Merate: con La Semina in diretta dall'Antartide i ricercatori Rodolfo Canestrari e Fabio Borgognoni

Nel pomeriggio di giovedì 25 febbraio si è tenuto un webinar davvero unico nel suo genere che ha visto dialogare i membri della Semina con due ricercatori attualmente in Antartide, Rodolfo Canestrari e Fabio Borgognoni. L’incontro, dal titolo ‘Ex Concordia felicitas – come vivere felicemente oltre la periferia del mondo’, è stato organizzato dall’associazione culturale meratese ed è stato trasmesso via Zoom e Facebook a partire dalle ore 16.
Rodolfo Canestrari è laureato in astronomia ed è un ricercatore dell’INAF (Istituto nazionale di astrofisica). Nella vita di tutti i giorni sviluppa nuove tecnologie per la realizzazione delle ottiche dei telescopi, che poi installa in tutto il mondo. Ha vissuto e lavorato per dieci anni in Brianza, presso il distaccamento meratese dell’Osservatorio Astronomico di Brera, e poi si è trasferito a Palermo. A partire dallo scorso autunno vive però in Antartide, più precisamente nella base antartica italo-francese ‘Concordia’, per condurre esperimenti di fisica dell’atmosfera, climatologia e meteorologia. Inoltre, è Station Leader – ovvero “Capo Base” – della missione attualmente in corso, la 17esima campagna invernale di Concordia.
Fabio Borgognoni è invece un ricercatore ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) che normalmente si occupa dello studio di materiali ma che a Concordia ricopre il ruolo di glaciologo, occupandosi di campionamenti di neve superficiale e particolato atmosferico. Assieme a loro c’è un team internazionale di ricercatori e tecnici di vario tipo: un altro glaciologo, un elettrotecnico, un elettronico della scienza, due medici, un meccanico, un cuoco, un caldaista saldatore e tecnico polivalente, un capo tecnico e un informatico. La squadra trascorrerà in Antartide un totale di tredici mesi prendendo parte a una campagna invernale, la diciassettesima, e a due campagne estive, la trentaseiesima - conclusasi a fine gennaio - e la trentasettesima. Durante i periodi estivi, la base ospita un numero maggiore di ricercatori, che diminuisce con il sopraggiungere dell’inverno antartico, quando nessuno spostamento è consentito.



Rodolfo Canestrari e Fabio Borgognoni in diretta dall’Antartide

“In questo momento noi dodici siamo le persone più isolate e remote sulla faccia della Terra, assieme a qualche sparuto altro collega della stazione russa Vostok, a circa 600 km da qui, e ad altri colleghi della stazione americana. Quando la stazione spaziale internazionale orbita sopra l’Antartide, gli esseri umani più vicini a noi sono loro, perché la stazione orbita a circa 400 km di distanza e quindi risultano gli individui più nelle vicinanze. Questa cosa è un po’ curiosa, fa pensare. Possiamo però ritenerci ancora più isolati di loro perché in caso di malfunzionamento o avaria, gli astronauti dispongono di una capsula di sicurezza grazie alla quale nel giro di poche ore possono tornare sulla Terra. Noi durante il periodo invernale, ovvero fino al prossimo novembre, non possiamo essere salvati se dovesse succedere qualcosa, non ci sono mezzi che possono arrivare qua per gli ovvi motivi climatologici” ha spiegato Rodolfo. La Concordia si trova a circa 15.000 km dall’Italia, sul plateau antartico presso Dome C e poggia su 3.200 metri di ghiaccio. Raggiungerla non è semplice, soprattutto durante una pandemia: “siamo partiti il 14 ottobre dall’Italia. Abbiamo preso un aereo che da Roma ci ha portato a Hobart, in Tasmania. Lì abbiamo fatto una quarantena di ventotto giorni, di cui i primi quattordici in completo isolamento. Dopo la quarantena e due tamponi siamo potuti partire in aereo e arrivare in Antartide, prima alla base costiera italiana Mario Zucchelli e poi il giorno successivo, ovvero il 13 novembre, siamo stati trasferiti qui a Concordia. L’anno è particolare e la spedizione ne ha risentito ma il modo per arrivare è sempre simile a questo: si fanno una serie di voli commerciali per arrivare in Australia o in Nuova Zelanda, poi da lì con dei voli dedicati su mezzi militari o commerciali si arriva alla base costiera, atterrando direttamente sull’oceano ghiacciato. Da lì poi si prende un aereo molto piccolo che in circa cinque ore, attraversando cinque fusi orari, porta fino a qui” ha raccontato Fabio.



