Il contesto sociale del voto tra global e post-global

Enrico Magni
Alle urne del 25 settembre ’22 andrà a votare un elettorato che fugge dalla globalizzazione di questo ventennio. Non è più un elettore liquido, come lo definiva il sociologo Zygmunt Bauman nel saggio “Modernità liquida”, ma è un individuo informe post-global, che, per salvarsi dalla famelica globalizzazione e difendersi dall’insicurezza, si rinchiude nel proprio bunker, avvilisce la politica rifugiandosi in un voto localistico-identitario, oppure nel non voto (altra nicchia identitaria). L'individuo post-global vive emozioni di incomprensione, derealizzazione, tradimento, abbandonato. E' convinto che il voto sia un barattolo da colpire come al luna park per fare punti. Per il post-global il dire della politica non corrisponde al fare: la politica è un oggetto oscuro, effimero e lontano dai bisogni quotidiani.

L'individuo informe post-global è convinto di essere in grado di distinguere, analizzare, comparare, separare tutto ciò che lo coinvolge. E invece il prodotto mediatico di una comunicazione di massa semplificata, debordante che pone al centro la frammentazione, la ridondanza, la semplificazione.

La propaganda politica per canalizzare, convogliare il consenso dei votanti, sfrutta il malessere che sta nella pancia identitaria dell'elettore. I media fingendo di stare sopra le parti come etereo, manipolano la dimensione metacognitiva del collettivo, generano insicurezza, incertezza, canalizzano il voto verso il sondaggio statistico più alto sollecitando (meccanismo psicologico) l’effetto pigmalione o profezia auto avverante. Dietro l'invisibile mediatico, che mischia le carte, come fa Faust nel giardino degli innocenti senza distinguere le figure, i colori e i numeri, c’è una operazione manipolativa per il consenso.

Parte della popolazione percepisce la politica come predatoria, per questo il post-global si difende sottraendosi dall'andare a votare. Il non voto nella società post-global è uno stato di condivisione, appartenenza; è l’espressione di un’identità collettiva che si difende da frustrazione, inadeguatezza, inaffidabilità.

La risposta retorica tamburellata dai media è che il non voto è un segno di democrazia, che esprime  la soggettività e svilisce il potere politico. Invece è una cesura tra governanti e governati. I non elettori post-global sono convinti di essere in grado di leggere e comprendere la complessità. Il non elettore post-global è un gladiatore, che combatte i mostri come il cavaliere Asgaard del dio Odino, che è disposto a sacrificare il piccolo Io al grande Sé per approdare alla totalità del suo vero essere.

Ai non elettori post-global i politici appaiono come delle maschere che, sul palcoscenico della pubblica piazza, recitano una filastrocca cacofonica che l'elettore fatica a distinguere. Il non elettore post-global è alla ricerca di un oggetto che lo aiuti a combattere la globalizzazione che sopprime, esclude e genera angosce. Il non elettore post-global confonde, in chiave psicoanalitica, il seno della madre con la madre.  Il non elettore pensa di essere superiore e lontano da quella realtà ingannevole. Nella società post-globalizzata chiusa, ambivalente, nell’urna forse prevarrà un voto semplificato, identitario post-global.
Dr. Enrico Magni
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