Un centinaio di pazienti coinvolti e dunque monitorati ma, al momento, nessuna richiesta ufficiale di risarcimento all’Azienda ospedaliera mossa da parte di nessuno di loro. Questo sembrerebbe essere il quadro della questione “protesi all’anca difettose” esaltata in termini fin troppo allarmistici da alcuni organi di stampa. A tratteggiare meglio la situazione, ci penserà, nella mattinata di domani, venerdì 3 gennaio, Federconsumatori Lecco che ha indetto una conferenza stampa dopo aver discusso il tema con la direzione dell’Ao. Ma già il fatto che dall’ufficio stampa di via dell’Eremo si sia deciso da lasciare la parola sulla questione all’associazione dei consumatori, testimonia, probabilmente, che non vi è una guerra. Sensazione, questa, confermata anche dal portavoce dell’Ao Antonio Urti che ha definito “molto positivo” il confronto avviato tra le parti.
Vediamo di fare il punto sulla situazione, giunta, per quanto riguarda l’aspetto medico alla fine di quella che si potrebbe classificare come “la prima fase”. Seppur infatti le indicazioni di Regione Lombardia su cosa fare con i paziente che, dal 2005 al 2009, hanno subito l’innesto di una protesi all’anca prodotta dalla ditta DePuy, risultate, poi, in parte difettose, siano giunte solo in questi giorni, il San Leopoldo Mandic si era già mosso con largo anticipo, invitando, già sul finire della scorsa estate, tutti i pazienti interessati a sottoporsi ad un processo di follow up. Bisogna infatti ricordare che, a livello mondiale è stata proprio la casa produttrice a decidere di propria iniziativa di procedere al ritiro del materiale sulla base di problemi sorti dapprima in Australia dove si è riscontrata, per la prima volta nel 2010, una percentuale di “fallimento” delle protesi superiori alla norma, con la conseguente necessità di procedere in diversi casi al reimpianto. Per quanto riguarda l’Azienda Ospedaliera della provincia di Lecco questa protesi è stato utilizzata solo a Merate su indicazione dell’allora primario di Ortopedia Marco Incerti. Al Mandic hanno subito l’innesto di tale presidio medico, nel periodo tra il 2005 e il 2009, 116 pazienti di cui un centinaio ancora in vita. Tutti, sono stati contattati dall’Azienda ospedaliera e hanno accettato di sottoporsi al “percorso”, completamente gratuito, pensato per loro: una prima visita ortopedica a cui sono seguiti gli esami radiologici per valutare il corretto posizionamento della protesi e esami ematici volti a verificare i valori di cobalto e cromo presenti nel sangue di questi pazienti. Tali ioni metallici infatti vengono prodotti, anche ma non solo, in caso, per esempio di sfregamento delle capsule utilizzate per permettere il movimento delle protesi. In alcuni casi, a Merate, così come in altre aziende ospedaliere, i soggetti esaminati presentano concentrazioni superiori a 7ppb ossia al valore di riferimento. Mancando però letteratura in materia e una casistica simile, difficile non associare tali superamenti al cattivo funzionamento delle protesi stesse. Certamente, non si può però dire che, l’operazione subita al Mandic abbia reso “radioattivo” o “nucleare” qualcuno. Al ritiro comunque dei referti degli esami radiologici ed ematici effettuati, tutti i pazienti sono stati sottoposti a una seconda visita ortopedica e, a nessuno, è stato consigliato l’espianto della protesi e dunque il reinserimento di un nuovo prodotto. Ora, tutti saranno tenuti monitorati per i prossimi anni e potranno, probabilmente, presentare richiesta di risarcimento (coperta da assicurazione) per i disagi subiti. All’azienda ospedaliera spetterà invece decidere se chiedere il danno d’immagine alla società produttrice delle protesi e se continuare con essa un percorso congiunto per tenere “sotto osservazione” i pazienti coinvolti in questa spiacevole situazione.
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