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Scritto Mercoledì 23 marzo 2011 alle 22:08

Beverate:l'inferno della guerra civile nei testi di p.Dario Dozio


In un paese devastato dalla guerra civile come la Costa d'Avorio, c'è anche chi non rinuncia a rimanere e, con spirito evangelico, è pronto a mettere a repentaglio la propria vita per portare aiuto e conforto alla sua popolazione. È padre Dario Dozio, missionario originario di Beverate, da decenni impegnato in Africa.


Appartenente alla cattolica Società Missioni Africane, dopo aver prestato il proprio servizio a San Pedro, cittadina sulla costa, è tornato da fine febbraio a Abidjan, la più popolosa metropoli ivoriana ed ex-capitale della nazione. Questo il suo racconto degli ultimi avvenimenti che stanno mettendo a ferro e fuoco la città.


P. Dario Dozio
Venerdì 25 febbraio 2011.  Tornando da San Pedro...

La strada è incredibilmente vuota stasera. Sto tornando da San Pedro e non vedo l’ora d’arrivare a casa: dopo sei ore di asfalto scassato, con i vestiti incollati addosso per  la polvere ed il sudore, tutto quello che desidero è una buona doccia fredda e una birra in frigo... Poi d’improvviso il caos ! Mi trovo davanti una marea di gente che urla e corre. Appena il tempo di frenare e mi circondano la macchina. Hanno invaso la strada: tavoli rovesciati, tronchi d’albero e altro materiale non ben definito sbarra il passaggio. Mi vedono e subito lanciano l’allarme: “...un bianco! ...un francese!” In un attimo li ho tutti intorno. Uno sventola in aria il macete: ha il volto pitturato di carbone e fronde infilate nei capelli. “ONU vai via...!  Sarkozi lasciaci in pace...!” - mi grida addosso. Un’altro cerca di aprire la portiera e mi mostra un bastone pichettato di chiodi. “...Ma io sono italiano... - è tutto quel che mi vien da dire - italiano e missionario.” E cerco di sorridere con la mia faccia da prete più bonaria che posso. Ma tutt’intorno è un gran casino: uno parla, l’altro grida... chi batte con la mano sulla macchina, chi mi dice di scendere... Mi salva il calcio e la carta d’identità. Viva l’Italia! Non son mai stato così contento di essere connazionale di Gattuso e della Squadra Azzurra. Però mi fanno scendere lo stesso. Frugano la macchina in ogni angolo. Le banane e gli ananas che avevo nel cofano se ne vanno per metà. Mi frugano anche in tasca; uno cerca di sfilarmi il portafoglio, ma è beccato dal suo vicino: “Vergogna: non siamo ladri, ma patrioti!” Riconosco il giovane che parla: domenica scorsa ha letto in chiesa durante la messa. Ora anche lui ha il volto dipinto e una sbarra in mano. “Mon père, cerchiamo le armi che l’ONU e i francesi portano ai ribelli.” - e mi fa segno di partire -  “Presto, vai via; e non uscire di casa : aujourd’hui ça chauffe!” Non me lo faccio dire due volte: tiro il fiato e riparto a gran velocità. Non so ancora che altri 14 sbarramenti mi aspettano prima di arrivare alla SMA.


Martedì 8 marzo. Tutto chiuso
Da più giorni me ne sto tranquillo in casa. Fuori si sentono raffiche di kalachnikov ed è meglio non uscire: ora ho tutto il tempo che voglio per mandare avanti i lavoretti lasciati in sospeso, leggere quel che avevo messo da parte da secoli e anche pregare un po’ di più, che ne ho bisogno. Ogni tanto metto il naso fuori dal cancello per vedere chi passa e chiedo com’è la situazione in città. Ma le macchine sono rare e la gente se ne va di fretta. Poi è inutile uscire: tutti i negozi sono chiusi, chiuse le banche, gli uffici, il mercato... E ogni 500 metri trovi uno sbarramento di giovani patrioti che si eccitano quando vedono un europeo.
Un fumo nero e intenso sale da nord : è il mercato di Attécoubé che sta bruciando. Si sente ancora sparare. Non le solite raffiche: stavolta sono colpi di arma pesante. All’inizio sembrava un forte temporale che veniva da Abobo (il grande quartiere popolare a maggioranza pro Ouattara), ma adesso le detonazioni sono sempre più tremende e fanno paura. La radio dell’ONU, la sola non offuscata, a parte quella del governo in carica, dice che la ribellione ha ormai preso tutto la zona nord di Abidjan. Ma è difficile avere un’idea esatta di quel che succede. Le notizie sono di parte e spesso contraddittorie, puoi sentire tutto e il suo contrario, a secondo della fonte di provenienza. Ha ragione chi ha detto : la verità è quel che fa piacere a chi comanda.
 

