
L'abitazione di Lomagna
A tre mesi esatti dall'arresto, venerdì 13 ottobre sarà processato in Tribunale a Lecco il giovane Ghaith Abdessalem, "braccato" dagli uomini della Digos di Lecco a Lomagna, all'interno dell'appartamento dei genitori affacciato su via Milano: il tunisino, classe 1995, non avrebbe dovuto/potuto essere lì. Già nel 2015, infatti, appena ventenne, era stato espulso dal Paese in quanto ritenuto legato all'Isis. Incurante del provvedimento a suo carico, con l'obbligo dunque di mantenersi "alla larga" per 15 anni, egli l'estate scorsa ha solcato per ben due volte il Mediterraneo sbarcando una prima volta al Sud, per poi essere "riconosciuto", processato, condannato e rispedito in Patria, ritentando "l'impresa" una manciata di giorni dopo, con successo. Il primo viaggio risulta datato giugno: a fine mese l'intelligence lo aveva individuato a Linosa. Arrestato, in Tribunale a Palermo aveva rimediato una condanna a un anno e sette mesi, accompagnata alla notifica dell'espulsione immediata dal territorio italiano. A Punta Raisi era così stato caricato su un aereo e riportato in Tunisia: era il 3 luglio. Il 13 il fermo a Lomagna: a "indirizzare" gli inquirenti verso l'alloggio dei genitori alcune fotografie postate sul proprio profilo Facebook dal ragazzo, riscontrabili anche sulla pagina social di un amico. All'alba, l'irruzione nell'appartamento al terzo piano dove il ricercato è stato scovato - secondo quanto poi reso noto dalla Polizia - all'interno di un armadio posto sul balcone, con tanto di tentativo dell'extracee di buttarsi dal terrazzo pur di sfuggire alle manette.
Oltre dunque all'inottemperanza alle prescrizioni di legge in relazione al suo allontanamento dai confini nazionali, Ghaith Abdessalem venerdì sarà chiamato a rispondere anche di resistenza a pubblico ufficiale e lesione per aver provocato, durante l'arresto, un trauma ad un operante giudicato guaribile in 10 giorni.
Quest'oggi il ventiduenne è già comparso al cospetto del giudice monocratico Enrico Manzi, lo stesso che a luglio ne ha convalidato il fermo, disponendo a suo carico, nell'attesa della celebrazione del processo, la misura cautelare del carcere. Tradotto dalla Polizia Penitenziaria della casa circondariale di Pescarenico, il tunisino ha assistito personalmente alla veloce udienza odierna nel corso della quale il suo legale, l'avvocato Monica Agnesi del Foro di Monza, ha chiesto per lui l'abbreviato, condizionato ad una minima produzione documentale e all'escussione, in Aula, della madre. Quest'ultima, nonostante il parere sfavorevole del pubblico ministero Silvia Zannini, sarà dunque sentita tra quattro giorni, affiancata da un interprete di madrelingua araba per superare eventuali difficoltà nell'interloquire in italiano. La donna dovrà inoltre essere assistita da un difensore: come si è appreso quest'oggi, la stessa risulta infatti anch'ella indagata, per resistenza e lesioni in riferimento a quanto accaduto il 13 luglio nel suo appartamento, all'accesso dei poliziotti. A tal proposito, l'avvocato Agnesi, ha già quest'oggi prodotto un certificato medico attestante un trauma (con prognosi di 7 giorni) riportato a sua volta dalla signora quella mattina nonché fotografie delle braccia della straniera e del foro causato in una parte della casa dal colpo di pistola esploso - "accidentalmente" a detta del PM - nei concitati attimi che hanno seguito l'irruzione in via Milano. Questo - ha spiegato a margine dell'udienza il legale - a dimostrazione di come l'arresto, a suo avviso, non sia avvenuto in un clima sereno, con l'uso della forza anche da parte degli operanti, elemento che potrebbe reinquadrare la supposta resistenza contestata all'imputato.
"Ho prodotto anche il ricorso al Tar che avevo presentato contro il decreto di espulsione del 2015, per spiegare il motivo del rientro del mio assistito che non riesce a star lontano dalla propria famiglia" ha proseguito il difensore, sostenendo di aver a suo tempo chiesto di poter accedere al fascicolo aperto a carico di Ghaith Abdessalem, posto alla base del provvedimento poi disposto nei suoi confronti.
"Mi è stato mostrato solo il decreto, null'altro mi è stato fatto vedere" ha affermato, aggiungendo di aver visionato soltanto una fotografia trovata sul cellulare del tunisino. Si tratterebbe di uno scatto ricevuto dal fratello Ghassen, dal 2013 effettivamente unitosi - quale foreign fighter - alle milizie islamiche e dunque ai combattenti siriani. Nell'immagine l'uomo, qualche anno più grande del ventiduenne, stringe a sé la figlioletta di pochi giorni. Alle loro spalle la bandiera nera dello Stato Islamico.
"Il fratello, nessuno lo nega, ha abbracciato quell'ideologia, cercando anche di fare proselitismo durante un periodo trascorso in carcere in Italia prima partire per la Siria. Ma può bastare il rapporto di parentela e una foto inviata per mostrare la bambina appena nata ai famigliari per motivare l'allontanamento all'Italia anche del mio assistito? Per me no" ha dichiarato l'avvocato, pronta venerdì a dar battaglia. Metaforicamente, si intende.
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