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Scritto Giovedì 29 marzo 2018 alle 10:08

La storia della Villa Borromeo tra i miei ricordi e il recupero

Piccoli cenni storici
La Villa Borromeo d'Adda è una villa nobiliare, in stile eclettico neo barocchetto immersa in un parco di circa 30 ettari, la cui forma attuale è il risultato di molti interventi architettonici avvenuti in diverse epoche.
Originariamente il complesso era formato da due ville distinte, un edificio seicentesco e La Montagnola fondata dall'Abate Ferdinando d'Adda tra il 1750 e il 1760.
Tra il 1840 ed il di il 1845 l’architetto e paesaggista Giuseppe Balzaretto unì su commessa del Marchese Giovanni d’Adda unico erede della magione, i due giardini appartenuti ai cugini Febo e Ferdinando che componevano la proprietà, in un unico parco all’inglese caratterizzato da piante locali e della flora esotica portate in Italia dai cacciatori di piante, come in voga all’epoca.
Nel 1850 Giovanni affidò sempre al Balzaretto e agli scultori ticinesi Vincenzo e Lorenzo Vela il compito di realizzare una cappella commemorativa per la giovane moglie Maria Isimbardi che morì nel 1849.
L’architetto collocò la cappella nell’ala sinistra del ristrutturato seicentesco palazzo d’Adda; nella sua opera ripropose fedelmente il Battistero ottagonale della chiesa milanese di Santa Maria presso San Satiro, del Bramante modificando esclusivamente nelle otto nicchie semicircolari la chiusura con catini decorati a lacunari anziché a conchiglia «l’opera di Bramante fu in breve tempo riedificata, per così dire ringiovanita, ma accortamente modificata, in alcuni pensieri di semplice decorazione, acciocchè avesse a corrispondere pienamente allo scopo precipuo a cui era destinata».
Nel 1880 il figlio unigenito di Giovanni e Maria, Emanuele, ereditò a sua volta la proprietà e chiamò a lavorare alla villa l’architetto Emilio Alemagna. Vennero quindi aggiunti due corpi laterali al fabbricato principale in sostituzione dei due terrazzi esistenti ed il porticato. I lavori vennero ultimati nel 1909.
Sempre all’Alemagna sono attribuite le splendide scuderie coeve.
Nel 1908 venne realizzato il grande parterre, « … ricordo in miniatura dei vecchi giardini all’italiana, che si estende da un capo all’altro della casa abbracciando ad arco tutte le sale con la ringhiera in ferro battuto, ultimo sussulto gentile e prezioso di neorococò».

Arcore era il giardino di Milano e le sue ville erano immerse in un paesaggio senza limiti e confini, pieno di scorci, prospettive e scenografie senza alcuna separazione ne fisica ne visiva.
Il parco della villa Borromeo d’Adda, assieme ai parchi delle proprietà nobiliari limitrofe quali villa Rapazzini, villa Casati Stampa di Soncino al secolo San Martino, villa Arienti, villa Gallarati Scotti detta La Cazzola – in quest’ultima vi lavorarono architetti del calibro del Tibaldi e Francesco Maria Richino -, si fondeva e formava un sistema ambientale e urbanistico unico nel suo genere in Lombardia se non in Italia.
Le ville insieme al territorio rurale circostante facevano parte di una sistemazione paesaggistica all'inglese intesa in senso ampio, territoriale.
Le diverse proprietà infatti non avevano recinzioni se non parziali e sconfinavano a Nord verso le prime increspature collinari della Brianza e a sud Ovest verso il fiume Lambro, i parchi di delizia erano delimitati rispetto al territorio rurale coltivato ed ai pascoli da qualche fossato che serviva a fermare il bestiame che avrebbe potuto danneggiarne le piante di pregio e da collezione dei giardini nobiliari, in gergo gli inglesi chiamavano questi fossati ah-ah! perfetti anche nella Brianzashire , assecondati dalla morfologia collinare e ondulata del suo territorio pieno di dislivelli naturali.
Nel parco rimangono alcune tracce di ah-ah! proprio al confine con La Cazzola dove, guarda caso negli stessi anni nei quali avvennero i rimaneggiamenti della villa Borromeo l’allora proprietario Battista Vittadini, mise mano alla sistemazione paesaggistica del suo parco confinante.
Si seguirono allora in Italia gli insegnamenti dei grandi maestri del paesaggio inglesi come Capability Brown e William Kent che circa cento anni prima dettarono le regole del paesaggio scenografico- paesaggistico all’inglese.

