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Scritto Venerdì 12 maggio 2017 alle 17:01

Avv. Matteo Notaro: ecco le novità della sentenza della Cassazione sull'assegno divorzile

Mercoledì 10 maggio è stata depositata la sentenza n. 11504 della Corte di Cassazione, in materia di assegno divorzile, di cui tutti i media hanno dato notizia e risonanza per la sua indubbia portata innovativa.

Ne allego il testo integrale, in modo che tutti i lettori di Merateonline possano conoscerne l'esatto contenuto.

In sintesi, e senza pretesa di completezza, può dirsi che la Prima Sezione della Suprema Corte -chiamata a decidere sul ricorso proposto contro una sentenza della Corte d'Appello di Milano che aveva negato l'assegno divorzile alla parte richiedente- ha colto tale occasione per affermare alcuni importanti e innovativi principi di diritto.

La Cassazione ha fatto ciò dichiarando espressamente di considerare «non più attuale» il precedente orientamento di cui alle decisioni delle Sezioni Unite nn. 11490 e 11492 del 29 novembre 1990, con le quali era stato affermato il principio secondo cui «il presupposto per concedere l'assegno divorzile è costituito dall'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio».

Per superare tale risalente insegnamento, il Supremo Collegio ha voluto ricordare il testo di legge e, in particolare, la norma cardine nella materia in esame, costituita dall'art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, nel testo sostituito dall'art. 10 della L. n. 74 del 1987, che recita: "Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive" .

Tale disposizione normativa, a detta della Corte, «prefigura un giudizio nitidamente e rigorosamente distinto in due fasi, il cui oggetto è costituito, rispettivamente, dall'eventuale riconoscimento del diritto (fase dell'an debeatur) e - solo all'esito positivo di tale prima fase - dalla determinazione quantitativa dell'assegno (fase del quantum debeatur)».

In parole semplici, il Giudice -chiamato a decidere sull'assegno divorzile- deve dapprima verificare se il soggetto richiedente l'assegno ne abbia o no diritto e, poi, laddove tale diritto fosse accertato, deve quantificare l'importo.

La portata innovativa della pronuncia in commento attiene proprio alla prima fase dell'indagine che il giudice deve compiere e, cioè, alla fase attinente alla verifica della sussistenza o meno del diritto all'assegno divorzile, perché, come detto, non viene più ritenuta attuale la precedente interpretazione secondo cui «il presupposto per concedere l'assegno divorzile è costituito dall'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio».

Le ragioni per le quali, oggi, i giudici della Cassazione hanno ritenuto di superare, «a distanza di quasi ventisette anni», tale precedente insegnamento della più alta magistratura sono sei e sono contraddistinte, nella sentenza allegata, dalle lettere da A) a F).
Vediamole.
  1. Il parametro del "tenore di vita", a detta della Corte di Cassazione, «collide radicalmente con la natura stessa dell'istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici»: sempre per usare le parole del Supremo Collegio, «con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale».
  2. Il voler ancorare il presupposto per la corresponsione dell'assegno divorzile al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio porta a non considerare che «l'assegno di divorzio è eventualmente riconosciuto all'ex coniuge richiedente esclusivamente come 'persona singola' e non già come (ancora) parte di un rapporto matrimoniale ormai estinto anche sul piano economico-patrimoniale».
  3. La valutazione economico patrimoniale codificata nel citato art. 5, comma 6, L. 898/70 «è normativamente ed esplicitamente prevista soltanto per l'eventuale fase del giudizio avente ad oggetto la determinazione dell'assegno (quantum debeatur), vale a dire - come già sottolineato - soltanto dopo l'esito positivo della fase precedente (an debeatur), conclusasi cioè con il riconoscimento del diritto all'assegno».
  4. Inoltre, «il parametro del "tenore di vita" induce inevitabilmente ma inammissibilmente...una indebita commistione tra le predette due "fasi" del giudizio e tra i relativi accertamenti».
  5. I principi precedentemente affermati dalla Cassazione nel 1990 furono, ricorda oggi il Supremo Collegio, il frutto «della necessità di contemperamento dell'esigenza di superare la concezione patrimonialistica del matrimonio "inteso come "sistemazione definitiva", perché il divorzio è stato assorbito dal costume sociale" (così la sentenza n. 11490 del 1990) con l'esigenza di non turbare un costume sociale ancora caratterizzato dalla "attuale esistenza di modelli di matrimonio più tradizionali, anche perché sorti in epoca molto anteriore alla riforma", con ciò spiegando la preferenza accordata ad un indirizzo interpretativo che "meno traumaticamente rompe(sse) con la passata tradizione" (così ancora la sentenza n. 11490 del 1990)».
Ma questa esigenza, dice oggi la Suprema Corte, «...si è molto attenuata nel corso degli anni, essendo ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile (matrimonio che - oggi - è possibile "sciogliere", previo accordo, con una semplice dichiarazione delle parti all'ufficiale dello stato civile, a norma del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 12, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, art. 1, comma 1)».
  1. Infine, dagli stessi lavori parlamentari preparatori alla L. n.74/1987 -che inserì nel citato art. 5 il fondamentale riferimento alla mancanza di 'mezzi adeguati' e alla 'impossibilità di procurarseli'- emerge, ad avviso della Corte, la «chiara» volontà del legislatore «di evitare che il giudizio sulla "adeguatezza dei mezzi" fosse riferito "alle condizioni del soggetto pagante" anziché "alle necessità del soggetto creditore"». Per tale ragione, a detta della Corte, nel giudizio relativo alla sussistenza o meno del diritto all'assegno divorzile «non possono rientrare valutazioni di tipo comparativo tra le condizioni economiche degli ex coniugi, dovendosi avere riguardo esclusivamente alle condizioni del soggetto richiedente l'assegno successivamente al divorzio».

