
Teniamocela stretta questa nostra Italia così giovane e già rugosa. Teniamocela stretta, ma proprio stretta e prima di allentare l’abbraccio diamo un’occhiata intorno per vedere i disastri che accadono nel mondo. Basterebbe questa semplice considerazione per buttare alle ortiche tutte le riserve e le insoddisfazioni. Sentiamoci orgogliosi di essere italiani ovunque e comunque. Questa è l’Italia che a 66 anni dalla fine della seconda guerra mondiale permette a ciascuno dei suoi cittadini di alzarsi la mattina e andare al lavoro con la certezza di ritornare a casa la sera stanco, ma vivo. Questa è l’Italia che consente a chiunque di essere cretino che più cretino non si può, con il diritto di continuare a esserlo e di cercare pure di fare proseliti perché il diritto di associazione tra cretini non è vietato in questa Italia. Questo è un prezzo che ogni società è chiamata a pagare nel pubblico come nel privato, dentro e fuori i parlamenti locali e nazionale. Troppo bello fosse l’opposto. Questa è l’Italia che ogni giorno si pulisce il volto da uno sputo ricevuto, ma non muta il suo sorriso triste, ma aperto. Questa è l’Italia che assomiglia a un golf fatto a maglia con i ferri di tantissima gente che non c’è più. C’è qualche smagliatura qua e là, ma la trama è fitta e il tessuto di qualità. Questa è l’Italia sul cui suolo ciascuno di noi è nato non per scelta opzionale o per disegno divino, ma per destino e talvolta per puro caso. Chi è venuto alla luce in Lombardia poteva benissimo essere nato in Sicilia, avere un nome e un dialetto diversi, così come diversi sarebbero stati cultura e filosofia di vita e un bel giorno prendere la strada verso il Nord anziché preoccuparsi di tenere a distanza chi proviene dal Sud. Questo stivale, che è lungo solo sulla carta geografica, ha stampato in fronte il marchio di storie di fratelli di lingua diversi e distanti, non per colpa dei governati, ma dei governanti. Un re, un aristocratico e un rivoluzionario lo hanno unito più o meno consapevolmente dentro un unico confine geografico a colpi di lacrime e di sangue. Trovatemi nella storia dei popoli un trittico di atipici come questi e poi ditemi se non siamo un grande paese. Vittorio Emanuele, Cavour e Garibaldi hanno fatto l’Italia e l’hanno deposta nelle mani degli italiani passati, presenti e futuri. Disgusta vederla rigettata e vilipesa da una minoranza di privilegiati che le deve tutto. Nessuna specifica anagrafe del territorio da i natali allo stupido e all’inetto. Non esistono tratti somatici distintivi. Lo stupido e l’ inetto non hanno limiti e confini, si autocertificano da se e più progrediscono nella loro stupida inettitudine più ne fanno vanto e sfoggio.Ma questa è anche

l’Italia di milioni di persone non perfette, ma equilibrate che hanno tale e tanta fiducia nelle autorità - intese come esseri superiori per spirito e intelletto - da delegare loro anche le scelte individuali, quelle che si dovrebbero rimettere alla testa e al cuore se la prima non fosse impegnata nella battaglia quotidiana per l’autosufficienza e il secondo alla ricerca di una insoddisfatta felicità. Questa è anche l’Italia dei prepotenti, dei delinquenti, dei vigliacchi e degli indifferenti, ma questi soggetti c’erano anche ai tempi di Gesù. L’importante è non dimenticare che di quei tempi è il sermone che il figlio di Maria pronunciò dalla Montagna che il Vangelo ci esorta a ricordare, così come di questi non facili tempi d’Italia sarà la bontà della sua gente ad essere ricordata. Teniamocela stretta, ma ben stretta questa Italia piena di limiti e difetti inclusi quelli di accettarsi e conviverci. E diffidiamo degli stolti che la usano come una sputacchiera inconsapevoli che altrove il loro sputo sarebbe immediatamente reso al mittente. Questa è pure l’ Italia dell’individualismo sfrenato che crea confusione e che la rende simile a una tavolozza dai confusi colori nella quale chiunque vorrebbe almeno una volta intingere il pennello e tracciare il segno del proprio passaggio. Questa è, infine, anche l’inevitabile l’Italia dei padroni. Non quelli del vapore, quelli del potere. C’è chi arrocca e chi brama, ma tutti con chiuse narici che non avvertono la fragranza di un sempre possibile nuovo Risorgimento. Garibaldi 151 anni fa, calcata la terra di Sicilia, disse a Bixio “ qui si fa l’Italia o si muore ! “. Ora che la si è fatta e che la si celebra per i suoi primi 150 anni basterebbe accettare di viverla in pace dalla Alpi alla Sicilia, unica differenza, in funzione del clima, il maglione o il costume da bagno. Mai venga il giorno in cui un italiano che vive al Nord debba sentirsi straniero quando va al Sud. Mai.
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