ASST: i tecnici di radiologia alle prese con malati assetati d'aria e dallo sguardo spento

“In 39 anni mai vista una cosa simile” ha lo sguardo ancora terrorizzato Cinzia, un'infermiera della radiologia del Mandic. Ma come lei sono decine le colleghe che non dimenticheranno mai questi mesi e che si sono trovate a contatto con pazienti assetati d'aria, disperati perchè vicino al confine tra la vita e la morte e con la dsperazione negli occhi.


“C'erano persone che svenivano in sala d'attesa” ha proseguito “li portavamo in pronto soccorso col cucchiaio. Non ho mai pianto nello svolgere il mio mestiere ma qui è stata dura, impossibile direi. Ero spaventata per la mia famiglia e ho mandato mia figlia in montagna per evitare di tornare a casa e contagiarla. Altro che influenza, come ci raccontavano all'inizio. È stato qualcosa che ha sovrastato le nostre forze e ciò a cui eravamo abituati. Nemmeno in rianimazione avevo mai visto pazienti arrivare così compromessi. C'erano persone che arrivavano qui da sole, da altri paesi. Erano disorientate e ti guardavano negli occhi implorando aiuto a volte con lo sguardo terrorizzato, altre spento”.


Il dottor Simone Limonta

Quadri clinici gravi ed estesi, che in letteratura probabilmente nessuno aveva mai visto e mai si era preparato ad affrontare.
“Eravamo angosciati” ha ricordato il dottor Simone Limonta “Ci siamo accorti che la situazione stava diventando anomala e critica verso febbraio. Prima di quella data non si erano visti casi sconvolgenti come hanno iniziato poi ad arrivare con una frequenza impressionante. Abbiamo avuto a che fare con pazienti dai polmoni devastati, bruciati direi. Condizioni drammatiche che ci lasciavano davvero perplessi e sconvolti. C'erano casi di pazienti che stavano tutto sommato bene, come un nostro collega, ma che avevano i polmoni gravemente compromessi. E poi c'era la rapidità del virus che si diffondeva velocemente e aveva un decorso, in negativo, imprevedibile”.


Al lato “umano” di certo il più difficile da gestire, c'è stato poi quello più “pratico” che in particolar modo il tecnico di radiologia ha dovuto presto imparare a coordinare.
“Abbiamo dovuto mantenere la distanza di sicurezza ed evitare il contatto. Eseguire rx toraci e TC torace in pazienti che avevano fame d'aria oppure direttamente al letto della persona, confinata nelle aree covid dunque infette, posizionando la cassetta radiografica sotto il torace. Le mammografie andavano eseguite accompagnando la donna alla macchina senza toccarla e mantenendo la distanza di un metro. Abbiamo dovuto ridurre il tempo da dedicare al paziente, giusto il necessario. Si sono eseguite centinaia di procedure di vestizione e svestizione , prestando molta attenzione perchè togliendo in modo scorretto un DPI inquinato ci si poteva contagiare e non ce lo potevamo permettere. Eseguire esami indispensabili per la diagnosi senza contagiare colleghi e famigliari non è stato affatto un gioco. Si è lottato e si lotta ancora contro un avversario invisibile che può nascondersi sulle superfici, le consolle di lavoro, le apparecchiature. Si sono divisi i ruoli tra chi stava al video dei comandi in un ambiente pulito e che accompagnava il paziente nella sala diagnostica portando avanti il lavoro sporco, posizionando sul macchinario e, se intubato, aiutando il medico o l'infermiere nella sua movimentazione. Terminato l'esame si passava alla sanificazione di strumenti, ambienti, dispositivi. Ma nessuno ha mai potuto fermarsi. In prima linea abbiamo dovuto imparare a convivere con tutto questo e non solo a vincere contro il covid. Come professionisti della salute, tutti i giorni, stiamo stati chiamati a combattere questa battaglia usando le nostre competenze professionali come scudo e le capacità relazionali come armi”.
S.V.
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