Paderno: Luigi Borgonovo da artigiano del ferro che costruì le gabbie per il tribunale a maniscalco e allevatore di cavalli

Dai lampadari in ferro battuto ai ferri di cavallo. Dalla passione per la lavorazione del ferro e dall'amore per i cavalli non poteva fare altro il maniscalco Luigi Borgonovo, 70 anni, a riposo ormai da oltre due anni. Un lavoro molto duro che gli ha dato però grandi soddisfazioni, come dimostrano le foto dei cavalli appese alle pareti di casa, una villetta in località Fuggitiva a Paderno d’Adda.
In realtà Luigi Borgonovo è padernese d’adozione, avendo vissuto fino a due anni fa a Robbiate, in via Cantone, dove nell'officina di famiglia ha preso inizio l'avventura che dopo tanti anni lo avrebbe portato a fare il maniscalco. Non un maniscalco qualsiasi, bensì un vero e proprio maestro che ha insegnato negli anni i segreti del mestiere a tanti giovani che volevano intraprendere la strada della mascalcia.
Negli anni ‘70 Luigi lavorava il ferro battuto con il fratello Pierangelo nell'officina di Robbiate…



DAI LAMPADARI AI LAVORI A SAN SIRO ALLE CELLE PER I DETENUTI IN TRIBUNALE

“Producevamo lampadari, a quei tempi erano numerose le aziende che operavano in questo settore a Robbiate, mentre a Paderno d’Adda c’erano i maglifici. Eravamo arrivati ad avere 35 operai, ad un certo punto però ci fu la crisi del settore e a malincuore fummo costretti a chiudere. Gli operai per fortuna trovarono posto in altre aziende del territorio: quelli erano tempi in cui la disoccupazione non esisteva. Io e mio fratello invece continuammo a lavorare il ferro nell'azienda di famiglia. Abbandonati i lampadari, prendemmo l’appalto della manutenzione dello stadio di San Siro e del Palazzo di Giustizia di Milano per conto del Comune. La domenica si giocavano le partite di calcio e noi il giorno dopo dovevamo intervenire per riparare i danni: cancelli, recinzioni, parapetti. Il lunedì facevamo la conta dei danni della domenica”.
I fratelli Borgonovo hanno lavorato a lungo anche al Palazzo di Giustizia di Milano, ma in questo caso si trattava di interventi di sicurezza.
“Un giorno ci chiamarono e ci portarono sul terrazzo del Palazzo ad un'altezza di sei piani. Ci spiegarono che per motivi di sicurezza era necessario posare una recinzione alta tre metri lungo tutto il perimetro dell’edificio. Francamente ci sembrò improbabile che qualcuno potesse scalare l’edificio e raggiungere il terrazzo, ma non era nostra abitudine discutere e così ci mettemmo al lavoro. Ricordo che passai un intero inverno appeso ad una gru a decine di metri di altezza a saldare l'inferriata che credo ancora oggi protegge l’edificio”.
Quella non fu la sola opera realizzata dai Borgonovo che ancora oggi si trova nelle aule del Tribunale di Milano.
“Ci vennero commissionate le gabbie in cui venivano rinchiusi i detenuti durante i processi e ancora oggi in uso. Era il periodo in cui iniziavano i processi importanti e così preparavamo le celle in officina e poi le trasportavamo a Milano per montarle in aula. Ricordo ancora che pesano diciotto quintali l’una”.
Poi però anche il lavoro a Milano finì e così i fratelli Borgonovo si ritrovarono a Robbiate. Nel frattempo Luigi si era sposato ed era diventato padre di due figli, ma dentro di lui la passione per i cavalli covava da sempre…


IL  CAVALLO COMPRATO DI NASCOSTO OTTO GIORNI PRIMA DI SPOSARSI

“Il mio primo cavallo lo comprai otto giorni prima di sposarmi. L'avevo acquistato di nascosto e per un po’ di tempo non lo dissi a nessuno. Quando lasciammo il lavoro a Milano quasi per scherzo, ma anche perché dovevo portare a casa la pagnotta, cominciai a darmi da fare con i cavalli. All'epoca avevo il mio maniscalco, con bottega in piazza a Cernusco Lombardone, in un cortile di fronte al Comune. Era lui, Enrico Agostoni, che ferrava anche i miei cavalli. Un giorno mi chiamò e mi disse che aveva preso un calcio da un cavallo e si era rotto un braccio. Mi chiese se potevo aiutarlo: io dovevo tenere alzato il piede del cavallo mentre lui con la mano sana sostituiva i ferri… Non avevo molto da fare e così accettai, dapprima tenevo alzata la zampa dell'animale e successivamente, seguendo le sue indicazioni, cominciai a tagliare l’unghia e a mettere i ferri. Una volta che Enrico ebbe tolto il gesso, tornai ad occuparmi dei miei cavalli. Dopo qualche tempo lo chiamai perché venisse a ferrare i miei cavalli, ma lui mi chiese di passare prima in bottega. Una volta lì mi disse: “Le misure le conosci. Lì ci sono i ferri, i chiodi e gli attrezzi, da oggi sei in grado di fare da solo”. Non ci avevo mai pensato, ma una volta tornato a casa cominciai a ferrare il mio primo cavallo e da allora non ho più smesso”.
Nel giro di poco tempo Luigi divenne famoso nel settore e così cominciarono ad arrivare i primi clienti. Era l'inizio di una nuova avventura che lo avrebbe portato lontano.



