
Il governo e di converso il Parlamento vogliono aiutare i giovani consentendo loro di iniziare un'attività in proprio senza essere oppressi dal carico fiscale, ma lo fanno con programmi e intenzioni che volano basso e che sembrano favorire solo gli under 35 anni che intendono vivere secondo i principi della cosiddetta "generazione mille euro", ovvero i ragazzi e le ragazze che per scelta o costrizione si accontentano di una remunerazione, di un compenso o di un guadagno di mille euro mensili per dodici mesi. Giovani che si auto sorreggono solo perché hanno la famiglia alle spalle, ma che dovrebbero affrancarsi in fretta da questo "giogo" amoroso. Giovani che guadagnano poco, risparmiano pochissimo e accantonano briciole a fini pensionistici. Ancora una volta ho l'impressione che il governo sia cieco e il Parlamento miope. Aggiungiamoci il disinteresse del sindacato e l'afonia degli ordini professionali e la torta è fatta. Mi spiego meglio e ditemi la vostra, se volete, perché l'argomento è serio e una soluzione c'è.
Il nostro Paese è sopravvissuto - e anche bene - fino alla metà degli anni '90 anni grazie alla ragnatela di piccole imprese artigiane e di commercio. Sono le realtà aziendali che tengono in vita le città, ma che oggi soffrono della mancanza di un ricambio generazionale, molte delle quali si aprono inevitabilmente al capitale e alla titolarità di stranieri, cinesi innanzitutto, ma anche arabi. E' lecito, ma dispiace. Meglio sarebbe che i figli subentrassero ai padri, i nipoti agli zii o ai nonni e così via. Ma perché questo accada occorre che i giovani possano bilanciare la fatica e la responsabilità di gestire una piccola azienda con la ragionevole certezza di una redditività soddisfacente. Ecco che allora il Parlamento, su suggerimento del Governo, ha deciso di aiutare i giovani tassando il loro reddito con aliquote agevolate secche, ovvero sostitutive del pesante sistema delle aliquote progressive ordinarie irpef che oggi colpiscono le fasce di reddito con percentuali di prelievo dal 23% al 43% cui si aggiungono l'irap, le addizionali comunali e regionali e i contributi di pensioni, questi ultimo con aliquote sul reddito prodotto che vanno dal 17% al 26,72%.
Il vero, grosso guaio che nessuno vede è che questa politica a fiscale pro juventute si rivolge unicamente a una categoria di giovani che paradossalmente si vuole mantenere non autosufficiente perché queste agevolazioni, che prevedono una tassazione del 10% per i primi tre anni, successivamente del 20% , entrambe sostituite dal 1 gennaio 2012 da un'aliquota addirittura più bassa del 5% (ma è una presa in giro, un'elemosina per coloro che già sono poveri), impongono di lavorare poco e di guadagnare poco. E' questo il demenziale paradosso. Si tratta cioè di agevolazioni rivolte a giovani (e dal 2012 si sarà giovani solo se di età inferiore ai 35 anni) alla condizione che non fatturino (fatturare eh, non guadagnare che è altra cosa) più di 30.000 euro, ovvero non più di 2.500 euro/mese. Che succede in questo caso? Succede che - per esempio - se il giovane fattura il massimo di 30.000 euro (ma molti rimangono ampiamente sotto) e ha spese per 6.000, sul guadagno annuo di 24.000 euro (che è la differenza tra ricavi e costi) il fisco anziché tassare con le aliquote progressive ordinarie preleva solo o il 10 % o il 20% e dal 2012 il 5%. Il giovane si troverà in tasca un reddito netto rispettivamente di euro 21.600, 19.200 e 22.800 con il quale pagare i contributi di pensione che indichiamo per semplicità nel 20% del medesimo guadagno annuo. Il reddito netto scende ulteriormente rispettivamente a 16.800,14.400 e 18.000 che diventa il reddito spendibile pari a mensili euro 1.400, 1.200 o 1.500. Proprio quello che serve per sentirsi forti e mettere su famiglia.
Scusate l'incrocio di dati, ma rileggete piano, piano e vi sarà chiaro.
E allora la mia domanda è: per quale motivo un giovane di 27 anni non può desiderare di lavorare e di guadagnare di più? Perché non dovrebbe voler aprire o subentrare in un bar, in una tabaccheria, in un negozio di abbigliamento, in una libreria, aprire un laboratorio artigiano, quindi andando ben oltre il tetto dei 30.000 euro di ricavi annui oltre i quali le agevolazioni fiscali spariscono?
Certo che può e io dico che deve, ma per farlo deve investire nell'allestimento del nuovo negozio o nel prezzo per l'acquisto di quello già esistente e in entrambi i casi sia che abbia del denaro suo (meglio: dei suoi genitori) o che debba indebitarsi con un mutuo in banca, il fisco lo "massacra" da subito perché queste spese di avviamento della nuova attività che possono ammontare a 200/300 /400 mila euro la normativa fiscale ti autorizza a spesarle in contabilità pro quota annua e lungo un arco temporale che va dai 7 anni per gli arredi ai 18 anni per l'avviamento commerciale.
Esempio: se un giovane compra una tabaccheria gli viene chiesto di pagare 250.000 euro per i quali s'indebita in banca. Il Fisco gli permette di portare a costo (e quindi a risparmio fiscale) questi 250.000 euro in 18 anni con una quota annua del 5.56% del prezzo pagato, ovvero euro 13.900. Accade allora che il giovane imprenditore, tra la rata mensile del mutuo da rimborsare alla banca e il carico fiscale e previdenziale che deve sopportare già dal secondo anno di attività e che raggiunge il 50% del reddito prodotto, si lascia andare come una pera cotta perché ha addirittura difficoltà a tirare fuori lo stipendio netto che, bene o male, i giovani della " generazione mille euro " portano a casa o che hanno consumato ancora prima di riceverlo.