La stazione antartica italo-francese Concordia

Questo vuol dire che Concordia – e i suoi abitanti – devono essere autosufficienti in tutto e per tutto. La stazione antartica non è composta solo da laboratori, cucina, camere e spazi ricreativi ma è anche equipaggiata con un vero e proprio piccolo ospedale attrezzato per rispondere a una vasta gamma di emergenze. Inoltre, sono presenti una serie di strutture al di fuori del corpo principale che vengono utilizzate durante i campi estivi e che fungono da rifugio di emergenza in caso di eventi catastrofici. I ricercatori devono anche seguire dei training di pronto soccorso, misure antincendio e di sicurezza di vario tipo, per essere in grado di gestire qualsiasi tipo di inconveniente. L’isolamento costringe anche all’adozione di varie misure di riciclo: la neve viene sciolta e filtrata per ottenere sia acqua potabile che acqua per lavare e cucinare. Essa viene poi riciclata e purificata attraverso un particolare impianto progettato dall’agenzia spaziale europea – lo stesso che si trova sulla stazione spaziale internazionale – per minimizzare l’impatto antropico sull’ambiente. Anche il calore prodotto dai generatori a gasolio che costituiscono l’unica fonte di energia di Concordia viene riciclato, così come vengono riciclati i rifiuti organici tramite una speciale macchina per il compostaggio. I rifiuti di natura non organica vengono invece differenziati e stoccati in appositi container che d’estate vengono portati in Australia per lo smaltimento.
Le difficoltà da fronteggiare in un ambiente così estremo sono molte e di varia natura, in primis quelle legate alle condizioni climatiche. D’estate le temperature si aggirano sui venti o trenta gradi sottozero, mentre in inverno possono raggiungere valori nell’ordine dei meno ottanta gradi centigradi. Il valore percepito a causa dell’azione del vento può raggiungere anche i meno cento gradi e, come spiegano gli scienziati, ciò rende molto difficoltoso lavorare all’esterno: “Ovviamente abbiamo delle tute speciali che ci proteggono dal freddo, siamo coperti dalla testa ai piedi e indossiamo delle maschere che proteggono gli occhi anche dal forte irraggiamento solare. Possiamo stare fuori solo per pochi minuti perché non c’è abbigliamento tecnico che riesce resistere molto a queste temperature” ha spiegato Fabio. “Quando andiamo a svolgere un lavoro abbiamo bisogno di utilizzare le mani. Abbiamo però indosso due o tre paia di guanti che andiamo togliendo perché se no siamo troppo limitati nei movimenti e questo è il vero motivo per cui dobbiamo rientrare continuamente nei vari shelter per riscaldarci. È però impressionante vedere come il corpo e le sensazioni si abituino a queste condizioni. Quando siamo arrivati a novembre, per noi era freddissimo. Poi è entrata la piena estate antartica, quindi abbiamo iniziato a vivere con temperature nell’ordine dei meno venti e meno trenta. Adesso ci sono circa meno cinquanta gradi e quando usciamo diciamo ‘si sente che sta arrivando l’inverno, fa freschetto’ perché fino a dieci giorni fa uscivamo e stavamo bene, ben coperti. Curioso come il corpo si abitua e adesso ci viene da dire che è freschetto quando ci sono meno cinquanta, meno sessanta gradi,” ha aggiunto l’astronomo.