QUASI PER SCHERZO DIVENTA MANISCALCO E COL FRATELLO GIRA TUTTA LA LOMBARDIA

“In quel periodo i contadini stavano sostituendo i cavalli con i mezzi meccanici e i maniscalchi erano ormai tutti anziani. Essendo un lavoro difficoltoso e faticoso erano pochi coloro che si cimentavano in questa pratica. Fortunatamente per me è stato l'inizio di una professione che mi ha permesso di ottenere grandi soddisfazioni. In quegli anni infatti si passò dall’impiego del cavallo in campagna, all'uso a fini sportivi e ricreativi. Il boom dei maneggi risale proprio a quegli anni. Sempre con mio fratello cominciammo quindi a girare da un maneggio all’altro… dalla Bassa Bergamasca a Brescia, dalla Valtellina alla Liguria. Ci chiamavano da tutte le parti… Era un lavoro durissimo, che non solo richiede un grande sforzo fisico, ma anche la capacità di trattare gli animali, ognuno con il suo carattere: ce ne sono di docili e mansueti, ma anche di meno collaborativi se non addirittura bizzosi e  imprevedibili. Per questo motivo era un lavoro che richiedeva una certa destrezza: bisognava saperci fare, altrimenti in alcuni casi diventava perfino pericoloso. Del resto sono creature poderose e con un calcio posso colpire violentemente chi gli si approccia maldestramente e in modo incauto.
La sera tornavamo stanchissimi ma con le tasche piene di soldi. Dopo cena mi mettevo alla forgia per preparare i ferri per il giorno dopo. Nonostante la fatica devo dire che la professione di maniscalco mi ha dato però grandi soddisfazioni. Ho insegnato il mestiere a tanti giovani che avevano la mia stessa passione e sono stato chiamato a tenere lezioni di mascalcia ai corsi per istruttori equestri”.
Chi ha avuto un cavallo, sa quanto sia importante la ferratura, soprattutto per gli esemplari impegnati in competizioni di alto livello.


QUANDO É UN CHIODO A FARE LA DIFFERENZA “HO SALVATO CAVALLI DESTINATI AL MACELLO”

“E’ come mettere a punto una macchina di Formula Uno, basta un chiodo troppo lungo o spostato di un millimetro per compromettere la performance di un cavallo. Con la giusta ferratura ho messo in piedi e riabilitato esemplari che erano altrimenti destinati al macello. Queste sono state le soddisfazioni più grandi: vedere un animale che non camminava, rimettersi in piedi e tornare a gareggiare… Ho avuto a che fare con cavalli di ogni tipo, sia con galoppatori che per il salto a ostacoli, ognuno ha il suo appiombo e il suo ferro ideale, il segreto sta nel saperli trovare”.
Anche l'allevamento e il commercio di equini hanno dato grandi soddisfazioni a Luigi.
“Avevo iniziato con una cavalla che tenevo in una cascina che avevo in affitto. Mi divertivo a far nascere i puledri, li allevavo e li domavo… Non ricordo neppure più quanti ne ho domati nella mia vita.
Poi con mio fratello Pierangelo abbiamo iniziato fare un po’ di commercio. Tramite amici, compravamo in Sardegna i cavalli dei pastori che erano dei bei animali, non tanto alti, ma focosi. Arrivavano che erano impresentabili e dopo qualche mese erano irriconoscibili tanto erano belli: abbiamo iniziato con i maremmani, poi quarter, appaloosa, paint, cavalli americani, a monta inglese e all’americana. Successivamente abbiamo fatto il grande salto: siamo stati i primi a importare il vero purosangue arabo in Italia da allevatori dell’Olanda e del Belgio, primi in assoluto a possedere uno stallone, poi due fattrici,  a quel punto abbiamo cominciato a espanderci ancora di più. Importavamo e vendevamo…
A un certo punto siamo approdati in Canada dove c’erano degli allevamenti di purosangue di altissima caratura…C’era una richiesta esorbitante, tanto che vendevamo dai trenta ai quaranta cavalli al mese.



