Lomagna: Riccardo Clerici tra fotografia e poesia. Un'altra via per osservare il mondo

Se digitiamo oggi su Google "ripartenza", ad eccezione dei lemmi dei dizionari online, il motore di ricerca - almeno nelle prime due pagine - ci restituisce risultati attinenti al Coronavirus. "Ripartenza" è stata la parola d'ordine fin dalle prime fasi della pandemia. Infonde speranza perché va intesa come un passo in avanti rispetto alla stasi, allo stop totale, al lockdown. Ma "ripartenza" significa, in senso lato, nuovo inizio. Che è una condizione del corpo (e delle sue azioni), ma anche dello spirito. In questo periodo intere comunità hanno gettato le basi per risollevarsi dalle conseguenze di un agente esterno, un virus che si è affievolito per poi tornare aggressivo. Ma ognuno di noi riparte, in generale, alla fine di ogni ciclo. Nella vita di un artista ogni periodo si misura nell'evoluzione di un processo sperimentale, che ha inizio e fine nell'ascolto interiore.



È questa una descrizione un po' romantica dell'arte, sempre più rara, ma ancora presente. Tra le pieghe di un'attitudine bohemienne si trova anche il brianzolo Riccardo Clerici, residente a Lomagna, con la sua polimorfica ricerca artistica volta a saziare le domande e a colmare i vuoti. Musica, disegno, fotografia: valvole di sfogo affinate negli anni da autodidatta. La prima forma artistica praticata da Clerici è stata però la poesia. "Non c'è nulla di più immediato di una penna con un foglio. È la prima forma d'arte a cui mi sono approcciato, avevo 13 anni" dichiara l'artista.



L'ultimo suo lavoro, edito nel 2021, è un libro che associa componimenti poetici personali agli scatti fotografici: "Efelidi". Nelle fotografie lo stesso Clerici nei panni di un clown dal nome evocativo, Covidio. "Un clown mette in gioco la propria immagine. In questo caso ho voluto trasfigurare il mio volto, così che per la prima volta sono io stesso il soggetto delle mie fotografie. A un certo punto della vita ci si domanda 'chi sono?' e ci si rende conto di aver vissuto spesso dietro a una maschera" osserva l'artista. Un progetto germinato prima ed evoluto nel corso della pandemia nel 2020. Nella prefazione i commenti e le impressioni di numerosi artisti con cui Clerici si è confrontato nel corso della carriera. Una produzione con la quale l'autore raggiunge piena consapevolezza - e dunque maturità - artistica, restituendo coerenza al suo anarchico eclettismo. In "Efelidi" Clerici mette in vetrina se stesso, la sua arte e la concezione che ha di essa. La raccolta è filologicamente la summa di quanto realizzato fino ad ora. Un intreccio di poesia e fotografia, che a sua volta rievoca la ritrattistica in pittura. Si conferma l'esaltazione dei corpi femminili e la donna torna a fare capolino come fonte di ispirazione, una sopra di tutte. Non mancano alcuni riferimenti nelle poesie alla pandemia. Le ballerine in tutù che circondano Covidio sono un altro soggetto caro all'immaginario di Clerici. Le loro pose di danza sono musica alla vista.


Dopo i primi scritti in versi nell'età dell'adolescenza, Riccardo Clerici si è avvicinato al mondo della musica amatoriale e ruggente. Sale prove di fortuna e piccoli concerti in band locali in cui suonava il basso. La prima fu "Apeiron", genere progressive-metal, di Cernusco Lombardone. Una stagione durata dal 1993 al 1997. Sono seguiti sette anni bui, critici. Come vacillare in un labirinto. Nel parlarne ancora oggi gli si legge nello sguardo quanto tremenda sia stata la lotta combattuta con se stesso per uscirne. "Senza retorica, il punk-rock mi ha salvato la vita" racconta con asciuttezza. Con il suo basso è entrato a far parte di un nuovo gruppo, i KILLtheCAT, nata come formazione garage punk ed evoluta poi in un pur sempre punkeggiante alternative rock. Era il 2004, una rinascita.



In quegli anni ha cominciato a sentire il bisogno di evolversi anche verso le arti visive. Quasi casualmente, dalla locandina appesa in una bacheca pubblica per strada, ha scoperto la Scuola d'Arte Pura e Applicata di Merate. Sotto la guida del compianto Maestro Mauro Benatti, ha realizzato un sogno che aveva sin da ragazzino: imparare a disegnare. Clerici, che aveva sempre prediletto l'istinto all'accademia, per la prima (e unica) volta ha frequentato un corso e, apprendendo i principî del chiaro/scuro, ha iniziato a filtrare il mondo in bianco e nero.


