5 Luglio 1970: anch’io ho visto i blindati

Il 5 luglio 1970 con il "Rapporto alla città" da parte del Sindaco (DC) Battaglia, Reggio si infiamma. Il 14 dello stesso mese, durante il secondo giorno di sciopero cittadino vi furono ripetuti violenti scontri tra dimostranti e forze dell'ordine; viene ritrovato morto per strada il ferroviere Bruno Labate. L'incendio divampa, iniziano così "Moti per Reggio Capoluogo".

Una pagina di storia italiana mai raccontata, ed archiviata come la Rivolta dei "Boia chi molla", con Ciccio Franco, un sindacalista della CISNAL, emblema di quei giorni infuocati che videro il loro triste epilogo nel Febbraio 1971, con l'ingresso in città dei blindati dell'esercito. E che io ho fatto in tempo a vedere.

Per 8 lunghi mesi a Reggio Calabria si combattè e si morì, e tra lutti e devastazioni si arrivò anche ad un assalto, con parziale incendio, della Questura reggina. Simbolo di quello Stato ogni giorno più repressivo. Inaudite le violenze consumate al suo interno che emergevano dai racconti dei fermati o dagli arrestati. Una Bolzaneto ante litteram.

La "Rivolta di Reggio Calabria" fu bollata da subito come "fascista", e tanto bastò a screditarla da un punto di vista storico e morale. Il resto lo fece una pubblicistica "bugiarda" ed una storiografia "miope", che di quella Rivolta non vollero comprenderne le ragioni, le motivazioni, la verità.

Furono questi atteggiamenti, e non altri, a consegnare (dopo) Reggio Calabria ai disegni eversivi di decrepiti avventurieri, e spregiudicati personaggi, che si ersero a Capipopolo grazie ad un Governo ed uno Stato ciechi e sordi verso chi chiedeva solo di essere ascoltato e non represso.

E non ebbe nessuna importanza per l'analisi storica e l'amor di verità, che lo stesso Almirante fino al settembre del '70 chiedesse l'energico intervento dello Stato (o dell'esercito) per sedare i tumulti e ripristinare la legalità. Reggio era, e rimaneva, una città fascista. E quella bugia rimase appiccicata come un marchio di infamia per anni.

Mentre la "verità", su quei giorni, continuava a rimanere occultata in polverosi armadi di "segrete stanze", e per chi si ostinava a raccontare una Storia diversa, da quella che si cominciava a "vendere" anche sui Libri di Storia, non rimaneva che l'ostracismo e l'isolamento, nonostante fossero sotto gli occhi di tutti i fallimenti di quelle promesse e le bugie di quegli anni.

Alla fine Reggio fu vinta perché i miliardi degli appalti, dissipati dallo Stato per la realizzazione di un inesistente V Centro Siderurgico (a Gioia Tauro) e la costruzione di una industria chimica (a Saline Joniche) mai entrata in funzione, fecero gola a tanti.

Questo mio contributo, per il cinquantennale, vuole essere solo un modo per "non dimenticare" i tanti che sulle strade di Reggio lasciarono il proprio sangue, alcuni anche la vita. Furono loro a donare alla città una luce di dignità che solo una scellerata gestione politica per i successivi trentanni ha poi appannato ed imbrattato.

Ma oggi che tanti archivi si sono aperti, oggi che tante stanze
"segrete" non lo sono più, il ricordo di quei morti (Bruno Labate, Angelo Campanella, Carmine Jaconis, Antonio Bellotti, Vincenzo Curigliano) ha riacceso quella luce restituendo a Reggio quella dignità negata e vilipesa per mezzo secolo.

Senza dimenticare infine Angelo Casile, Franco Scordo, Luigi Lo Cascio, Annalise Borth e Gianni Aricò, i cinque ragazzi anarchici morti (ma più verosimilmente uccisi) in un tragico incidente stradale a Ferentino, mentre portavano a Roma un dossier sull'attentato al rapido la Freccia del Sud a Gioia Tauro.

Giuseppe Dossetti scriveva Sentinella quanto resta della notte". Le sentinelle attesero per venti lunghi anni la durata della notte di Reggio Calabria. Una notte piena di guerre di mafia e morti ammazzati, di degrado e di abbandono, per una città che aveva osato ribellarsi ai giochi di potere e che nella sua ingenuità si era consegnata a disegni occulti ed eversivi che alla fine inasprirono la repressione per questa "nuova Vandea del XX secolo".

Criaco Giuseppe
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