Brivio: al tempo del coronavirus le missioni raccontate da Padre Pietro e Suor Daniela
Nella serata di domenica 14 marzo in numerosi si sono riuniti ''virtualmente'' con il Gruppo Missionari di Brivio per ascoltare due importanti testimonianze presentate in compagnia di padre Dario Dozio e di don Emilio Colombo, sacerdote della comunità. La prima è stata quella di suor Daniela, originaria di Brivio, che da circa 30 anni fa parte della congregazione di missionarie ''Nostra Signora degli Apostoli'' di Airuno, gruppo che può contare sull'opera di 620 religiose distribuite in Istituti presenti in 13 paesi dell’Africa nonché in altri paesi europei. Nelle regioni che si affacciano sul Golfo di Guinea, come spiegato da suor Daniela, le missionarie airunesi sono state le prime ad arrivare. ''Nel 2023 festeggeremo il 125esimo anniversario del nostro arrivo in Costa D'Avorio'' ha raccontato.

Padre Dario Dozio
''Offriamo supporto anche in altri paesi africani come il Benin, il Togo e il Ciad. La vocazione per l'Africa si può dire che ci identifichi in fin dei conti. Io sono da un anno in una comunità in Costa d’Avorio, diversa rispetto a quella in cui, nella medesima Terra, aveva prestato servizio dal '93 al 2000. Attualmente faccio parte di un’equipe formativa. Tengo corsi per la formazione di suore in Costa d’Avorio, svolto attività per la parrocchia e porto la comunione ai malati. Avevo anche incominciato la catechesi in carcere ma purtroppo con il coronavirus ci hanno impedito di entrare. Per il resto faccio la casalinga come tutte le altre sorelle''. Dopo aver brevemente spiegato le attività che svolge, suor Daniela ha focalizzato l’attenzione sulla situazione pandemica che investe, seppure in maniera diversa da come ormai siamo abituati in occidente, anche il terzo mondo. ''In Costa d’Avorio la gente non crede alla pericolosità della malattia'' ha raccontato. ''Durante il primo lockdown l’economia non ha retto e quindi si è dovuti tornare alla normalità insistendo su lavaggio delle mani e l'utilizzo della mascherina nei luoghi chiusi. Ma all’aperto non vengono seguite le restrizioni perché la gente non ci crede, sebbene i numeri per stare attenti ci siano''. Per presentarsi a chi già non la conosceva, suor Daniela ha risposto alla domanda relativa alla sua vocazione, che l’ha portata a diventare suora dopo un lungo periodo di riflessione. ''Sintetizzare in pochi minuti un percorso di dieci anni non è facile'' ha raccontato.