La villa ai giorni nostri e nella mia esperienza
La villa venne acquistata dal comune di Arcore circa 40 anni fa dopo la scomparsa nel 1979 del Conte Carlo Borromeo d'Adda in condizioni davvero precarie e così purtroppo rimase per diversi anni credo per i la mancanza dei fondi necessari al suo recupero.
Il mio primo incontro magico con la villa fu a 12 anni quando partecipai insieme alla mia amichetta del cuore Patrizia ad una specie di campeggio organizzato in Luglio e Agosto dal Comune – lo stesso anno dell’acquisto - durante le vacanze estive che si chiamava in modo inequivocabile: Parcore.
A volte restavamo a dormire nel parco e come ogni avventura d’infanzia che si rispetti, quando tutti i bambini più piccoli e gli insegnanti, gli animatori - Beppe, Claudio che porto sempre nel cuore - dormivano, partivamo in tre o quattro impavidi per le esplorazioni notturne.
Giravano tra i bambini storie di tunnel e segrete che partivano dagli interrati della villa per arrivare non si sa dove e perché e quello fu il leit motiv di quella meravigliosa estate.
Negli anni successivi continuai le mie incursioni notturne con pizza e amici al seguito – Dario, Roberto, Stefania e Renato, che non c’è più - perché per me la villa ed il suo parco allora ancora molto selvaggio restavano il luogo di un’avventura.
Ci portai un’estate anche tutti i miei scettici compagni di liceo milanesi per un pic-nic sui pratoni – diurno questa volta – alla fine dell’anno scolastico.
Con una compagna universitaria, Stefania, ci occupammo del parco per il corso di restauro urbano nell’ambito del censimento delle architetture vegetali in Lombardia e partecipammo a concorsi fotografici ed iniziative che in quel periodo il comune promuoveva.
Ma tra me e la villa non finì li. Censii alla fine degli anni Ottanta, sempre studentessa in architettura del Politecnico di Milano, le sue stanze per la redazione l’inventario dei beni comunali.
Ricordo l’emozione di entrarvi e al contempo la paura per lo stato davvero precario dei solai, delle pareti e della struttura in genere. Gli affreschi ed i magnifici ferri erano in avanzato stato di degrado ma questo rendeva tutto molto affascinante e suggestivo ed ancora più forte quello che Alios Riegl chiama il sentimento dell’antico, ovvero l’emozione che un vecchio edificio può trasmetterti proprio attraverso il suo vissuto ed il suo degrado. A nessuno, che quantomeno non avesse un’assicurazione, era consentito entrare nella villa per motivi di sicurezza.
L’edificio dava l’impressione di volere crollare ed il meraviglioso parco era in uno stato di totale abbandono e incuria e così purtroppo è rimasto, salvo qualche poco significativa manutenzione, fino ad arrivare ai giorni nostri.
Entrai rasentando i muri ma ero talmente felice che impavida girai la villa in lungo ed in largo e mi trovai a fantasticare su quello che poteva accadere ai tempi del suo massimo splendore nel magnifico salone da ballo che guarda sul giardino all’italiana ed alzando lo sguardo sulla grande prospettiva senza fine del parco. Ovviamente mi domandai, memore delle scorribande da dodicenne, dove fossero gli accessi alle fantasmagoriche segrete. Ricordo quella giornata come un’avventura ed un sogno.
In quegli anni girarono nella villa uno sceneggiato televisivo ma finì anche nella cronaca per un furto su commissione credo ai meravigliosi ferri della balaustra del parterre all’italiana, poi fortunatamente recuperati e riportati nel parco.

Una passeggiata nel parco: Il recupero
Io non vivo più ad Arcore da anni ma la Villa Borromeo resta un luogo prezioso non solo per la sua storia e la sua bellezza ma anche per me e per i miei ricordi. Sabato scorso, malgrado l'alto tasso di umidità e l'assenza di genere umano all’interno del parco, fatta eccezione per la sottoscritta, il suo compagno ed un arzillo ottuagenario che passeggiava sotto alla pioggia, ho deciso di fare un giro per vedere a che punto fossero gli interventi di restauro work in progress, iniziati nel 2016.
Avevo paura di trovare un luogo che non avrei riconosciuto, invece Il lavoro di restauro – per quanto riguarda l’edificio esternamente, poiché purtroppo dentro non si può ancora accedere! - mi è parso rispettoso e coerente, l'immagine generale della villa molto bene preservata, i colori, gli intonaci, i partiti decorativi, i materiali originari sono stati rispettati e sono in via di recupero anche i meravigliosi ferri delle balaustre e del portico.
Anche nel parco sono stati avviati i lavori di pulizia e bonifica di alcune aree da roveti e piante morte, è stato realizzato un nuovo percorso vita in sostituzione di quello vecchio ed obsoleto per chi abbia voglia di usare questo luogo come una meravigliosa palestra all’aria aperta.
La bellezza di questo parco, dei maestosi alberi e dei rari e secolari Pini del cannocchiale prospettico – che ho visto oltre che qui solo nel parco della Villa Reale di Monza - sta lentamente ritornando alla luce, il bosco si sta ripopolando di Anemoni selvatiche e di flora spontanea e la l’erbetta verde, la Convallaria nana - sicuramente vecchia quanto il parco stesso poiché in una varietà a foglia sottilissima non più coltivata - ha ritrovato il suo spazio di propagazione.
Restituire alla cittadinanza la Villa Borromeo d’Adda ed il suo parco, a distanza di molti anni dal recupero delle scuderie, è stato un atto di responsabilità verso la storia lombarda e quella dell’architettura in generale ma anche un atto di affetto non solo per la villa ma anche per le persone che la vivranno.
Spero con il mio racconto di avervi trasmesso le suggestioni che ha dato a me questo luogo magico. Brava Rosalba .... un lavoro meraviglioso.
Maria Teresa D’Agostino
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