esercizio previsti dallo Statuto. La seconda ipotesi imporrebbe un quesito. Perché abbiamo perso professionalità e sottratto centinaia di migliaia di euro alla rete dei servizi?

 

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