Dall’esito referendario la Lega esce a pezzi

Era senza dubbio una sconfitta annunciata. Forse però neppure le grandi firme nazionali – tolto qualche quotidiano “contro” – ne avevano intuito la drammatica dimensione. Che ora dentro la Lega si apra un dibattito sul dopo Salvini è inevitabile. Dal Papeete in poi si è assistito a un crescendo di prese di posizione talmente mutevoli da far girare la testa, in una sorta di delirio di onnipotenza in forza del quale tutto e il suo contrario dovrebbero essere presi per buoni data l’infallibilità della fonte.

Ma Salvini a parte è il fenomeno Lega che è in crisi. I numeri di Merate sui 5 referendum abrogativi sono implacabili. E ciò nonostante la mobilitazione dei militanti che, guidati dal sindaco Massimo Panzeri hanno presidiato la piazza ogni fine settimana col gazebo, volantini, e cartelloni contro la mala giustizia (a loro dire).

Una mobilitazione senza precedenti che si è conclusa in modo indegno: dei 3.933 meratesi che il 26 maggio 2019 hanno dato il voto a Lega e Forza Italia solo 2.140 hanno partecipato al referendum, e molti di questi sono probabilmente arruolati nel centrosinistra. Non solo ma i primi due referendum, sull’incandidabilità in caso di condanna di primo grado e sulla forte limitazione della carcerazione preventiva, manca poco che i NO superino i SI.

Sono accostamenti impropri, lo sappiamo. Ma l’elettore se ha fiducia nelle persone che ha votato – vedi Maurizio Lupi che nel 2018 aveva raccolto il 52% dei voti – normalmente ne segue le indicazioni.

Non è stato così in città ed è un brutto segno per la coalizione che la guida.

Peraltro temiamo che se avessimo domandato al militante seduto dietro il banchetto di spiegare bene referendum per referendum che cosa si intendeva abrogare lo avremmo messi in gravissimo imbarazzo, a parte la frase di rito salviniano: sono referendum per una giustizia più giusta. Sti cazzi!

 

Ora si attende l’immancabile comunicato del segretario Franco Lana.
Claudio Brambilla
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