Venerdì 11 marzo. Cioccolato Amaro
Non sono uccel di gabbia e più di tanto non resisto al chiuso. Stamattina non si sente sparare e tutto sembra calmo; così tento un giro in centro città. Chiedo qual’è la strada più sicura. “A destra ci sono gli sbarramenti dei patrioti  - mi dice il vicino -; ci vorranno due ore: ti tocca scendere ogni volta e lasciarti perquisire con tanta pazienza; a sinistra invece la strada è libera... ma rischi di trovare i ribelli”. Vado a sinistra. In effetti si viaggia bene. Incrocio decine di persone che camminano in senso contrario al mio, con valigie in mano e cartoni in testa, spingendo carriole piene di tutto quel che possono caricare. Sono gli abitanti dei quartieri occupati dalla ribellione. Scappano: da giorni i militari pro Gbagbo stanno contrattaccando per scacciare gli avversari. La maggior parte sono donne, alcune anziane, altre con i bambini aggrappati alla schiena... Cercano rifugio da parenti o amici, dormono nelle chiese, nelle scuole o dove capita, aspettando di trovare l’occasione per lasciare Abidjan e tornare ai loro villaggi di origine. Sono loro le prime vittime di questa guerra che nessuno vuole ma di cui non si trova la via di uscita.
In centro invece la vita continua quasi come prima. Tanti uffici sono aperti e anche i negozi lavorano: fanno orario continuato fino alle 15. Così ne approfitto per un po’ di compere: riso, pane, zucchero, verdure... Non si può sapere quel che ci riserva il domani... Anche da un’ambasciata ci hanno telefonato invitandoci a partire. Gentile l’impiegata che parlava al telefono; mi ha pure consigliato di mangiare cioccolato amaro ogni sera: pare faccia bene contro lo stress...

Giovedì 17 marzo. Fino a quando?
Sono tante le cose amare che mi tocca inghiottire ogni giorno. Sopratutto vedere chi sta male ...e non poter fare niente. Mi chiama sul cellulare Josephine: stanno sparando forte nel suo quartiere; lei e i suoi bambini hanno paura e mi chiede aiuto... Cosa dirle per telefono? Ieri era Frank, padre di famiglia, che non riceve il salario da due mesi ...e le banche sono chiuse. Poi i profughi, sempre più numerosi, che vedo ogni giorno passare: scappano e non sanno dove andare... Ma nonostante tutto, qui si continua a sperare e ad avere fiducia in Dio. Ma, fino a quando? Anche nella nostra capellina sono sempre più numerosi i vicini che vengono ogni mattina alla messa. E non si contano i rosari, le novene, i digiuni... Mi chiedo come faccia il Signore a non vedere tutte queste preghiere per la pace in Costa d’Avorio. È successo ieri, proprio dopo la Messa del mattino. La gente stava ancora cantando alla Madonna, quando sento un gran schiamazzo fuori dal cancello. Corro subito: un gruppo di “giovani patrioti” sta spingendo a legnate un povero disgraziato che non si regge nemmeno in piedi. Mi dicono che è un ribelle. A me sembra un ragazzo impaurito, sui 18 anni, alto e magro, che non sa nemmeno parlare francese. “Faceva  domande in djoula (lingua del nord) e porta molti amuleti su di lui...” è tutto quello che mi sanno dare come accusa. Cerco di calmarli, ma senza successo. Poi arriva un gruppo di militari: una fortuna, penso; almeno loro sapranno far rispettare la legge. Infatti prendono il ragazzo... e mi mandano via in modo brusco: “rentrez chez-vous, vite!”. Non posso che obbedire. Verso l’ora di pranzo vedo del fumo salire dietro il muro di cinta, ma non ci faccio caso: forse bruciano gli arbusti nel terreno vuoto dietro casa nostra. E’ solo alla sera che mi raccontano il seguito: i militari hanno ridato il povero disgraziato ai giovani del quartiere; questi lo hanno bastonato per bene, poi cosparso di petrolio e bruciato con dei vecchi pneumatici. Proprio dietro casa nostra, sotto gli occhi di tutti, anche di chi cantava in chiesa qualche ora prima...

Domenica 20 marzo Nonostante tutto

Una domenica molto strana questa: non si sentono i cori delle chiese evangeliche nè la musica che di solito arriva a tutto volume dai bar del quartiere, ma una grande calma mai vista prima e che fa paura. Da qualche giorno corre voce di un attacco imminente e molti si sono lasciati prendere dal panico. La stazione dei badjan (camioncini per il trasporto di persone) è invasa dalla folla; tanti hanno dormito lì, per terra, aspettando un posto libero per andarsene...  Io invece resto, come pure tutti i miei colleghi. Ha telefonato suor Rosaria, una suorina del dispensario di Abobo, dove i bombardamenti sono stati più intensi; neppure lei si è mossa: ha continuato a curare i feriti giorno e notte. Padre Luigi ha mandato in Ghana i seminaristi, però lui e gli altri tre formatori sono rimasti sul posto. Così in tutte le parrocchie. Certo, non possiamo far grandi cose, si vive giorno per giorno e spesso ci si chiede come sarà domani... Ma il mio amico dice che, nonostante tutto, una cosa è certa: per quanto buia sia la notte, prima o poi farà giorno.

Padre Dario Dozio
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