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Scritto Giovedì 15 settembre 2016 alle 18:15

Calco, bancarotta Nativa Elettronica: pena lieve per 2 coniugi 'dissanguati' per i debiti

La sede del tribunale di Lecco
Meglio di così, probabilmente, non poteva andare. Il collegio giudicante del Tribunale di Lecco ha condannato entrambi a 8 mesi di reclusione con pena (principale e accessoria) sospesa e non menzione al casellario, dopo aver derubricato l'ipotesi di reato ascritta ai due da bancarotta fraudolenta a bancarotta semplice e aver ritenuto la contestata aggravante equivalente alle attenuanti generiche concesse loro. Si è chiusa così la "bega giudiziaria" che aveva trascinato a giudizio la signora P.M.M. e il marito S.R., in qualità di amministratore di diritto e di fatto della Nativa Elettronica srl, piccola azienda specializzata nell'assemblaggio di schede, con sede a Calco, dichiarata fallita nel 2011, su istanza presenta - tramite una società specializzata - da Banca Monte dei Paschi di Siena dopo l'incorporazione per fusione di Banca Agricola Mantovana, istituto presso il quale l'uomo aveva aperto una linea di credito per poter ottenere una commessa "poi andata male", come egli stesso aveva spiegato lo scorso 21 luglio, in sede di esame, presentandosi al cospetto del collegio giudicante presieduto dal dr. Enrico Manzi con a latere i colleghi Maria Chiara Arrighi e Salvatore Catalano. In quell'occasione i due imputati, raccontando delle proprie vicissitudini, erano riusciti a trasmettere in Aula l'angoscia vissuta nel fattivo tentativo di sistemare i conti con i dipendenti e non lasciare scoperti (obiettivo centrato) e allo stesso tempo di avviare un piano di rientro con la banca, ripianando gran parte del debito contratto senza riuscire ad arrivare all'estinzione dello stesso anche per effetto degli interessi applicati dall'istituto di credito , quest'oggi bollati come "eccessivamente alti" dall'avvocato Carolla, difensore della coppia, determinata nell'affermare la "buonafede, trasparenza e onestà" dei propri assistiti, senza nascondere tra l'altro il proprio "dispiacere" per la mancanza di indagini a carico del commercialista indicato da marito e moglie come colui il quale "foraggiò" l'avvio dell'impresa, investendo liquidità e mantenendo per sé l'80% delle quote societarie, occupandosi al contempo della contabilità, abbandonata dopo gli screzi dovuti al ritardo accumulato nel restituirgli il capitale. Ben conscia di come "l'ignoranza della legge non scusa", il legale ha inoltre rimarcato l'assoluta mancanza di dolo nella condotta dei propri assistiti, che effettivamente - come invece avrebbero dovuto fare - non si sono preoccupati di chiedere il fallimento in proprio della Nativa Elettronica dando però assoluta priorità al risanamento dei debiti, fino a "dissanguarsi" per usare un'espressione scelta alla scorsa udienza da signor S.R., presente personalmente, con la consorte quest'oggi in Aula quando, dopo una veloce camera di consiglio, il dr. Manzi ha letto il dispositivo della sentenza che - ricalcando la richiesta già formulata dal pubblico ministero Nicola Preteroti - ha posto fine al procedimento penale con la stessa "delicatezza" assunta dalla vicenda, avendo di fatto segnato la vita - o almeno un frangente dell'esistenza - dei due imputati arrivati - per loro stessa ammissione - a doversi servire della pensione dell'anziana madre dell'uomo per poter mettere insieme il pranzo con la cena.
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