Acqua pubblica, energia nucleare, la Legge uguale per tutti: ecco i quesiti referendari e cosa accade se vince il SI o il NO
Michele Bossi, attento e acuto lettore, ci ha inviato questo "studio" sui quattro quesiti referendari. Ne ha sviscerato il contenuto valutandone lo sviluppo futuro nel caso in cui vincano i SI oppure i NO. Si tratta di un testo chiaro, completo e ricco di informazioni collaterali che offriamo a tutti i lettori come guida al voto di domenica e lunedì, ricordando che votare è un dovere civico. Un grazie particolare a Michele Bossi.
Nulla di scandaloso se i risultati dei referendum sui quali siamo chiamati a pronunciarci domenica e lunedì prossimi verranno interpretati ANCHE come un test del consenso di cui gode presso l'opinione pubblica la politica del Governo. È naturale: dal momento che tutte le norme di cui viene chiesta l'abrogazione sono state introdotte dall'attuale maggioranza parlamentare, un'eventuale vittoria dei "no" in tutti e quattro i referendum suonerebbe come una conferma dell'appoggio popolare alle scelte dell'esecutivo, mentre una vittoria dei "sì" non potrebbe non implicare una sconfessione da parte degli elettori delle decisioni prese a loro nome dagli eletti. Ciò non significa che dovremmo rispondere ai quesiti che ci vengono posti in base a considerazioni ad essi estranee: oltre che masochista, dal momento che si tratta di questioni che ci interessano direttamente, sarebbe un atteggiamento profondamente scorretto. Meritano perciò apprezzamento, indipendentemente dal fatto che ne condividiamo o meno i rispettivi punti di vista, la decisione di Matteo Renzi, sindaco PD di Firenze, di votare "no", in contrasto con le indicazioni del suo partito, nei due referendum sull'acqua, e quella di numerosi esponenti della Lega Nord (tra cui Attilio Fontana, sindaco di Varese) che hanno manifestato l'intenzione di schierarsi sul medesimo quesito per il "sì". Vale dunque la pena di tentare di fare un po' di chiarezza sui contenuti delle decisioni che dovemo prendere.

Michele Bossi
- Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica: abrogazione (SCHEDA ROSA). La norma che i promotori chiedono di abolire impone la messa a gara, o l'affidamento a società mista con almeno il 40% di capitale privato, di alcuni servizi pubblici locali: non solo quello di distribuzione dell'acqua potabile ma anche, per esempio, i trasporti pubblici e la raccolta dei rifiuti. È qui necessario chiarire un possibile equivoco: nel caso in cui prevalessero i "sì" e le norme contestate venissero abrogate, la privatizzazione di tali servizi non ne risulterebbe affatto vietata, ma tornerebbe a essere per gli enti locali semplicemente una delle possibili scelte, mentre, qualora l'articolo 23-bis della legge 133/2008 venisse confermato dal responso referendario, comuni, province e regioni che non lo avessero già fatto rimarrebbero obbligati (dall'art. 15 della legge 166/2009, comma 8, punto a) a procedere alle privatizzazioni entro il 31 Dicembre di quest'anno. Per quanto riguarda in particolare il servizio di distribuzione dell'acqua, viene e verrà svolto in ogni caso in regime monopolistico: non credo che nessuno dei lettori (nonchè e-lettori) sia tanto sprovveduto da ipotizzare (eccetto forse il signor Fabio Lazzari: si veda la quattordicesima riga del suo messaggio rintracciabile in www.merateonline.it/articolo.php?idd=10186&origine=1) una molteplicità di reti di acquedotti in concorrenza tra loro che si intreccino sul medesimo territorio. Eppure esistono senza dubbio lettori/elettori abbastanza sprovveduti da lasciarsi convincere che un monopolio privato è intrinsecamente migliore di un monopolio pubblico: l'aumento delle tariffe dovuto alla privatizzazione, che nessuno si azzarda a negare, viene per esempio a volte spacciato per un doveroso disincentivo agli sprechi (si veda tra i tanti il messaggio di un anonimo meratese in www.merateonline.it/articolo.php?idd=10200&origine=1). Ora, a parte il fatto che un prezzo davvero capace di indurre al risparmio con un minimo di efficacia la massa dei ceti medi avrebbe l'inevitabile "effetto collaterale" di assetare le fasce più deboli, si è mai visto un venditore privato tanto virtuoso da scoraggiare il consumo della sua merce?
- Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito: abrogazione parziale (SCHEDA GIALLA). La norma che i promotori chiedono di abolire impone una determinazione delle tariffe dell'acqua che assicuri in ogni caso al distributore un utile del 7% annuo sul capitale investito: quale altra attività economica gode di un regime tanto privilegiato? È chiaro che la cancellazione, in caso di vittoria dei "sì", del profitto stratosferico (in confronto con quello degli investimenti accessibili ai comuni mortali) garantito per legge renderebbe meno appetibile ai privati la torta della gestione dell'acqua, riducendo tra l'altro tanto le tentazioni di accaparrarsene una fetta con mezzi poco trasparenti quanto la sicurezza di potersene comunque permettere il prezzo (a spese degli utenti).
- Abrogazione delle nuove norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare (SCHEDA GRIGIA). Qui mi appaiono tutt'altro che chiari i motivi dell'atteggiamento del Governo, che su tale quesito ha fatto del suo meglio per esasperare chiunque sia dotato di un minimo di consapevolezza: se da un lato il Presidente del Consiglio proclamava infatti di non aver problemi di sorta ad adeguarsi al responso dell'opinione pubblica e lasciava (ai suoi "liberi servi"?") piena libertà di voto, dall'altro tentava l'impossibile per impedire a quella stessa opinione pubblica di esprimersi, combinando pasticci tali da rischiare tra l'altro, come possiamo vedere in queste ore, di esporre un eventuale esito non plebiscitario della consultazione popolare a contestazioni che sarebbero indegne del meccanismo elettorale di qualsiasi paese del cosiddetto terzo mondo. Non ritengo, ciò nonostante, che si debba votare sull'onda di una pur sacrosanta indignazione antigovernativa, nè che sia corretto affrontare un problema tecnico come questo in un'ottica ideologica (chi è favorevole al nucleare non è, a priori, un nemico della natura, nè chi è contrario un nemico del progresso): sono invece convinto che l'unico atteggiamento serio sia quello di entrare nel merito della questione. L'energia nucleare condivide in tutto o in parte con le fonti rinnovabili due vantaggi: non produce gas serra e può contare su riserve di uranio che non sono destinate a esaurirsi tanto presto quanto gli idrocarburi. I suoi principali problemi sono per contro rappresentati (se diamo per scontati un buon livello tecnologico e la presenza di organi di controllo degni di fiducia) dalla necessità (che è forse inutile sottolineare dopo Fukushima) di installare le centrali in zone sismicamente sicure e dalla gestione delle scorie. In Italia le aree idonee a ospitare centrali nucleari garantendo una ragionevole sicurezza (evidenziate in grigio nella mappa fornita dall'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia consultabile in scala ridotta in http://zonesismiche.mi.ingv.it/mappa_ps_apr04/images/mappa_opcm3519.gif) sono come vediamo molto limitate e, indipendentemente dalla dubbia gioia che può procurarci il fatto che includano parte del territorio della nostra provincia, non permettono certo di prefigurare per il nostro paese un futuro energetico nucleare alla francese. Quanto al problema delle scorie (alcuni componenti delle quali sono destinati a rimanere pericolosamente radioattivi per centinaia di migliaia di anni), se ci limitiamo a considerare come il governo federale degli Stati Uniti non sia stato in grado di individuarne, dal 1982 o tutt'oggi, una sistemazione permanente, ci vengono i brividi solo a immaginare come potrebbe essere affrontato in un paese che si è dimostrato incapace di garantire lo smaltimento dei normali rifiuti urbani o di evitare la contaminazione da diossina non soltanto della Campania settentrionale, ma di buona parte del territorio bresciano (si veda per esempio www.quibrescia.it/index.php?/content/view/25766/218/). Senza pretendere certo di aver esaurito l'argomento, nè di ipotecare che cosa debbano fare gli Australiani o quali decisioni dovremo prendere noi tra dieci o venti anni, mi pare dunque che esistano motivi sufficienti per rifiutare QUI E ORA l'opzione nucleare, e per rispondere quindi affermativamente al quesito referendario.
- Abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale (SCHEDA VERDE). Tanto la questione quanto la posizione delle due parti sono ben note, per cui mi limito qui a osservare che si tratta di un'opportunità per chiarire se davvero cominciamo a fare il possibile perchè le regole valgano per tutti, o se continuiamo ad accontentarci di sfogare a chiacchiere la nostra indignazione, abbondando magari in lettere maiuscole e in raffiche di punti esclamativi, quando un prefetto (su istanza, per chi non lo avesse notato, della Presidenza del Consiglio) annulla una sanzione all'autista di una ministra.
