''E tu l'accazzi''

Gigi Proietti
Ho scritto ieri il pezzo su di lui, e mi risveglio stamattina con la notizia della morte di un altro grandissimo, che a 80 anni esatti, nel giorno esatto del suo compleanno, ci saluta con un ultimo sberleffo, e se ne va.
Dopo aver riso a crepapelle sulle sue barzellette, ho incominciato a usare i suoi contributi nei corsi di formazione per i docenti, soprattutto quelli nei quali la categoria di noi letterati che ci pasciamo dell’idromele del monte Parnaso viene messa alla berlina, nelle sue pose affettate e nelle sue contraddizioni endemiche.
Non c’è corso ai docenti nel quale, lavorando sull’importanza della dizione e degli elementi paraverbali e non verbali della comunicazione non ci abbiano fatto compagnia il professor “Tango”, che leggeva Carducci, o l’altro, di Bari, che declamava la dannunziana “Pioggia nel pineto”: avevo di fronte una platea di un centinaio di docenti e sull’esordio “Teci”, con metafonia vocalica alla pugliese, ne ho persi la prima metà, piegati in due dal ridere. Sull’anaforico “piove” ho perso gli altri cinquanta. E avrei potuto chiudere lì la mia lezione sulla Programmazione NeuroLinguistica, perché tutto era già stato detto da Gigi.
<
Non c’è forse documento migliore per introdurre il concetto di metasemantica nella poesia che “Il lonfo”, del grandissimo Fosco Maraini. Vale anche come cartina di tornasole per mettere alla prova la bravura di un attore. Lo si usa nei corsi di teatro, nei laboratori di psicoterapia. E lo uso nei miei corsi di letteratura. Da giovane lo recitavo a memoria, cercando di darmi un tono. Ho imparato con gli anni a farmi da parte, e far parlare Gigi Proietti. Di norma non sopporto gli attori che “recitano” le poesie, anteponendo sé stessi al testo. Non sopporto Gassman che legge Dante. Ho sostenuto in un mio libro che è stato adottato in molte università italiane, dalla Cattolica alla Sapienza fino alla Federico II di Napoli, che una poesia vada letta, non interpretata. Che piuttosto che appiattire gli enjambement in una prova attoriale e prosastica è meglio cantilenarla come una filastrocca del “Corrierino dei Piccoli”. Ma ci sono poesie che prendono davvero nuova vita in bocca ad alcuni grandi. Così è del Lonfo, che il poeta Narciso Vanesi di Proietti ha reso palpitante.
Il Lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce,
sdilenca un poco e gnagio s’archipatta.
È frusco il Lonfo! È pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.
Eppure il vecchio Lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa legica busia, fa gisbuto;
e quasi quasi in segno di sberdazzi
gli affarferesti un gniffo. Ma lui, zuto
t’ alloppa, ti sbernecchia; e tu l’accazzi.
Come nelle storie dei bimbi, è lo sberleffo che salva dalla paura. Io non lo so se il Lonfo veste di nero e maneggia una falce, e se tu lugri lui invidioso ti botalla e ti criventa, e se lo vuoi sberdare con un gniffo lui regisce, zuto t’alloppa, e ti sbernecchia. So però che se tu l’acccazzi, lui non avrà mai del tutto vinto.
Stefano Motta