
Rinaldo Zanini, Agostino Colli e Giuseppina Panizzoli
La proposta di “Appello per Lecco” in merito alla riorganizzazione della sanità lecchese non pare destinata al successo ma almeno ha il merito di favorire sul tema un dibattito alla luce del sole. La settimana scorsa non ha riservato notizie incoraggianti in merito all’iter della riforma regionale. Il tavolo coordinato dal Presidente Maroni non sortito gli effetti desiderati, anzi il quadro si è complicato. Sul tavolo della Commissione del Consiglio regionale preposta ai lavori di trasformazione in legge delle proposte in circolazione è giunto un terzo elaborato a firma del Nuovo Centro Destra. Il risultato è senza precedenti: una maggioranza formata da tre forze politiche ha trovato la sintesi con tre proposte di legge diverse, una della Giunta regionale, una di Forza Italia e una firmata NCD. Tutto fa prevedere che la partita si giocherà in Commissione, dove giacciono anche le proposte del PD e degli altri gruppi di opposizione. E l’esito di questa partita è tutt’altro che prevedibile.
Le tre proposte targate maggioranza hanno comunque in comune alcuni punti che qualificavano il famoso “libro bianco”: il concetto della vasta area come ambito della programmazione sanitaria, il recupero della medicina territoriale, la presa in carico dei pazienti, attraverso un rapporto nuovo, integrato, tra ospedale e territorio.

Il Manzoni di Lecco
L’ipotesi prospettata da “Appello per Lecco” si affida in parte a questi concetti e introduce i due elementi principali : le future Articolazioni (o Agenzie) Socio Sanitarie Locali (ASSL) con confini che vanno oltre gli ambiti delle attuali province - destinate ad essere spazzate via definitivamente dalla riforma costituzionale - per corrispondere con la delimitazione della “area vasta” e il bacino d’utenza e quindi il numero delle Aziende Integrate per la Salute e l’Assistenza (AISA) che gestiranno gli ospedali destinati a perdere la qualifica di “azienda ospedaliera”. Quest’ultima classificazione riguarderà solo ed esclusivamente gli “hub”, ospedali ad alta specializzazione con bacino d’utenza di 1 o 2 milioni di abitanti.
Le ipotesi di Corrado Valsecchi, leader di “Appello per Lecco” parlano di una vasta area che potremmo qualificare come “Grande Brianza”, da Monza a Lecco, con al suo interno due AISA facenti capo agli attuali capoluogo di Provincia e con due ospedali di riferimento: il San Gerardo e il Manzoni.
La Grande Brianza eletta a vasta area sanitaria risulta una ipotesi più che probabile dopo che la Valtellina ha ottenuto di fatto garanzie su di un futuro “ fai da te”. Discutibile invece la proposta delle due AISA con Il San Gerardo e il Manzoni come ospedali di riferimento.
Il San Gerardo, il Macchi di Varese e il Papa Giovanni di Bergamo risultano tra gli ospedali destinati a restare “Azienda autonoma”. Sono gli ospedali da sempre riconosciuti “di rilievo nazionale” autonomi anche ai tempi delle USSL.
All’interno della futura ASSL brianzola in capo alla gestione AISA resterebbero tre ospedali riconducibili all’area monzese: Vimercate, Desio e Carate e due a quella lecchese Lecco e Merate. Altri presidi come Bellano e Giussano da tempo hanno perso questa qualifica.
Desio, Vimercate e Merate si distinguono da Carate per la loro classificazione “provinciale” ottenuta fin dagli anni ’80 che ha portato in dote parecchie specialità e il servizio di emergenza elevato a DEA (Dipartimento d’emergenza e non semplice pronto soccorso).
Quanto all’area monzese va sottolineato come da mesi l’Azienda Ospedaliera di Vimercate sta gestendo una riconversione parziale anche del presidio di Carate (il Pronto Soccorso è tale solo di giorno).
Sarebbe interessante conoscere il parere di Pietro Caltagirone sul valore aggiunto “dell’asse della statale 36” con Giussano e Carate aggregati a Lecco.
Ma forse basta leggere attentamente
il commento di Ambrogio Sala per capire la natura della mossa di Appello per Lecco e la sua (scarsa) probabilità di fare dei passi in avanti.
Persa la possibilità di “annettere” la Valtellina a Lecco ci si rende conto che un bacino d’utenza di 340 mila abitanti risulta poco adatto per fare del Manzoni un presidio capace di giocare un ruolo di primo piano all’interno di una “area vasta”. Il programma di “annessioni” viene “ridotto” a Giussano e Carate, dando per scontato che il meratese e casatese in un contesto di Grande Brianza continueranno a guardare a senso unico a Lecco.
Sembra una proposta dettata da chi ha paura di sperimentare a breve quanto è capitato al Mandic appena passato sotto la gestione lecchese. Il rapporto Manzoni – Mandic rivisto in versione San Gerardo – Manzoni.
Sala ha ragione quando sostiene che l’appello sembra portare la firma di alcuni capi-dipartimento dell’ Azienda ospedaliera.