Alla luce di quanto sopra, la Suprema corte nega che sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell'ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale.
«L'interesse tutelato con l'attribuzione dell'assegno divorzile
- scrive la Corte - non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento dell'indipendenza economica, in tal senso dovendosi intendere la funzione - esclusivamente - assistenziale dell'assegno divorzile».

In conclusione, la Corte oggi reputa che il parametro al quale rapportare il giudizio sulla 'adeguatezza-inadeguatezza' dei 'mezzi' dell'ex coniuge richiedente l'assegno di divorzio e sulla 'possibilità-impossibilità', 'per ragioni oggettive', dello stesso di procurarseli «...vada individuato nel raggiungimento dell'"indipendenza economica" del richiedente: se è accertato che quest'ultimo è "economicamente indipendente" o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto».

Insomma, l'indipendenza economica del soggetto che richieda l'assegno divorzile costituisce, per la Suprema Corte, il criterio che farà da discrimine fra l'avere o non avere diritto all'assegno stesso.

La Corte, peraltro, si sofferma su questo parametro della "indipendenza economica" e conclude affermando che esso riguarda esclusivamente la persona dell'ex coniuge richiedente, «come singolo individuo, cioè senza alcun riferimento al preesistente rapporto matrimoniale».

Solo nel caso in cui l'ex coniuge sia "non economicamente indipendente" e sia anche "impossibilitato a perseguire tale indipendenza economica", allora dovrà essere dichiarato sussistere il suo diritto all'assegno divorzile e, solo allora, si darà corso ad un «"giudizio comparativo" tra le rispettive "posizioni" (lato sensu intese) personali ed economico-patrimoniali degli ex coniugi, secondo gli specifici criteri dettati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per tale fase del giudizio».

Da ultimo, la Prima Sezione Civile della Suprema Corte ricorda quelli che possono essere considerati i principali "indici" per accertare, in concreto, la sussistenza o meno dell'indipendenza economica dell'ex coniuge richiedente l'assegno di divorzio nonché la possibilità, o meno, di procurarsela "per ragioni oggettive".

Essi sono: «1) il possesso di redditi di qualsiasi specie; 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza ("dimora abituale": art. 43 c.c., comma 2) della persona che richiede l'assegno; 3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo; 4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione».

E sarà la parte richiedente a dover provare di aver diritto all'assegno, e cioè a dover provare la propria «non "indipendenza economica"», allegando in giudizio, deducendo e dimostrando di «"non avere mezzi adeguati" e di "non poterseli procurare per ragioni oggettive"», ad esempio allegando specificamente «...le concrete iniziative assunte per il raggiungimento dell'indipendenza economica, secondo le proprie attitudini e le eventuali esperienze lavorative».

Sulla base di tutto quanto sopra esposto, la Suprema Corte ha affermato solennemente i seguenti nuovi principi di diritto:

«Il giudice del divorzio, richiesto dell'assegno di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 10, nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi e dell'ordine progressivo tra le stesse stabilito da tale norma:


A) deve verificare, nella fase dell'an debeatur - informata al principio dell'"autoresponsabilità economica" di ciascuno degli ex coniugi quali "persone singole", ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall'accertamento volto al riconoscimento, o no, del diritto all'assegno di divorzio fatto valere dall'ex coniuge richiedente -, se la domanda di quest'ultimo soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di "mezzi adeguati" o, comunque, impossibilità "di procurarseli per ragioni oggettive"), con esclusivo riferimento all'"indipendenza o autosufficienza economica" dello stesso, desunta dai principali "indici" - salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie - del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza dell'ex coniuge richiedente), delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all'eccezione ed alla prova contraria dell'altro ex coniuge;


B) deve "tener conto", nella fase del quantum debeatur - informata al principio della "solidarietà economica" dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro in quanto "persona" economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), il cui oggetto è costituito esclusivamente dalla determinazione dell'assegno, ed alla quale può accedersi soltanto all'esito positivo della prima fase, conclusasi con il riconoscimento del diritto -, di tutti gli elementi indicati dalla norma ("(....) condizioni dei coniugi, (....) ragioni della decisione, (....) contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, (....) reddito di entrambi (....)"), e "valutare" "tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio", al fine di determinare in concreto la misura dell'assegno di divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell'onere della prova (art. 2697 cod. civ.)».


Questi principi risultano, a detta della Suprema Corte, i più aderenti al dato normativo ed i più attuali, anche perché «un'interpretazione delle norme sull'assegno divorzile che producano l'effetto di procrastinare a tempo indeterminato il momento della recisione degli effetti economico-patrimoniali del vincolo coniugale, può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia successivamente alla disgregazione del primo gruppo familiare, in violazione di un diritto fondamentale dell'individuo (cfr. Cass. n. 6289/2014) che è ricompreso tra quelli riconosciuti dalla Cedu (art. 12) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (art. 9)».

Indubbiamente, come visto, una sentenza di grande rilievo, i cui effetti animeranno vivacemente il dibattito giuridico dei prossimi mesi, anche in ragione della delicatezza del tema trattato.

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Avv. Matteo Notaro
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