Ed è così che Clerici, indirizzato proprio dal Maestro Benatti, ha riscoperto il fascino della fotografia essenziale rispolverando una vecchia Canon A1, probabilmente regalatagli tempo prima dal padre. Dietro l'obiettivo ha raggiunto la maturità artistica, espressa in una prolifica e congeniale produzione che riequilibra l'istintivo sfogo emotivo a una rielaborazione più disciplinata - quanto reale - della rabbia, della tristezza, della malinconia, ma anche della piacevolezza e dell'armonia interiore. "Molte filosofie e religioni partono dal concetto di armonia, che è insita nella natura dell'uomo. Va dunque da sé andare a ricercarla. L'armonia va disvelata, ma dobbiamo metterci in testa che la perfezione che ci viene propinata con modelli standard non esiste" osserva Riccardo Clerici, che con "Armonie" ha realizzato nel 2015 la sua prima personale, presso ArteE20. In precedenza, anche grazie ai consigli dell'amica Jenny Battaglino - che aveva studiato all'Accademia di Belle Arti di Brera - Clerici aveva già organizzato delle esposizioni più piccole in Provincia di Lecco. Ha poi proposto la mostra "Oria mon amour" in Puglia, ad Oria appunto, paese di origine del nonno. Invitato per la kermesse estiva, le sue foto sono rimaste per circa venti giorni presso un palazzo del Settecento nel pieno centro storico del borgo medievale.




Una fusione tra fotografia e musica ha portato il lomagnese di adozione a gravitare ancora attorno ai palchi. Non più facendo scivolare le dita sul basso elettrico, ma per immortalare con la sua macchina fotografica diversi musicisti di fama: il pianista e cantante Raphael Gualazzi al Teatro Lyrick di Assisi, i clarinettisti Corrado Giuffredi e Valeria Serangeli, quest'ultima al Teatro Carlo Felice di Genova, dove il nonno di Clerici aveva a lungo suonato il clarinetto per la banda del suo battaglione, che fu lasciata d'istanza in città ed esonerata a partecipare così alla campagna bellica di Russia. Il nonno poté studiare al Conservatorio e successivamente vincere il concorso per diventare primo clarinetto al Carlo Felice.



Nell'agosto 2016 Clerici era al Camerino Music Festival in qualità di fotografo di scena. Un'occasione per avere come oggetto dei suoi scatti artisti nazionali ed internazionali tra i quali spicca la virtuosa del pianoforte Anna Kavalerova, che ha poi rivisto presso la Casa della Musica di Parma. L'esperienza a Camerino si connota come unica e drammatica. Era lì negli istanti del terremoto. "In quei quindici giorni mi ero innamorato di quei posti. Se sei ben disposto, diventi parte della popolazione, come una famiglia che ti adotta" ricorda il fotografo. Nell'ultima giornata del festival il sisma. Lui era rientrato a fine serata all'Accademia della Musica dove alloggiava. "Non potrò mai dimenticare i pezzi di intonaco crollati dal soffitto, qualcosa di terrificante. C'era chi era uscito in mutande o in pigiama. Al secondo ruggito della terra, con la gente in strada, sembrava di essere a una processione di fantasmi" aggiunge Clerici. In debito con il paese delle Marche, ci è tornato l'agosto successivo. "Mi ero fin da subito ripromesso che avrei fatto qualcosa per poter raccontare la storia di quel paese che mi aveva adottato. Tra quelle macerie il silenzio per la prima volta mi ha fatto paura" si confida il lomagnese. Come già accaduto a Consonno, il fotografo ha creato una lirica distonia nel cogliere delle ballerine di musica classica volteggiare in un ambiente abbandonato e desolato.


Una di queste foto è stata scelta per la copertina della sua prima raccolta di poesie "Le parole che ho a lungo custodito", uscita nel 2018 con prefazione della poetessa Franca Oberti. Il compimento di un viaggio, scandito in tre differenti fasi, con compagne di avventure le frasi in versi, in cui ha scavato il suo lato più introspettivo. Il fascino delle danzatrici è stato invece più volte ripreso da Clerici come oggetto di studio. Gli scatti delle prove di ballo sono in particolare un omaggio più o meno cosciente ai quadri impressionisti di Degas.
 
A causa del Coronavirus ha dovuto rimandare tanti progetti in cantiere a data da destinarsi, ho rispolverato le passioni per il disegno e gli strumenti musicali. "Sono abbastanza abituato a fare i conti con i miei vuoti, le mie solitudini. Certo, è un continuo osservare il famoso baratro che cerca di risucchiarti. Risalire da queste profonde fosse di depressione è spesso dura, ma va bene così. Essendo l'arte un processo di assimilazione ed elaborazione, molti artisti produrranno ancora di più una volta finito questo calvario". Sono nate anche delle collaborazioni nell'ultimo anno e mezzo. All'interno del libro d'esordio "Off-line. Zona Rossa" di Natalia Marraffini ad esempio sono contenute delle foto di Clerici. L'osnaghese si è recentemente distinta per aver vinto con un suo racconto il concorso letterario nazionale "Lingua Madre. Racconti di donne straniere in Italia". È in fase di gestazione un altro progetto entusiasmante che vedrà affiancati Riccardo Clerici e la giovane scrittrice Erica Ronchi, un libro foto-poetico in cui lui curerà la galleria fotografica ispirata alle liriche di lei. Conclude in ultima analisi il fotografo lomagnese: "È mia opinione che gli artisti debbano offrire una chiave di lettura diversa e non solo gettare ulteriori pesi sullo sconforto generale. In fondo, noi siamo abituati a rinascere, rigenerarci, reinventarci. E dovremmo aiutare gli altri a fare lo stesso".
Marco Pessina
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