Dome C, veduta aerea

Anche la mancata alternanza del giorno e della notte rappresenta una sfida non indifferente: “Da quando siamo arrivati, stiamo vivendo una condizione di ventiquattro ore di luce solare completa. Il primo tramonto e la prima alba, a distanza di pochi minuti l’uno dall’altra, li abbiamo potuti osservare l’11 di febbraio. Dall’11 febbraio il sole ha iniziato gradualmente a tramontare e cominciamo ad avere un pochino di buio. Questa situazione andrà a progredire finché a inizio maggio il sole smetterà di sorgere e inizierà la cosiddetta notte antartica, ovvero inizieremo a vivere una condizione di ventiquattro ore continue di buio che si protrarranno fino al 12 agosto, quando riavremo la prima alba. Adesso di notte quando andiamo nelle nostre camere tiriamo le tende per avere un po’ di buio e bene o male riusciamo a dormire. Sarà invece molto diverso quando avremo ventiquattro ore di buio per tre mesi consecutivi. A qualsiasi ora della giornata vedremo il cielo stellato e tutte le nostre attività inevitabilmente rallenteranno. Quello sarà più difficile da gestire perché il nostro organismo è abituato all’alternanza luce-buio e il solo buio è impegnativo, possono insorgere anche varie sindromi legate questi aspetti” hanno dichiarato i ricercatori.
A queste problematiche si aggiunge la carenza di ossigeno: a causa della posizione geografica l’aria contiene circa il 30% in meno di ossigeno, una quantità paragonabile a quella che in Europa si trova a una quota di circa 3.800 metri sul livello del mare. Tale condizione di ipossia rende faticose anche le operazioni più semplici, come salire una rampa di scale. Respirare risulta difficoltoso anche a causa della bassissima umidità dell’aria, che porta a una continua secchezza di naso e gola.
Per rispondere in maniera efficace a tali sfide, i ricercatori sono sostenuti a livello psicologico sia dalla dottoressa presente alla base, sia tramite un servizio di assistenza per via telematica fornito da ENEA. Inoltre è per loro importante impiegare il tempo libero in maniera serena e armoniosa con gli altri membri della spedizione, per esempio andando in palestra, leggendo libri, guardando film o giocando ai numerosissimi giochi da tavolo e non presenti nella stazione. Di centrale importanza è anche l’alimentazione, che deve essere sempre ben bilanciata: “i pasti che consumiamo sono normalissimi. Abbiamo un’abbondanza di scorte che vengono portate qui ogni estate, anche se chiaramente a un certo punto le cose fresche si esauriscono. Nel periodo invernale assumiamo infatti degli integratori per sopperire alle mancanze dovute all’assenza di alimenti freschi e alla mancanza di luce solare. Per il resto abbiamo davvero cibo di grandissima varietà e un bravo cuoco che ogni giorno presenta pietanze appetitose e variegate e questo è fondamentale perché quando si fanno due ore di attività all’esterno, rientri che sei veramente spossato e trovare un buon pasto è fantastico. Inoltre la cucina è un elemento centrale nella nostra vita perché la presenza e l’orario dei pasti è quello che scandisce la nostra giornata, in mancanza dell’alternarsi di luce e buio. Questo ci consente di vivere con una certa regolarità e normalità” ha spiegato Canestrari.
L’incontro si è concluso con un round di domande circa il sistema di telecomunicazioni della base, i motivi che spingono i ricercatori a imbarcarsi in spedizioni tanto estreme e le similitudini tra le loro condizioni e quelle degli astronauti.
L’entusiasmo dei partecipanti al webinar si è rivelato partecipe e contagioso, tanto che non è esclusa la possibilità di replicare l’incontro quando gli abitanti della Concordia dovranno fare i conti con la notte perenne.
Ar.S.

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