Scritto Martedì 13 gennaio 2015 alle 18:00
Se le fusioni saranno un obbligo di legge torneremo ai regi decreti del 1928. Qualcuno ha la volontà di opporsi al ducetto toscano?
Nella lettera-proposta dell'ingegner Antonio Conrater -"E se Cernusco preferisse andare con Merate"? - c'è un passaggio che ci ha colpito particolarmente, laddove l'ex sindaco di Cernusco, indubitabilmente tra i migliori sindaci del meratese, prevede che sarà lo Stato centrale a imporre le fusioni. Esattamente come accadde con il decreto reale del 19 gennaio 1928, in piena era fascista, quando Sabbioncello e Sartirana Brianza furono accorpate a Merate, dopo che, sempre per un'altra iniziativa di carattere amministrativo del governo fascista, nel 1923 Novate perdeva la sua autonomia conquistata nel 1500 e sempre a causa di queste "riforme" Merate aveva già perso anche la sede della Pretura che era stata qui trasferita da Brivio nel 1856. Si trattava di piccole entità municipali (Novate aveva 604 abitanti al momento della fusione con Merate), per cui l'accorpamento aveva una sua logica. Ma col medesimo decreto regio del '28 Cernusco veniva accorpato con Montevecchia, due realtà già sufficientemente sviluppate, Cernusco con 2.100 abitanti, Montevecchia con 1.400. Soltanto nel 1967 i due comuni tornavano a dividersi. E a crescere in armonia. Si pensi alla storia di Montevecchia, scritta da Eugenio Mascheroni, altro primo cittadino top del meratese, come avrebbe potuto essere ben diversa se il paese fosse rimasto con Cernusco. Ora Conrater pensa che sarà lo Stato a decidere se possiamo continuare a vivere a Cernusco Lombardone oppure se due, tre, quattro paesi che tali sono da secoli e secoli dovranno essere cancellati dalle mappe storico-gerografiche per dare vita ad un'unica entità urbana. E pensare che da vent'anni non si parla d'altro che di federalismo e di sussidiarietà (Il principio di sussidiarietà è regolato dall'articolo 118 della Costituzione italiana il quale prevede che "Stato, Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarità". Tale principio implica che le diverse istituzioni debbano creare le condizioni necessarie per permettere alla persona e alle aggregazioni sociali di agire liberamente nello svolgimento della loro attività. L'intervento dell'entità di livello superiore, qualora fosse necessario, deve essere temporaneo e teso a restituire l'autonomia d'azione all'entità di livello inferiore. Il principio di sussidiarietà può quindi essere visto sotto un duplice aspetto: a) in senso verticale: la ripartizione gerarchica delle competenze deve essere spostata verso gli enti più vicini al cittadino e, quindi, più vicini ai bisogni del territorio; b) in senso orizzontale: il cittadino, sia come singolo sia attraverso i corpi intermedi, deve avere la possibilità di cooperare con le istituzioni nel definire gli interventi che incidano sulle realtà sociali a lui più vicine).
Il governo in carica sta facendo l'esatto contrario di tutto ciò: a) prima ha (finto) di abolire le province procedendo, giusto per dare voce al cittadino, a sottrargli il diritto di voto concesso soltanto ai politici locali; b) ora tenta di sostituire il senato con quello delle regioni concedendo ai politici regionali il diritto di votarsi fra loro escludendo quindi, come nel caso delle province, il cittadino; c) con l'Italicum tutti i capilista, ma si teme anche un robusto manipolo di candidati, saranno inseriti nei listini bloccati, come accade oggi alle elezioni regionali - ricordate il caso Nicole Minetti, da igienista dentale a consigliere regionali per Berlusconi? - così voti il partito e anche il candidato, magari senza neppure sapere chi sia, perché la decisione è in mano ai segretari dei maggiori partiti che ora sono il PD e Forza Italia, uniti dal patto del Nazareno; e infatti, il secondo vota il 90% dei testi di legge fingendo di fare opposizione al primo. Il centralizzatore toscano, straordinario nel fare l'opposto di quanto dice, ora vuole anche decidere se i comuni possono restare tali per volontà di quanti vi abitano oppure se devono unirsi per forza? Beh non sappiamo cosa ne pensino i tanti sostenitori delle fusioni da Santa Maria a Lomagna ma a noi questa ipotesi fa semplicemente paura. I sindaci dovrebbero difendere i loro comuni anziché predisporsi piegati per favorire l'azione del ducetto in chiave boy scout. Invece eccoli lì tutti intenti a decidere se ci si mettesse assieme chi farà che cosa, dove si potrà costruire, dove saranno dislocati uffici e servizi e così via. A ben guardare pensiamo che - come nel caso della cosiddetta spesa storica - sarà ancora una volta la Lombardia e la Brianza in particolare a adeguarsi al pensiero unico se non addirittura ad anticiparlo. Altrove se ne fottono bellamente consci che, quando si storicizzò la spesa per comuni e ospedali chi più spendeva più ha avuto e chi già più risparmiava meno ha avuto. Cornuti e mazziati. Ma vogliamo smetterla di prenderlo in quel posto e al contrario difendere quel poco che ci resta della nostra autonomia, dopo che per legge ci hanno pure dimezzato il numero di consiglieri comunali?
Claudio Brambilla
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