Cernusco: la storia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e della moglie Emanuela Setti Carraro sul palco del san Luigi
Uno spettacolo struggente dove un amore profondo, che ha avuto inizio da un fiore rosso donato, ha convissuto con la paura, il terrore, l’incertezza del domani minato dall’odore della morte portato dalla mafia.


Un legame su cui nessuno avrebbe scommesso per la differenza di età e di contesto e che invece, seppure per una breve parentesi, è stato fedele e saldo sino alla fine. Tanto da restare l’unica certezza per il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, chiamato a mettere ordine, in qualità di Prefetto, in una città come Palermo dove mancava l’acqua, c’erano problemi di viabilità, lavoro, indigenza, ma dove soprattutto c’era la mafia. E dove lui, uomo di Stato, fedele al suo “datore di lavoro”, era stato lasciato solo da quelle stesse istituzioni a cui lui aveva dedicato la vita, sacrificando in primis la sua famiglia.


Sul palco del san Luigi di Cernusco lombardone, la rassegna “Teatro in villa” è stata aperta dallo spettacolo “Forte come la morte è l’amore”, portato in scena dalla compagnia "La Sarabanda" e realizzato dall'autore Ettore Radice dell'Associazione Mnemosyne di Monza. A raccontare la storia del servitore dello Stato e della sua giovane compagna, Emanuela Setti Carraro, sposata in una chiesa del Trentino, sotto l’occhio vigile di decine di agenti della Digos, qualche mese prima dell’attentato mortale, sono stati bravi attori che hanno saputo far trattenere il fiato al pubblico, sino alla ultima scena. Quella della raffica di 300 proiettili sparati da un kalashnikov che, come recitava un cartello posto qualche ora dopo in via Isidoro Carini, pose fine alla speranza dei palermitani onesti.
Alla serata erano presenti i membri dell’amministrazione comunale guidata da Gennaro Toto, il comandante della Compagnia della Guardia di Finanza di Cernusco tenente Gianluca Mazzei, il comandante della stazione carabinieri di Merate luogotenente Edonio Pecoraro e poi moltissimi cittadini desiderosi di approfondire, attraverso il teatro, questo pezzo di storia italiana.
Una vicenda raccontata dalla voce di un giornalista, della figlia del Generale, della mamma di Emanuela Setti Carraro e poi dei due protagonisti. Lettere, interviste, immagini che gli attori hanno saputo esprimere con trasporto, coinvolgimento e grande profondità.
Per raccontare quel generale che con la clandestinità aveva combattuto il terrorismo e aveva al tempo stesso cercato di proteggere la sua famiglia, che si era sentito solo e abbandonato, che aveva invitato le istituzioni a farsi come alleato migliore il cittadino per sconfiggere quel male radicato a Palermo ma che in realtà aveva radice ben più ramificate, come i fatti poi gli hanno dato ragione.


Un Generale diventato poi Prefetto che aveva incontrato i ragazzi delle scuole che gli avevano scritto una lettera per chiedere di debellare fenomeni di morte, come lo spaccio di eroina, e li aveva invitati ad essere uniti e a respingere ogni forma di violenza e corruzione. “Certe cose non si fanno per coraggio” aveva concluso in una sua intervista “ma per guardare più serenamente i propri figli”.

A chiudere la serata l’intervento del consigliere Gerardo Biella che non si è sentito né di augurare buon divertimento in apertura di spettacolo e nemmeno di fare l’elencazione delle date successive, con il rischio di rovinare una atmosfera tra il pubblico che si era fatta silenziosa e riflessiva.


Un legame su cui nessuno avrebbe scommesso per la differenza di età e di contesto e che invece, seppure per una breve parentesi, è stato fedele e saldo sino alla fine. Tanto da restare l’unica certezza per il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, chiamato a mettere ordine, in qualità di Prefetto, in una città come Palermo dove mancava l’acqua, c’erano problemi di viabilità, lavoro, indigenza, ma dove soprattutto c’era la mafia. E dove lui, uomo di Stato, fedele al suo “datore di lavoro”, era stato lasciato solo da quelle stesse istituzioni a cui lui aveva dedicato la vita, sacrificando in primis la sua famiglia.


Sul palco del san Luigi di Cernusco lombardone, la rassegna “Teatro in villa” è stata aperta dallo spettacolo “Forte come la morte è l’amore”, portato in scena dalla compagnia "La Sarabanda" e realizzato dall'autore Ettore Radice dell'Associazione Mnemosyne di Monza. A raccontare la storia del servitore dello Stato e della sua giovane compagna, Emanuela Setti Carraro, sposata in una chiesa del Trentino, sotto l’occhio vigile di decine di agenti della Digos, qualche mese prima dell’attentato mortale, sono stati bravi attori che hanno saputo far trattenere il fiato al pubblico, sino alla ultima scena. Quella della raffica di 300 proiettili sparati da un kalashnikov che, come recitava un cartello posto qualche ora dopo in via Isidoro Carini, pose fine alla speranza dei palermitani onesti.
Alla serata erano presenti i membri dell’amministrazione comunale guidata da Gennaro Toto, il comandante della Compagnia della Guardia di Finanza di Cernusco tenente Gianluca Mazzei, il comandante della stazione carabinieri di Merate luogotenente Edonio Pecoraro e poi moltissimi cittadini desiderosi di approfondire, attraverso il teatro, questo pezzo di storia italiana.
Una vicenda raccontata dalla voce di un giornalista, della figlia del Generale, della mamma di Emanuela Setti Carraro e poi dei due protagonisti. Lettere, interviste, immagini che gli attori hanno saputo esprimere con trasporto, coinvolgimento e grande profondità.
Per raccontare quel generale che con la clandestinità aveva combattuto il terrorismo e aveva al tempo stesso cercato di proteggere la sua famiglia, che si era sentito solo e abbandonato, che aveva invitato le istituzioni a farsi come alleato migliore il cittadino per sconfiggere quel male radicato a Palermo ma che in realtà aveva radice ben più ramificate, come i fatti poi gli hanno dato ragione.


Un Generale diventato poi Prefetto che aveva incontrato i ragazzi delle scuole che gli avevano scritto una lettera per chiedere di debellare fenomeni di morte, come lo spaccio di eroina, e li aveva invitati ad essere uniti e a respingere ogni forma di violenza e corruzione. “Certe cose non si fanno per coraggio” aveva concluso in una sua intervista “ma per guardare più serenamente i propri figli”.

A chiudere la serata l’intervento del consigliere Gerardo Biella che non si è sentito né di augurare buon divertimento in apertura di spettacolo e nemmeno di fare l’elencazione delle date successive, con il rischio di rovinare una atmosfera tra il pubblico che si era fatta silenziosa e riflessiva.
S.V.