
Andrea Spanu
Gentile Redazione,
la "levata di scudi" di molti amministratori o sostenitori della Lega a favore del referendum del 22 ottobre è comprensibile: la consultazione è stata fortemente voluta dal governatore Roberto Maroni, casualmente in coincidenza con la fine del suo mandato, e può costituire una buona occasione di rilancio per il partito in vista delle prossime politiche ed amministrative. Forse però occorrerebbe riportare alla giusta dimensione il merito del quesito e le conseguenze del voto, perché in questi giorni si leggono dichiarazioni roboanti che promettono chissà quali storiche ricadute con una vittoria del "Sì". Il quesito che verrà posto agli elettori è se essi desiderano che vengano avviate trattative con lo Stato centrale per ottenere che alcune competenze passino da quest'ultimo alla Regione, come l'articolo 116 della Costituzione consente di fare. Qui è bene sgombrare il campo da alcuni fraintendimenti: non si voterà per far diventare la Regione Lombardia una "Regione a statuto speciale", quindi chi fa paragoni con il Trentino o con la Sicilia non sa di cosa sta parlando; non si voterà per "far rimanere qui più risorse", perché quelle che verranno riconosciute alla Lombardia in caso di trasferimento delle competenze saranno esattamente le stesse che lo Stato eroga attualmente per quelle materie. Quello che sarà eventualmente trasferito sarà la "gestione" della materia. Questo è bene saperlo anche per evitare cocenti delusioni a chi, recandosi a votare il 22, pensi di svegliarsi il giorno dopo in una Regione dove rimangono 54 miliardi di euro in più di residuo fiscale. La cosa un po' paradossale, in tutto ciò, è che tale mandato è stato già conferito dagli elettori lombardi quando andarono a votare alle ultime elezioni regionali: sul programma e negli spot elettorali dei partiti che sostenevano Maroni si prometteva esattamente di fare questo: di chiedere più competenze allo Stato centrale. E di tenere "più tasse sul territorio". Basta andare a rivedersi su YouTube i video della campagna di Maroni (e di Zaia) di cinque anni fa. L'articolo 116 della Costituzione non prevede affatto che sia necessario un referendum consultivo per avviare questo percorso; altre Regioni stanno già chiedendo maggiori competenze senza aver tenuto alcun referendum. Visto così, il quesito che gli elettori troveranno sulla scheda il 22 ottobre potrebbe essere riformulato in questo modo: "Volete voi che la Giunta regionale faccia ciò per cui è stata eletta nel 2013 ?". E spendere 48 milioni di euro per sentire un superfluo "Sì" a questa domanda, diciamocelo francamente, è un po' troppo. Forse il commento più salace riguardo al referendum lo ha espresso pochi giorni fa l'ex governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, che mi risulta essere un uomo di centrodestra e lungamente alleato con la Lega: "La questione viene affrontata in modo banale. Il quesito è vago. E' come chiedere se vuoi bene alla mamma". Ecco: se in questi cinque anni di mandato la giunta Maroni avesse fatto ciò per cui era stata eletta, non ci sarebbe forse stato bisogno di questo referendum. Ad ogni modo, se mi chiedono se voglio bene alla mamma io rispondo di sì. Ma non stupiamoci se molti lombardi, di fronte ad una domanda al contempo inutile e costosa, decideranno di non perdere tempo a rispondere. Questo continuo "chiedere il mandato al popolo" per poi non realizzare ciò che si promette, alla lunga risulta stancante anche per l'elettore più ligio ai suoi doveri.
Grazie per l'attenzione,
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