
Il zig zag tra le auto al semaforo di Robbiate
Il suo nome, Danzika, lo deve al nonno che lì aveva fatto fortuna. Una notte, mentre con la carovana dei suoi famigliari si era inusualmente spostato dalla Romania alla Polonia, Simar appassionato e incallito giocatore si era fermato in un porto, era sparito e non si era fatto più trovare. Un mattino la moglie e i cognati se lo erano ritrovati davanti alla "casa", con il volto tumefatto, un tanfo di vino e fumo insopportabili e sul volto uno strano sorriso. Ripulito e ritornato in sé, Simar aveva aperto il grande tascone interno nel quale usava tenere gli incartamenti che mostrava nei vari Stati e che comprovavano la legittimità del loro transito e sosta nei pascoli di tutta Europa. Questa volta invece di sospetti permessi, c'erano banconote. Tante. La figlia allora 16enne era incinta e il primo pensiero del futuro nonno era stato per il nuovo arrivato. In cambio il nome che era stato affibbiato al pargoletto, di sesso femminile, fu Danzika.
Il pensiero del nonno, però, si era fermato lì. Il futuro per tutti i nipoti, secondo tradizione, era la strada. O meglio l'accattonaggio. E anche per Danzika la storia si era ripetuta. Originaria dell'area tra la Romania e la Bulgaria, la grande famiglia di Simar aveva viaggiato per tutta Europa, fino anche in Spagna dove sono presenti molte delle loro "colonie". Qualcuno si era fermato, proseguendo con il nomadismo ma a livello locale, altri più giovani avevano continuato a peregrinare senza mai avere una dimora fissa né un lavoro né un luogo per l'istruzione dei figli. Quello che un tempo era guardato con curiosità e in alcuni casi anche atteso con un certo entusiasmo da fasce della popolazione desiderose di assistere a spettacoli circensi o di partecipare ai giochi dei giostrai, era diventato poi un fenomeno preoccupante e da guardare con sospetto, associato spesso a furti e razzie in villa. E i luoghi di sosta prolungati si sono trasformati in baraccopoli alle periferie della città, sporche, disorganizzate e completamente abusive, dove spesso neanche le forze dell'ordine intervengono perché lì vige l'anarchia. Danzika tutte le mattine parte da una di quelle baraccopoli alle porte di Milano. Sale su un treno oppure in auto in base alle decisioni del capofamiglia, prima il padre oggi il marito Yuk, e scende in uno dei paesi dove ci sono incroci semaforici importanti, con un notevole flusso di traffico e soste che si prolungano per un paio di minuti, giusto il tempo di bussare ai finestrini delle auto. Una volta erano gettonate anche le chiese
"ma ormai ci vanno in pochi e solo gli anziani che non hanno molti soldi e sono sospettosi". La sosta in genere dura 2-3 ore o comunque il mattino o il pomeriggio, mai una giornata intera
"perché poi dicono che disturbiamo e allora arriva la polizia e ci caccia via. Oppure ci chiede i documenti e allora si perde tanto tempo e non si guadagna". Danzika ha 17 anni, un marito giovane tanto quanto lei che non lavora o, per dirla con le sue parole,
"sta a casa a curare", prima di arrivare nel campo di Milano è stata in altre zone del Veneto dove ha fatto le scuole dell'obbligo, o almeno così sostiene. Nel meratese è solita sostare a Robbiate (dove l'abbiamo incontrata ieri, mercoledì 22 giugno), a Cernusco, a volte al ponte di Paderno (
"ma qui poche volte perché ho paura. Una volta un uomo ha tentato di caricarmi in auto"). Danzika ha la pelle olivastra, i capelli leggermenti mossi, nero corvino, con una strana lucentezza che di sicuro non è gel, e denti bianchi. Tra i due incisivi c'è uno spazio, una lunga riga nera che rende ancora più simpatico il suo sorriso. Addosso porta un maglione bordeaux sopra una maglietta nera, una gonna gitana e dei sandali alla moda, con i lacci che le avvolgono le caviglie, fino a metà polpaccio. Non usa cartelli, tende solo la mano.
"La gente non ci crede". Ma oggi neanche il suo bel sorriso riesce a strappare lauti guadagni.
"Ho iniziato a stare in strada con la mamma e poi con una sorella maggiore. Avevo pochi anni. Ricordo poco: il caldo e il freddo quelli sì. Dentro nella stoffa dove ero legata alla mamma c'era il sacchetto delle monete. Erano tante perché il rumore si sentiva ed era il mio gioco. Poi ho iniziato io. Studiare? Non lo so, non mi piace neanche leggere. Un lavoro normale? Per noi è questo, non sappiamo fare altro. All'inizio andavamo in due, io e mia sorella. Poi lei si è sposata e il marito l'ha portata da un'altra parte. Sono rimasta sola. Quando non c'erano questi soldi, ma gli altri (le lire, ndr) la sera ci voleva tanto tempo per contare. Anche il primo anno che sono cambiati ed è arrivato l'euro, la gente ci dava tante monetine. Poi ha iniziato a darci solo quelle rosse (cinque centesimi, ndr). Quanto portiamo a casa dopo un paio d'ore? Dipende dal posto, dalla stagione, quando fa caldo tutti stanno al fresco con l'aria condizionata e d'inverno con l'aria calda non aprono. I camionisti di solito danno di più, le donne poco o niente. Ci sono giorni che prendiamo 50, 70 euro. Altri molto meno. Ma quando ero piccola la mamma diceva molto di più". Non ha paura della polizia, neanche dello smog che respira a pieni polmoni tutto il giorno, nemmeno delle moto che zigzagano tra le auto ferme in sosta e si accorgono solo all'ultimo del suo corpicino che vaga bussando ai finestrini. Il suo terrore sono i topi.
"A casa ce ne sono tanti. Mio marito sta a casa per curare che non entrino". Da grande vorrebbe fare la mamma. Diversamente dalla tradizione della sua famiglia, lei non ha ancora figli.
"Boh, sono l'unica delle mie sorelle che non è ancora mamma. Ma presto arriveranno. Così per un po' potrò non stare qui in mezzo alle macchine. Poi ci tornerò. Ma almeno non sola". Non sa fino a quando dovrà fare questo mestiere perché, in realtà, questo mestiere non ha età: da giovani ad "attirare" la generosità degli automobilisti è proprio il cuore che si scioglie di fronte a quei pochi anni, quando diventerà mamme è il pargolo che porterà con sé a spronare all'altruismo e a fine "carriera" ci saranno le rughe e quelle spalle ricurve a incutere una grande compassione.
"Ma qui è bello" ha concluso prima di tornare in strada, sotto lo sguardo vigile di una zia che da lontano controllava quella sua prolungata sosta a lato strada
"ci sono persone che mi hanno già visto o che tornano dopo un paio di ore e mi riconoscono e mi dicono: sei ancora qui? Però sono simpatiche e si ricordano di me". Per Danzika, una piccola soddisfazione.
© www.merateonline.it - Il primo network di informazione online della provincia di Lecco