896 persone concentrate in appena 22 comuni della provincia di Lecco. E' questa la fotografia - aggiornata all'inizio del mese in corso - dello sforzo sostenuto dal nostro territorio nell'ambito dell'accoglienza dei richiedenti asilo, "spediti" sul quel ramo del Lago di Como da chi si è fatto carico di loro dal momento dello sbarco sulle coste del sud Italia o giunti autonomamente nel capoluogo dopo aver superato più di una frontiera lungo la così detta "rotta Balcanica".
La metà degli "ospiti" - in stragrande maggioranza uomini, spesso giovanissimi - ha trovato un tetto a Lecco: tra la struttura di prima accoglienza (ormai "con le radici") del Bione, il Ferrhotel, l'ex convento di Maggianico, Villa Aldè e altre quattro alloggi più a misura di famiglia, con ognuno dai tre ai cinque occupanti, in città ormai si contano 402 migranti. Un numero certamente importante ma che rapportato alla popolazione diventa infinitamente "minuscolo", pari allo 0,84% quando invece realtà ben più piccole si sono trovate a fare i conti con un "afflusso" di richiedenti asilo - in proporzione - nettamente superiore.

"Il sistema si basa su un rete di associazioni che fanno capo alla Comunità montana della Valsassina, che gestisce gli interventi e firma gli accordi con la Prefettura: i profughi inizialmente erano tutti sistemati in Valle e nel comune di Lecco, dove presso il Bione esiste un centro di accoglienza per le pratiche di riconoscimento dello status e di prima accoglienza sanitaria. Solo successivamente al raggiungimento della saturazione dei posti disponibili in questi territori e alle possibilità di accoglienza delle cooperative presenti sul territorio, è stata aperta la possibilità a cooperative non del territorio di intervenire nell'accoglienza. In un primo momento questa apertura ha portato qualche complicazione, ma sia la rete di associazioni, tra cui Anolf, sia la Prefettura hanno sempre vigilato sul rispetto dei protocolli di intesa e sul lavoro delle cooperative per garantire una migliore accoglienza dei profughi. Restano comunque alte le differenze distrettuali nell'accoglienza, data la forte resistenza di molti sindaci ad aprire i loro Comuni ad una possibile ospitalità" spiega Andrea Massironi, responsabile dell'Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere per la Cisl Monza Brianza Lecco, riaccendendo i riflettori sulle "disparità" nella distribuzione dei migranti che ha portato alla sottoscrizione dell'accordo sull'accoglienza diffusa che porterà - non appena passerà dalla carta alla realtà fattiva - alla rimodulazione delle presenze, nel rispetto comunque del tetto massimo di 3 "ospiti" ogni 1000 abitanti (che a ben vedere vedrebbe nel lecchese circa 1.200 profughi contro i quasi 900 attualmente già destinati alla nostra provincia).

Paolo Brivio sindaco di Osnago, Stefano Fumagalli sindaco di Lomagna e Ugo Panzeri sindaco di Brivio
Già perché al momento i 13 richiedenti asilo presenti a Sueglio saranno pure "solo 13" ma se messi in relazione ai 144 residenti del paesino della Val Varrone, "pesano" per un buon 9%, poco meno dell'impatto avuto dai 127 extracomunitari "spediti" a Cremeno (tutti insieme in un unico centro) equivalenti all'8,5% dei "locali". E se i 32 migranti presenti a Merate (20 tutti insieme a Novate, non senza polemiche) si perdono tra i quasi 15.000 cittadini della seconda municipalità della provincia, i 37 alloggiati a Esino Lario sono il 5% dell'intera popolazione, mentre i 47 di Ballabio 1,15% e i 57 di Airuno l'1,95%. Da sottolineare, infine, l'assenza di centri di accoglienza nel casatese-oggionese con sole 3 mini realtà: una da 4 ospiti a Casatenovo, una da 8 a Castello (gestita dalla stessa "Croce del Sud" che ha piazzato 20 uomini nell'appartamento di Novate) e una da 17 a Rogeno. Così come lo scarso coinvolgimento di amministrazioni targate Pd: da Garlate a Brivio, da Lomagna alla sempre ospitale e pacifica Osnago sul cui territorio si è - al momento - si è trovato spazio solo per due richiedenti asilo.
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