- Votare NO. Significa esprimere il proprio rifiuto alla proposta di abolizione della norma contestata, che evidentemente si ritiene valida. Una vittoria dei "no" ha il significato di una sanzione popolare della legge che era stata messa in discussione, e ne rende politicamente improponibile, quantomeno a breve termine, l'abrogazione o lo stravolgimento da parte del Parlamento.
- Votare scheda bianca. In base all'art. 75 della Costituzione, ha lo stesso effetto formale di votare per il "no": perchè la norma in discussione venga abrogata, è infatti necessario che i "sì" costituiscano la maggioranza dei voti validi, ossia che il loro numero superi la somma di quelli dei "no" e delle schede bianche. Si tratta tuttavia di un opzione che esprime una posizione politica differente da quella del "no", in quanto implica una non piena condivisione della legge che pure si ritiene preferibile non cancellare: un eventuale ruolo determinante delle schede bianche nel mantenimento di una disposizione legislativa ne fa mancare una vera e propria sanzione da parte dell'elettorato e apre politicamente la strada a possibili modifiche.
- Annullare la scheda. È, a differenza della riconsegna di una scheda bianca, una forma di astensione, che può anche esprimere il rifiuto da parte dell'elettore dei termini nei quali la questione viene presentata da entrambe le parti. Chi annulla la propria scheda delega comunque implicitamente gli altri elettori a decidere per lui.
- Votare SÌ. Esprime, come è noto, la volontà di cancellare la norma contestata.
- Astenersi dal voto (non recandosi al seggio, oppure rifiutandosi di ritirare alcune delle schede). Si tratta di una possibilità implicitamente legittimata dalla Costituzione (si veda ancora l'art. 75), che ha previsto la possibilità per l'elettore di dichiarare il proprio disinteresse per l'argomento della consultazione, o la propria incompetenza su tale tema, evitando di partecipare al voto: qualora non voti la maggioranza degli aventi diritto (ossia non venga raggiunto il cosiddetto "quorum") la norma contestata rimane in vigore, non in quanto sanzionata dalla volontà popolare ma in quanto la maggioranza dei cittadini ha ritenuto, astenendosi dal voto, di lasciare l'argomento nelle mani degli organi legislativi ordinari. I costituenti, che erano generalmente persone corrette, non avevano però previsto la possibilità che l'astensione venisse brandita da qualcuno come un'arma impropria per sommare con un miserabile trucco il rifiuto al disinteresse ottenendo così una vittoria tanto facile quanto democraticamente discutibile. Il primo a intravvedere questa possibilità fu Craxi nel 1992, con il suo memorabile invito agli Italiani ad andare al mare piuttosto che ai seggi. Il colpo, come i lettori forse ricorderanno, gli andò a vuoto, ma da allora il trucco è stato usato, con sempre maggior successo, da tutte o quasi tutte le forze politiche (nonchè, in un'occasione recente, perfino dalla CEI). Sono evidentemente ormai lontani i tempi in cui i laici, per respingere le iniziative referendarie volte ad abrogare il divorzio o la regolamentazione dell'aborto, chiedevano lealmente agli elettori di tracciare una croce sul "no", e non li invitavano certo a starsene a casa: chissà se qualcuno ricorda ancora, a questo proposito, un Maestro che ammonì una volta: "Sia il vostro parlare <sì sì, no no>, il di più viene dal maligno" (Mt V, 37)? Anche al di là della sua scorrettezza, il cosiddetto "astensionismo attivo" nasconde poi un rischio la cui gravità è stata finora sottovalutata. Tracciare una croce sul "sì" o sul "no", annullare la scheda o consegnarla in bianco sono tutte forme di voto segreto, mentre recarsi o non recarsi al seggio, ritirare o non ritirare la scheda sono comportamenti visibili, ossia forme di voto palese. La segretezza del voto è nel nostro ordinamento un diritto e assieme un dovere. Se non fosse un dovere, non potrebbe infatti essere realmente un diritto: nella Cecoslovacchia di Gustáv Husák il voto segreto (di approvazione o di rifiuto di un'unica lista di candidati) era formalmente un diritto, ma non un dovere, ed era chiaro che il bravo compagno usciva dalla cabina elettorale con la scheda ancora aperta. Si tratta di pericoli puramente teorici lontani anni luce dall'Italia di oggi? Non so. È bene comunque chiarire ancora una volta che il mancato raggiungimento del quorum non equivarrebbe affatto a una vittoria del "no" come a volte è stata truffaldinamente spacciata: una dichiarazione popolare di disinteresse e/o incompetenza lascerebbe infatti politicamente libero il Parlamento di abolire per suo conto o di modificare a suo piacimento, anche il giorno dopo, la norma contestata.
Michele Bossi