Suor Daniela
''Da catechista è stato naturale cercare ciò che ci fa sentire pienezza. Ogni donna e ogni uomo portano questa domanda. Io questo bene lo conoscevo, era Dio e sentivo di doverlo comunicare''. Alla domanda ''Ti manca la brianza?'', postale da padre Dario Dozio, suor Daniela ha risposto con sincerità che un po' di nostalgia la prova per le piccole cose che in Africa non vive più, come tornare in casa al calduccio quando fuori fa freddo, ma più di tutto ha ammesso sentire la mancanza per la famiglia e il dispiacere di non essere vicina alla mamma. Tuttavia il suo viaggio l’ha portata a conoscere veramente il mondo, oltre che sè stessa. ''Sinceramente faccio fatica usare il termine 'Africa' quando mi chiedono di descrivere di cosa si tratti e del perchè molte missioni si svolgono in questo territorio'' ha commentato. ''In generale sappiamo che è un continente. Io ho avuto la fortuna di visitare, anche se in alcune occasioni si è trattato più che altro di una toccata e fuga, una decina di paesi e non si può dire che l'Algeria, la Tanzania e il Bostwana siano la stessa cosa. Lo stato che conosco di più è la Costa d’Avorio. Sinceramente mi ha insegnato e mi sta insegnando delle cose importanti. La prima cosa è il fatto che nessuno vive da solo e si salva da solo. Qui non c’è nessuna sicurezza sociale, la gente sperimenta sulla sua pelle che si dipende gli uni dagli altri. Ciò può creare, come accade, sentimenti di rivolta e manipolazione dell’altro, ma dall’altra c’è un’attenzione alla persona e può essere davvero l’occasione per scoprire quanto ognuno di noi dipende dal dono che l’altro fa di sè stesso e diventa occasione di ringraziamento. Viceversa noi come occidente abbiamo l’illusione che possiamo farci da noi, possiamo stare in piedi da soli. Questa illusione qui in Africa la perdi subito. Ed è una verità: non viviamo da soli e non ci salviamo da soli. Qui la gente ha davvero una forte consapevolezza della vita e questo è un vero dono di Dio, la fiducia in Lui sostiene la gente che affronta le prove difficili nella speranza e con l’affidamento in ciò che è l’origine di fronte al senso di impotenza che tante volte si prova in situazioni che non sai come affrontare o gestire. Qui la gente fa festa per poco, e anche io mi aggrappo al vivere quotidiano laddove non vedo cosa fare, al vivere quotidiano come gesto di attenzione, di amore in quello che faccio e alle persone che sono intorno''.

Padre Pietro Villa
La seconda testimonianza della serata è stata quella del padre missionario Pietro Villa, anch'egli briviese e appartenente all'Istituto di Missionari della Consolata di Torino. Padre Dario ha chiesto lui per sciogliere il ghiaccio cosa lo avesse spinto a rientrare in Italia dopo le missioni che ha svolto in terra africana. ''Sinceramente me lo chiedo ancora, dopo aver lasciato da sei anni la Costa d'Avorio'' ha spiegato. ''Sono rientrato nel settembre del 2014. Un giorno arrivò il mio superiore e mi disse: prima dimmi di sì, poi ti dirò una cosa. E così mi sono ritrovato a Torino ad amministrare le nostre case missionarie nel monso, soprattutto curando gli aspetti burocratici, legislativi e fiscali. La nostra congregazione ha 22 comunità in Italia e altre due in Polonia. Il mio lavoro, in sostanza, è un po' quello del burocrate''. Un'attività che padre Pietro non ha nascosto andargli un po' stretta. ''Ero abituato a vivere in comunità vive e numerose'' ha spiegato. ''Basti pensare che in Costa d'Avorio si facevano 500 battesimi all'anno. Ora sono in una situazione pastorale che non è più in crescita, ma in uscita, come chiede Papa Francesco''. Anche al religioso ora stabilitosi a Torino è stato chiesto di descrivere come ha vissuto il periodo della pandemia. ''Abbiamo avuto anche noi parecchie difficoltà'' ha raccontato.

Don Emilio Colombo
''Durante la prima ondata su una 30ina di persone che siamo, otto hanno preso il virus e un padre è deceduto. In un'altra residenza di missionari anziani circa in 28 si sono ammalati e 12 sono venuti a mancare. Nella seconda e terza ondata le difficoltà sono diminuite e ora grazie a Dio abbiamo ricevuto il vaccino''. Padre Pietro ha quindi parlato della sua chiamata. ''La mia vocazione ha avuto diverse fasi, ma tutto è partito grazie a don Roberto Terenghi quando ero a Brivio'' ha proseguito. ''Con il gruppo di chierichetti ci radunava e ci parlava della vocazione sacerdotale. Poi insieme facevamo delle visite in seminario ed è lì che ho iniziato a prensare di intraprendere questa strada. Sono diventato missionario però dopo l'incontro con le suore di Airuno. Ora faccio parte di un istituto che lo scorso 29 gennaio ha compiuto 120 anni di fondazione''. Padre Pietro, interpellato sull'argomento, ha poi risposto che tornerebbe volentieri in Africa.
E.C.