Presidenziali: da anni politica e stampa propinano analisi banali che puzzano  esclusivamente di palazzo. Il nuovo è ancor peggiore del vecchio

La frittata, dopo una settimana convulsiva, prima di quella ricreativa di tutti a casa ad ascoltare il solito noioso ripetitivo festival di Sanremo, è fatta. Non è un caso che il programma proposto al festival sia un misto tra passato e presente con vecchie canzoni, vecchi cantanti e nuove proposte. In fondo è un po' quello che è successo a Roma per l'elezione del nuovo/vecchio Presidente della Repubblica. Con tutto il rispetto necessario e doveroso è stato rieletto per la seconda volta un Presidente uscente di una certa età.

Il groviglio dei Grandi Elettori, composto prevalentemente da quarantenni e da una pattuglia di parlamentari anziani con ufficio permanente in Parlamento da almeno trent'anni, ha evidenziato la grande immaturità politica.

Gli anziani parlamentari, proponendosi garanti (saggi) delle tradizioni, sono perpetuamente incollati allo scranno; i giovani parlamentari, che dovrebbero essere il rappresentato dell'innovazione, a loro insaputa, sono invece i figuranti sostanziali del fallimento del cambiamento. Sono stati incapaci di proporre e di imporre una figura nuova, fuori e lontana dal vecchio secolo: paradossalmente il nuovo è peggiore del vecchio.

I giovani parlamentari sono il frutto di una cultura opportunistica, carrieristica e spontaneistica con scarsa formazione politica e sociale. Non bastano le intenzioni, la buona volontà, aver operato per qualche tempo in una organizzazione di base o essere parte di un partito debole. Quello che è accaduto, per il rinnovo del Presidente, ha fatto emergere la povertà culturale e politica di questa generazione. Non sono stati capaci di esprimere e dare sostanza politica ai bisogni di questa società complicata e complessa: sono soltanto il copyright di se stessi. Il problema è aperto.

La questione non sta nel trovare formule istituzionali. Una classe dirigente si forma attraverso un lavoro che dura anni, non basta fare la passerella in qualche talk show, bussare in qualche tritacarne televisivo, confessare pubblicamente le proprie emozioni: se così vanno le cose, questi sono i risultati. Ieri sera, gli stessi, hanno firmato il loro fallimento.

Dopo assurdi e vacui finti colloqui unilaterali, bilaterali, trilaterali, multilaterali alla fine sono andati a chiedere la grazia al Colle, come quando si fa la scala santa per chiedere perdono per i propri peccati: " Mattarella, perdonaci per quello che ti chiediamo, ma siamo sprofondati in una grande palude, aiutaci tu".

Settimana scorsa, prima dell'inizio delle votazioni, proprio su questo giornale online, ho usato la seguente metafora culinaria predittiva: " Il conflitto latente potrebbe impazzire come una maionese, che per essere recuperata ha bisogno della mano di un bravo chef: Mattarella".

Così è accaduto. Ma non serve possedere capacità scaramantiche, sensitive o politologiche per ipotizzare quello che può accadere, basta guardare con occhio miope la foto del palazzo.

Ma non soltanto l'attuale rappresentanza parlamentare ha dimostrato i suoi limiti, non solo, sullo stesso terreno c'è anche una classe dominante dell'informazione. Da anni questa classe dominante dell'informazione occupa schermi, network e propina analisi superficiali, ridondanti che puzzano esclusivamente di palazzo.

Roma è piena di palazzi, di strade, di angoli affascinanti che ammaliano e ti invogliano ad attaccarti al paracarro più vicino. A Roma, città del potere, le giornate sono scandite dal suono delle campane di festa, dalla primavera perpetua, dalle auto nere, ma non dal timbro del cartellino, dal suono del campanello.

Il conservatorismo e l'angoscia del nuovo inibiscono le molteplicità del bello, del possibile e del fare. Solo se c'è cambiamento, come nel divenire di Eraclito, la democrazia è viva.

Dr. Enrico Magni
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