Il Mandic di Merate
L’esperto di problemi socio-sanitari del PD non fa nomi ma è facile individuare in Rinaldo Zanini , capo Dipartimento dell’area materno-infantile , il soggetto ispiratore e coordinatore dell’appello. Con Agostino Colli pare sia entrato a pieno titolo nel “cerchio magico” della Commissaria Giuseppina Panizzoli. Mai annoverati tra gli amici del Mandic, i due dirigenti medici da sempre sostengono la tesi del “grande Manzoni” con il ruolo del Mandic relegato a donatore di risorse umane ed economiche. Tesi da sempre respinta da Mauro Lovisari (e dai suoi predecessori, in particolare proprio da Piero Caltagirone) che con l’approvazione del Piano di Organizzazione Aziendale ha saputo ritagliare per i due presidi acuti ruoli specifici basati sul concetto che il Mandic non può fare a meno del Manzoni e viceversa se si vuole salvaguardare il livello di eccellenza che caratterizza l’assistenza ospedaliera lecchese.
Non sappiamo chi ci sarà alla testa dell’ Azienda ospedaliera quando si entrerà nel vivo delle decisioni conseguenti alla riforma. Potrebbe esserci il ritorno di Lovisari, la stabilizzazione della Panizzoli o un terzo soggetto. Sappiamo però quali sono le condizioni che possono garantire il livello della nostra assistenza ospedaliera nel contesto di una area vasta. Sono quelle delineate dal POA attuale che devono rappresentare un vincolo per le forze politiche e per i vertici dell’A.O. Il Manzoni deve cercare di mantenere le specialità che qualificano da qualche anno il Presidio. Il Mandic deve essere posto e mantenuto nella condizione descritta dal Piano di Organizzazione.
Insieme devono contribuire al superamento dello steccato che ancora si registra tra ospedale e territorio per una effettiva valorizzazione della medicina territoriale.
In vista dei prossimi appuntamenti desta qualche preoccupazione la situazione che si registra presso il nosocomio meratese.
La Commissaria fa ricorso con troppa disinvoltura allo strumento dell’interim. Risultano affidati ad interim a dirigenti lecchesi la Direzione Ammnistrativa del Presidio, la Neurologia e, da qualche giorno, anche l’Ortopedia.
In due reparti, Pediatria e Rianimazione si è fatto ricorso alle “facenti funzioni”. In Rianimazione è da quasi cinque anni che il primario è un “f.f.”. Sistematicamente si giustificano queste situazioni con la difficoltà nell’ottenere le autorizzazioni regionali alla copertura dei posti, ma non si ricorre mai all’azione di forza che alcune aziende sperimentano nei confronti della Regione con esiti anche positivi. Nel caso della Direzione amministrativa del Presidio ci sarebbe anche una soluzione interna aziendale. La Commissaria deve rendersi conto che a colpi di “facenti funzione” e “interim” il Mandic rischia di tornare alla situazione e al clima di dieci anni fa.
E’ necessario sfruttare il ritardo che si registra nell’iter della riforma per affrontare e risolvere il problemi del presidio ospedaliero di Merate. Due strutture complesse, Otorino e Oculistica, sono state eliminate dal Piano organizzativo Aziendale con la garanzia del mantenimento a regime di quelle fondamentali per un ospedale a vocazione territoriale e il mantenimento di alcune eccellenze come la Chirurgia laparoscopica. Non è sostenibile una situazione che vede metà delle strutture senza un “capo” nel pieno esercizio delle sue funzioni. Nel caso dell’Ortopedia si tratta di un autogol: una equipe che ha retto il passaggio al privato dell’ex primario Marco Incerti, fondamentale per la qualità del Dipartimento d’emergenza (Dea) si trova di fatto nelle mani di un primario lecchese che a tempo pieno dovrebbe occuparsi di alzare il livello e la qualità del reparto di cui è titolare.
Solo con la piena operatività delle previsioni del POA il Mandic può mantenere il suo bacino d’utenza, condizione indispensabile per garantire nel lecchese le prestazioni che conosciamo.
Il DEA (abbandoniamo il termine Pronto Soccorso che può essere utilizzato più correttamente per le prestazioni che garantisce solo di giorno l’ospedale di Carate) riportato allo standard del 2-2-2, e la piena operatività dei reparti meratesi da sempre disponibili al rapporto diretto con il territorio sono due condizioni per evitare quello che Ambrogio Sala lascia intendere con un’allusione intelligente: e cioè che il casatese dista solo pochi chilometri da Monza. Se la politica aziendale che guarda solo al breve periodo e al risultato economico perfetto da sottoporre al dg della sanità lombarda Bergamaschi, proseguirà nel depauperamento delle risorse del San Leopoldo Mandic è assai probabile che i pazienti anche del meratese, emigreranno verso Monza lontana giusto una quindicina di chilometri, meglio percorribili. A quel punto l’ospedale di Lecco potrebbe tornare a chiamarsi “Ospedale di Circolo”. E questo sarebbe davvero l’autogol perfetto.
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