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Scritto Lunedì 16 marzo 2015 alle 17:58

Sanità lottizzata: l'ingenuo appello dei Capi Dipartimento contro la politica negli ospedali

Va bene che a Lecco (un unicum in Italia) hanno prorogato persino il Carnevale, ma non ci aspettavamo dai primari dell'ospedale un'uscita amena diretta a smascherare la politica.

Rinviata per il maltempo la sfilata dei carri a dopo Pasqua, la lettera dal Manzoni ha il fragore di un petardo e il peso di un coriandolo. Ma come: da sempre la politica e in particolare i partiti lottizzano la sanità con precisione chirurgica, con una scientifica spartizione di posti e all'alba della primavera 2015 sbocciano anatemi e atti d'accusa da parte di chi in questo humus è vissuto e ha operato per lustri e lustri.

Lo spunto per l'alzata di scudi lo ha offerto, a catena, una serie di articoli sullo scandalo degli stipendiati d'oro e dei vertici della sanità targati. Un passo indietro. Fino a poco tempo fa i quarantadue direttori generali di azienda ospedaliere Asl portavano la maglietta (non ancora la felpa) del centrodestra. Forza Italia faceva la parte del leone e, a seguire, la distribuzione dei pani e dei bisturi premiava la Lega e An. Una sorta di cappotto che a me ricordava la stracciante vittoria per 62 a 0 dello stesso centrodestra, in Sicilia, quando vigevano i collegi uninominali.

Solo che là c'era lo zampino degli elettori, in Lombardia gli artigli della politica.

La voce dei primari è di sicuro in buona fede anche se stupisce l'ingenuità visto che tra di loro c'è chi la politica la mastica e la frequenta.

Par di sentire l'ormai consunto ritornello di chi, montato in cattedra invoca la messa al bando dei partiti dalla Rai.

Conosco la professionalità e la competenza di molti medici ospedalieri e so quanto sincero sia il loro desiderio di misurarsi e operare, affrancati da sponsor e bandierine, ma credo che passeranno decenni prima che l'impostazione feudale e clientelare della sanità imbocchi pienamente la strada del merito.

Torno con la memoria agli anni settanta, non per consolare ma per dire che lo stretto connubio tra sanità e politica ha radici lontane.

Siamo a Lecco quando in clima di compromesso storico approdarono all'ospedale cittadino tre medici rivelatisi all'altezza: Sergio Zedda medico del lavoro, Massimo Petrone pediatra, Enrico Cristofori anatomopatologo che avevano in tasca la tessera del Partito comunista e che divennero primari in tempi diversi. Certamente per virtù proprie, ma di sicuro il fazzoletto rosso nel taschino non li penalizzò.

Era presidente dell'ospedale il dottor Aldo Rossi, democristiano di sinistra, teorico del dialogo e della collaborazione tra cattolici e comunisti. Per tacere del ministro Remo Gaspari, che conobbi da vicino perchè amico del mio compianto zio Vittorio Calvetti, che nei periodi elettorali faceva assumere migliaia di medici e infermieri (o di portalettere quando guidava le Poste), garantendosi un consenso record. Si capisce allora come non mi stupisca che fino a ieri per diventare barelliere o primario fosse utile dotarsi di una tessera di partito, prima che del tesserino di dipendente.

La questione è tutt'altro che carnascialesca perchè si sa che, nella settimana grassa (meglio se non in quaresima), ogni scherzo vale mentre con la salute del cittadino e con la malattia del paziente è vietato giocare, trecentosessantacinque giorni all'anno.

Marco Calvetti
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