LA MORTE DELLO STALLONE PUROSANGUE HA SCOMBIATO ANCORA UNA VOLTA LA STORIA


Abbiamo anche acquistato uno stallone dall’Olanda, impegnando una somma di denaro importante. Purtroppo però il cavallo dopo un mese morì e in quell’occasione, oltre che ad un eccezionale esemplare, perdemmo anche molti soldi. Dopo quella sventura, decisi di farmi da parte per dedicarmi ai miei cavalli e alla mia attività da maniscalco, mentre mio fratello invece proseguì nell’attività del commercio di cavalli”.
Non sono comunque mancati i momenti difficili e dolorosi. Dopo qualche anno infatti, la cognata morì in un drammatico incidente a Calco, mentre il figlio si salvò per miracolo. L’anno successivo anche il fratello, che aveva deciso di trasferirsi portando avanti l’attività con i cavalli, perse anche lui la vita in un incidente mentre si stava recando a Milano. Fu un grande dolore per la famiglia, soprattutto per Luigi, che era molto legato al fratello.


CON UNA MUTA DI SEI CANI ALASKCAN ARRIVA IL TITOLO NAZIONALE DI SLEDDOG

Nella lunga carriera di Luigi non manca neppure un capitolo dedicato ai cani, a riprova dell’amore che prova per gli animali. Nel 1980 riuscì addirittura a conquistare il titolo italiano di Sleddog, una corsa in slitta trainata da una muta di cani.
“Due amici erano andati in vacanza in Alaska e mi telefonarono per dirmi che avevano trovato una muta eccezionale. Io senza pensarci due volte, dissi loro di comperarla. Dopo qualche giorno andai all’aeroporto di Malpensa a prendere i cani.
Fu un altro periodo fantastico. Il capo branco era veramente eccezionale e infatti con la muta guidata da lui vinsi addirittura il titolo nazionale di Sleddog nel 1980. Era un esemplare fuori dal comune e grazie a lui ho scoperto la passione per gli Alaskan. Sono arrivato ad averne 45 esemplari. Quando vinsi il campionato mi chiesero di vendere la muta ma ovviamente non accettai. Dopo qualche tempo però mi resi conto che non riuscivo più a star dietro a tutto e decisi di venderla, ma posi come condizione che l’acquirente comprasse con la muta tutti gli esemplari. Pochi giorni dopo un austriaco comperò la muta e tutti gli altri cani”.
 L’ultimo cavallo che ancora oggi ha un posto importante nel cuore di Luigi è stata Manila, uno splendido esemplare di mula.



QUEL TARDIVO AMORE PER LA MULA “MANILA” NATA DA UN INCROCIO TRA UNA APPALOOSA E UN ASINO

“Quando ho saputo che stavo per diventare nonno di un maschietto ho pensato di regalargli un cavallo… Su Internet ho trovato una mula e me ne sono innamorato. Sono andato a Venezia e l’ho comperata… Neanche a dirlo, mio nipote non si è appassionato al cavallo, che è invece diventato la mia passione.
Manila è nata in un allevamento a Latina da un incrocio tra una cavalla Appaloosa e un asino romagnolo. Il risultato dell’incrocio ha prodotto un esemplare unico e incredibile.
Dopo cinquant’anni ho dovuto ricredermi: infatti, dopo aver lavorato con Manila, se oggi dovessi scegliere tra un cavallo e un mulo non avrei dubbi: sceglierei il mulo. Non dimenticherò mai il giorno in cui mi presentai a Travagliato con Manila: c’era chi rideva, chi faceva battute, chi pensava a uno scherzo…  E tuttavia, dopo aver vinto cinque gare e poi anche la sesta, portando a casa il campionato italiano di attacchi, hanno smesso di prendermi in giro. Quando arrivavo con Manila alle competizioni, gli altri concorrenti non volevano neppure più gareggiare. Tre anni fa ho dovuto metterla in vendita e per lei si è mobilitata tutta l’Italia a riprova della sua popolarità. L’ha acquistata ad occhi chiusi una signora di Genova, poiché la conosceva ed era da un po’ che ci aveva messo gli occhi sopra…”.
Oggi Luigi trascorre le sue giornate in compagnia di due jack russel e “Bosco”, un bel esemplare di Pastore Maremmano.  Ma il suo cuore ancora “scalpita” quando vede un cavallo.
Angelo Baiguini
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