Quali sono i limiti della libertà di stampa e di pensiero? Se lo sono domandati pubblico ministero e legali di difesa e parte civile nel primo pomeriggio odierno, quando in tribunale a Lecco si è chiusa l'istruttoria dibattimentale del processo a carico di don Giorgio De Capitani. Il sacerdote, residente all'epoca dei fatti a Monte di Rovagnate, deve infatti rispondere del reato di diffamazione (articolo 595 cp comma 1-3) nei confronti della giornalista del TG1 Grazia Graziadei, costituitasi parte civile nel procedimento penale.
Riportando fedelmente sul proprio sito internet alcune considerazioni espresse da Vittorio Arrigoni - il noto attivista bulciaghese ucciso a Gaza nel 2011 - don Giorgio aveva infatti criticato aspramente la professionista Rai, a seguito di un suo servizio ritenuto ''di parte'', mandato in onda dal telegiornale della prima rete della televisione pubblica, all'epoca diretto da Augusto Minzolini e dedicato alla sentenza di condanna in Appello dell'allora senatore Marcello Dell'Utri.
Tornando alla libertà di espressione, per il sostituto procuratore Paolo Del Grosso - chiamato quest'
oggi a rappresentare la pubblica accusa - ci sono dei limiti previsti dalla carta costituzionale, secondo i quali non si può
''intralciare il decoro e la reputazione di una persona''. Il dottor Del Grosso ha infatti chiesto la condanna del sacerdote al pagamento di un'ammenda di 3mila euro, ritenendo provata la responsabilità penale in ordine alle contestazioni mosse a suo carico dalla

Don Giorgio e Grazia Graziadei
Graziadei. '
'Chiariamo da subito alcune cose. Questo non è un processo a Vittorio Arrigoni, né tanto meno alle cause per cui si batteva, anche se tutto ha origine da un primo scritto postato sul suo blog. Non è nemmeno un processo alle cause sulle ingiustizie sociali contro cui si batte don Giorgio, nè ai diritti o ai doveri della libera informazione, tanto meno al diritto di critica. In Italia c'è la libertà di manifestare il proprio pensiero. Certo, ci sono però dei limiti che non vengono inventati o scoperti qui, ma che sono previsti dalla nostra Costituzione'' ha aggiunto il pubblico ministero.
''Il diritto di manifestare il proprio pensiero non può intralciare il decoro e la reputazione di una persona. Mi chiedo: è giusto o lecito rivolgere degli epiteti chiaramente offensivi nei confronti di una persona, per il solo fatto di non trovarsi d'accordo con quel che dice o per come svolge il proprio mestiere? E' giusto tollerare questi epiteti, o forse rappresentano una forma di violenza verbale? Per me non lo è'' ha affermato il dottor Del Grosso, spiegando che nelle memorie difensive presentate dai legali di don Giorgio De Capitani sono contenuti gli stessi concetti critici, ma espressi nei limiti della convivenza civile.
''Utilizzare le parole contenute in quegli articoli va oltre e travalica a mio avviso quei limiti posti dalla costituzione a tutela della vita umana'' ha aggiunto il sostituto procuratore lecchese, chiudendo la propria requisitoria con la richiesta di condanna del sacerdote - presente in aula - al pagamento di 3mila euro di multa.
Una posizione condivisa dall'avvocato Fabio Viglione, legale di parte civile della giornalista Graziadei (assente all'udienza) che, nel chiedere al giudice Nora Lisa Passoni la condanna del sacerdote, ha prodotto una nota spese con una richiesta di risarcimento pari a 25mila euro.
''Una rappresentazione giornalistica può essere ritenuta di parte o faziosa, ma per questo motivo la persona non deve essere oggetto di insulti, né di offese gratuite'' ha affermato l'avvocato del foro di Roma, ritenendo altresì il servizio della propria assistita ''correttissimo'', tanto che gli articoli di don Giorgio ne darebbero una visione falsata.
