Perché ciò avvenga è però necessario che l'offesa sia effettivamente letta da più persone e che la diffusione delle offese possa avvenire in maniera incontrollata. Il soggetto che riceve l'offesa deve inoltre essere ben individuabile. Se i giudici riscontrano la presenza di questi presupposti, il rischio di vedersi comminata una condanna è reale.
A ciò si aggiunga che, pubblicare un commento denigratorio nei confronti del proprio datore di lavoro su Facebook può integrare, addirittura, giusta causa di licenziamento: come anzidetto, la condotta di postare un commento su Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, con la conseguenza che, se lo stesso è offensivo nei riguardi di persone facilmente individuabili, la relativa condotta integra gli estremi della diffamazione e come tale correttamente il contegno è da valutarsi in termini di giusta causa del recesso, in quanto idoneo a recidere il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo.
Diverso è il caso delle offese ricevute in privato (ad esempio sulla propria chat): in tal caso, non si parla di diffamazione ma di ingiuria, che non è reato ma illecito civile, con una sanzione che può variare da un minimo di € 100,00 ad un massimo di € 8.000,00.
Insomma, in entrambi i casi (insulti privati o pubblici), prima di scrivere su Facebook ( o sugli altri social network) è opportuno contare fino a dieci: la maggior parte delle offese non viene denunciata, ma ciò non è, certo, un argomento da poter usare un domani, a propria difesa, davanti ad un Giudice.
Redazionale a cura dello
STUDIO LEGALE ZUCCHI
Via A. De Gasperi, 84
23807 – Merate (Lc)
studio@avvocatozucchi.it
roberta.zucchi@lecco.pecavvocati.it
Tel. 039. 9284878
Fax. 039. 9332957