Guardate che non sto assolutamente inventando o esagerando. Chi conosce la materia lo sa. Dirò di più: il giovane che inizia un'attività commerciale il 2 gennaio 2011 nel corso del 2011 non paga imposte perché il sistema di pagamento si fonda su di un metodo di acconti e saldo che ha, quale presupposto, l'esistenza di un reddito tassabile nell'anno precedente quello di inizio dell'attività.
Ne consegue che nel primo anno di attività il giovane non paga imposte, ma nel secondo anno a causa dell'intreccio folle dei termini di pagamento, il nostro giovane che - correttamente - denuncia di avere guadagnato nel primo anno 40.000 euro si troverà a sborsare tra il giugno e il novembre del 2012 tutti e 40.000 euro a titolo di saldo imposte e inps 2011 e acconti imposte e inps 2012. E per pagare deve indebitarsi oppure....evadere. Questo è terrorismo allo stato puro.
E allora c'è una sola soluzione. Se si vuole fare crescere una generazione di giovani imprenditori indigeni che a loro volta diano lavoro ad altri giovani bisogna avere il coraggio di introdurre un sistema fiscale (anche a tempo) loro dedicato che non ponga limiti alla produttività, ma tenga conto unicamente della loro età, come punto di ingresso e non di arrivo. Cioè, se uno inizia a 34 anni va bene e non è che a 35 compiuti perde la qualifica di giovane e diventa adulto!
Questo sistema fiscale deve prevedere un contributo secco a fondo perduto, aliquote ridotte per un numero di anni non inferiore a 5, modalità di pagamento più respirose e soprattutto la possibilità di portare a costo tutte le spese sostenute senza interventi anti-elusivi e l'ammortamento dei beni e dell'avviamento non deve andare oltre i 5 anni altro che 7, 10 o 18! I 250.000 mila euro prima indicati come prezzo pagato per acquistare una tabaccheria devono poter essere portati a costo in 5 anni e non più in 28, quindi per una importo annuo di 50.000 e non di solo di 13.900.
Il Fisco non ci rimetterà proprio niente (esiste sempre la lotta all'evasione quale stanza di compensazione) e queste intelligenti agevolazioni, che permetteranno ai giovani di dotarsi di liquidità propria, ridurre al minimo l'indebitamento bancario e avere la prova provata che fatica e responsabilità gestionali sono anche remunerative, rimetteranno in moto l'economia delle piccole aziende, ridurranno il precariato e motiveranno l'ingegno e l'intelligenza di tanti giovani. Questa sì che sarebbe una vera politica sociale destinata a produrre splendidi frutti in futuro.
E invece non si fa nulla. La miopia esecutiva e legislativa è ai massimi storici, benché il Parlamento pulluli di laureati, in gran parte avvocati e commercialisti. Sindacato e Ordini professionali, che dovrebbero essere l'intellighenzia che suggerisce, pensano solo ai fatti loro. La grande stampa nazionale fa da cassa di risonanza attenta a non scomodare il manovratore superficiale. E mentre i giovani sono traumatizzati dal carico fiscale/previdenziale che li attende solo se osano alzare lo guardo oltre l'orizzonte precario che è loro consigliato, gli evasori che il tetto anagrafico dei 35 anni lo hanno superato da tempo prosperano senza ritegno. E' di queste ora la notizia - tutta da verificare nei dettagli- di una enorme evasione accertata nel Veneto. Una delle tante. Ma qui è protagonista negativa un'altra generazione che potremmo chiamare "generazione un milione di euro". E' pure di queste ore la notizia che nel solo 2011 ben 7.800 giovani imprenditori under 30 hanno abbandonato il campo falcidiati dal costo della burocrazia, dal carico fiscale e previdenziale e dalla carenza di liquidità che ne consegue. Nel periodo 2006-2011 hanno dato forfait in 64.000. Ecco perché a 65 anni mi viene voglia di sparare. Alle gambe, ma sparare a mitraglia. Potremmo fare tante bellissime cose per le giovani generazioni di oggi e per quelle che verranno. I soldi ci sono, tranquilli che ci sono. Basterebbe usare l'intelligenza. Ma non c'è a Roma e - credetemi - non c'è neppure a Milano. Nei palazzi dei Cesari il senso della vita è stato sostituito da senso del potere. Io e voi non possiamo neppure lontanamente immaginare lo spreco di denaro pubblico che viene fatto ogni giorno. Che ne sanno Gasparri e la Finocchiaro di queste problematiche? Parlano e non vedono, ascoltano e non capiscono. Lasciamo stare Giovanardi che pure una volta venne eletto da queste parti. E il nostro "camiciaio" Formigoni e il nostro "maratoneta" Lupi e i nostri Rusconi e Bodega? E la nostra Codurelli e il vostro - mio mai - Castelli? E la mitica Vittoria Brambilla che pensa più ai cani che agli umani? Una generazione di politici dotati di ottima dialettica, ma che sulle materie importanti non sono in grado di mettere assieme un pensiero compiuto perché la vita vera non la conoscono. E allora rimangono obbedienti o ossequiosi, incapaci o impediti di elevarsi una volta sullo scanno del ramo del Parlamento di competenza per puntare l'indice verso lo stato di dissesto dell'unico investimento che è il vero patrimonio di una nazione: le giovani generazioni.
© www.merateonline.it - Il primo network di informazione online della provincia di Lecco