''A fronte di parole scritte come quelle oggetto di questo processo, non c'è difesa che tenga. Leggere nel 2016 queste offese così sessiste poi....e non mi si dica che si tratta di un'allegoria, gli articoli si commentano da soli. Qui dovremmo parlare di diritto all'insulto e non di diritto alla critica. Come si fa poi a non ritenerli diffamatori? Non confondiamo il dolo della diffamazione con i moventi, che possono essere di qualsiasi natura. Qui non ci sono dubbi sull'attribuibilità dei pezzi all'imputato che ne ha rivendicato la paternità: non c'è dunque motivazione che tenga''.Di opinione opposta invece gli avvocati Emiliano Tamburini e Marco Rigamonti, difensori di don Giorgio De Capitani, che si sono invece espressi a più riprese a favore della libertà di stampa e di opinione, snocciolando diverse vicende che a livello internazionale hanno fatto giurisprudenza. L'avvocato Tamburini ha infatti citato il caso Snyder - Phelps negli Stati Uniti e quello che una decina di anni fa ha visto trionfare nella corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo il giornalista Giancarlo Perna de Il Giornale, condannato in tutti e tre i gradi di giudizio per un articolo dai toni fortemente critici, scritto nei confronti del magistrato Caselli.
''Atteggiamenti inutilmente censori possono mettere a repentaglio la possibilità di esprimere il proprio pensiero'' ha spiegato Tamburini, sostenendo che
''la libertà giornalistica accetta anche un'eccessiva dose di esagerazione, sia nella forma che nei contenuti, se necessario''. Il difensore non ha mancato poi di rilevare come l'Italia si sia piazzata - nell'anno in corso - al 77°posto nella classifica sulla libertà di espressione, in quanto i giornalisti sarebbero oggetto di soventi minacce di querela, che ne limitano fortemente l'attività.
''Dobbiamo proteggere le idee che detestiamo, altrimenti ci impediranno di esprimere quelle che amiamo'' ha concluso il legale, cedendo così la parola al collega Rigamonti per la seconda parte dell'arringa, focalizzatasi in maniera specifica sugli aspetti più squisitamente tecnici del procedimento intentato dalla giornalista Rai nei confronti di don Giorgio. '
'Avevo già avuto modo di rilevare come il capo di imputazione fosse a mio avviso troppo ampio. Oggi il pubblico ministero lo ha ridotto, dicendo essenzialmente una cosa: non vogliamo impedirti di criticare, ma non va bene come lo hai fatto, per i termini che hai utilizzato'' ha sintetizzato il legale, rivolgendo poi una critica al collega Viglione che avrebbe avuto a suo dire qualche titubanza nel rendere pubblica la richiesta di risarcimento avanzata dalla propria cliente (ne ha dato infatti lettura, su richiesta della difesa, il giudice Passoni).
''Il problema vero non sta nelle parole da usare o in quello che ha scritto don Giorgio, bensì nell'interpretazione della legge, di quello che prevede il nostro ordinamento e in che limiti lo dobbiamo rispettare e lo possiamo ampliare. E questa è un'impresa assai ardita'' ha proseguito l'avvocato Rigamonti, richiamando l'articolo 21 della Costituzione che recita così:
''tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure''. Un concetto che, a detta del difensore, dovrebbe stare al vertice di tutta la scala dei diritti, ma che invece si pone in contrasto con l'articolo 595 del codice penale, quello contestato al sacerdote, che prevede appunto il reato di diffamazione. Anche l'articolo 13 della legge sulla stampa secondo il difensore assolverebbe l'imputato, poichè tutela le opinioni, disciplinando invece in maniera precisa i comportamenti che mettono in discussione la veridicità dei fatti, non tollerando alcuna mistificazione.
Secondo l'avvocato Rigamonti infatti
''don Giorgio deve essere assolto perchè ha fatto solo quello che la Costituzione gli ha consentito di fare. Possiamo valutare a questo punto la diffamazione, ma da un punto di vista etico e a questo proposito devo dire che l'uso della parola a mio avviso può e deve essere provocatorio in alcuni casi'' ha aggiunto il difensore, sottolineando altresì come lo stesso Vik Arrigoni attraverso il suo blog Guerrilla Radio volesse attuare una
''rivoluzione pacifica, senza alcun tipo di violenza, utilizzando però la parola in maniera graffiante''.Il procedimento è stato rinviato al prossimo ottobre per eventuali repliche e per la sentenza affidata al giudice Passoni, chiamata a valutare le considerazioni espresse dalla difesa che, in caso venissero accolte, potrebbero in un certo senso fare giurisprudenza in materia.
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